Spagna, cosa c'è dietro ai giovani talenti Yamal e Williams
Secondo il quotidiano spagnolo «El Mundo» quella di domenica sarà «La final de los ninos», la finale dei bambini, pensando a giocatori come Yamal e a Williams. Vivai che funzionano, nuovi spagnoli, meno stranieri
Quella della Spagna, che torna a giocarsi un Europeo dodici anni dopo la vittoria sull’Italia a Kiev, sarà «La final de los ninos», la finale dei bambini, secondo l’efficace sintesi del quotidiano El Mundo. Tutti gli occhi sono per Lamine Yamal, la stellina che compie 17 anni sabato 13, alla vigilia della finale. Ma l’ossatura della Roja è composta da sette campioni d’Europa Under 21 del 2019, in Italia, che sconfisse in finale la Germania. Il c.t. era proprio lui, Luis De La Fuente.
Spagna, i vivai che funzionano
Considerato che nell’Italia di Spalletti c’erano sette reduci da quell’esperienza, con l’Italia che sconfisse la Spagna ma non arrivò alle semifinali, allora c’è da farsi domande sulle qualità dei nostri giocatori. Dando anche delle risposte. Che partono dalla cura dei vivai, la mitica Masia del Barcellona e la Fabrica del Real Madrid, ma anche quelli rinomati dell’Athletic Bilbao (da dove viene Nico Williams) e della Real Sociedad, che innervano la Spagna attuale, una squadra di talento ma «dall’anima operaia» come ha detto Rodri, il suo giocatore di riferimento, la stella del Manchester City che ha segnato il gol decisivo nella finale di Champions tredici mesi fa contro l’Inter a Istanbul. E che non disdegna di viaggiare con Ryanair, non solo coi voli privati. Perché il gap «culturale» fra calcio spagnolo e italiano, è profondo e coinvolge tanti aspetti, anche fuori dal campo.
I dati appena pubblicati dal Cies di Losanna sulla «demografia» di decine di campionati nel mondo, nascondono delle sorprese e delle conferme: la sorpresa è che quello spagnolo, fra i tornei principali, è quello con l’età media più elevata dei giocatori impiegati (27,5 anni di età media) e anche quello tedesco è leggermente superiore alla media italiana (26,9). Questo vuol dire che i giovani in serie A non mancano, ma non sono quasi mai italiani.
Il primo dei due dati che mostrano lo stato dell’arte del nostro pallone è la percentuale di minuti (fra i 616 calciatori che hanno messo piede in A) giocati da atleti formati nei club per almeno tre anni, fra i 15 i 21 anni. Il secondo dato è la percentuale di minuti giocati da calciatori cresciuti in federazioni diverse dalla nostra (quindi stranieri non cresciuti in Italia).
Per i cosiddetti «club trained players» l’Italia è la terzultima in assoluto con il 5,5 % di minutaggio, meglio solo di Grecia e Turchia. La Spagna con il 19,6% è due giri davanti a tutti, ma anche Francia (14,9), Germania e persino la Premier (8%) ci guardano stabilmente dall’alto.
Insomma i nostri club non producono più risorse interne, affidandosi solo al mercato. E l’esempio del Barcellona di Yamal e Pedri, costretto anche dalla crisi economica a puntare di nuovo sui giovani, conta poco: perché nel frattempo la filiera dei club italiani si è interrotta. E i giovani su cui puntare sono pochi. Anche sul fronte dei nuovi spagnoli e dei nuovi italiani siamo indietro, perché la Spagna con 125 giocatori nelle giovanili della Nazionale col doppio passaporto è un modello lontano.
Sul minutaggio degli stranieri siamo sesti al mondo, con il 62,4%, dietro all’Inghilterra (63,1). Anche qui Germania e Francia sono più virtuose (57,5% e 44,4%) mentre la Spagna è un altro mondo, con il 39,1% . L’esatto opposto dell’Italia. In tutto.