Ursula Von der Leyen rimarrà presidente della Commissione europea? I «due forni», il ruolo del Pd, e un doppio caveat: Macron e il voto segreto

diPaolo Valentino

La maggioranza europeista che ha eletto Ursula nel 2019 tiene, ma la presidente ha bisogno di altri voti per essere sicura di (ri)farcela. E il Pd avrà la presidenza dei socialisti

L’ondata di destra? «Si, ma attenti a non scambiare la Francia per il tutto. La percezione di un’avanzata a valanga delle destre estreme in Europa è molto influenzata dal dato francese, dove in effetti la vittoria di Le Pen è netta e potrebbe proiettarla verso il potere. In realtà, il successo dell’estrema destra è contenuto e in molti Paesi non c’è stato affatto. I veri vincitori di queste elezioni sono il Ppe e Ursula von der Leyen, che vede rafforzate le sue chance di essere riconfermata».

L’analisi di un autorevole attore europeo è un po’ in controtendenza e non difetta di una punta di cinismo. Tutto fa prevedere che von der Leyen rimarrà alla presidenza della Commissione, anche se per esserne certa ha un po’ di lavoro da svolgere, sia dentro il Consiglio europeo che dovrà nominarla, sia nel Parlamento di Strasburgo che dovrà votarle la fiducia.
«I numeri ci dicono che i margini della maggioranza europeista — Ppe, socialisti e liberali — sono troppo esigui, appena 40 voti sopra quota 361. Dunque, von der Leyen deve trovare almeno una cinquantina di voti per andare allo scrutinio segreto con una certa tranquillità». 

Per ampliare i margini la presidente uscente può lavorare in due direzioni, opposte ma non necessariamente incompatibili. A destra con Giorgia Meloni per i voti di Fratelli d’Italia e con il premier ceco Petr Fiala, entrambi del gruppo dei Conservatori e Riformisti, con cui però non può fare accordi politici per via dei veti del popolare Tusk (che non accetterebbe mai un’intesa con i suoi nemici del Pis) e del socialista spagnolo Sánchez, per via di Vox. 

L’unico problema a una trattativa discreta con Meloni potrebbe venire dal Pd, che avrà la presidenza del gruppo socialista, ma alla fine sarà difficile opporsi a qualche concessione al governo italiano. «Non si stupirebbe nessuno se dopo essere stata eletta, von der Leyen nominasse vice-presidente esecutivo un commissario indicato da Meloni».

L’altro fronte di von der Leyen è quello dei Verdi, che avranno 53 seggi. Per conquistarli dovrà concedere qualcosa sul Green Deal, già però ridimensionato nella sua forma originaria. Avrà problemi dentro il Ppe? «A porre un veto non sarà certo il capo della Cdu, Merz, che prima o poi avrà bisogno dei Verdi per governare in Germania». E quanto a Fratelli d’Italia, «Meloni non è ideologica sull’agenda ambientale».

Insomma, i veti di questi giorni sono destinati ad ammorbidirsi e von der Leyen dovrebbe riuscire a navigare fra gli scogli: «È sempre andata così e i governi sono troppo deboli per intestarsi una trattativa infinita e senza esclusione di colpi».

Con un doppio caveat però: «La debolezza di Macron, che a due giorni dal voto potrebbe decidere di non decidere e rinviare tutto. E il voto segreto, dove tutto può sempre succedere, anche una clamorosa bocciatura». Imprevisti della democrazia.

11 giugno 2024 ( modifica il 11 giugno 2024 | 07:14)

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