Quello che il Def non dice: le risorse che mancano per confermare i tagli alle tasse

Chi ha ragione? Da un lato è vero, come ha riferito da Bruxelles Francesca Basso, che «la possibilità di un Documento di economia e finanza “snello” era già prevista dalla stessa Commissione europea — non solo per l’Italia ma per tutti i Paesi Ue — tenuto conto che il nuovo patto di Stabilità, con le nuove regole di governance economica, dovrebbe venire approvato tra poche settimane». E, aggiunge Dino Pesole sul Sole 24 Ore, l’Italia probabilmente «cerca sconti a Bruxelles»: «La trattativa politica entrerà nel vivo solo quando si sarà insediata la nuova Commissione. Con quali margini? Intanto il governo potrà far conto sul fatto che in procedura di infrazione verrà meno l’obbligo di ridurre il debito dell’1% già dal prossimo anno. Resterebbe in piedi la richiesta di correzione pari allo 0,5% in termini strutturali, ma qui entrano in campo alcune circostanze attenuanti che il governo si appresta a far valere in sede di trattativa. Si procederà a un complesso calcolo per definire il possibile “sconto” nel periodo 2025-2027 da porre in relazione all’incremento della spesa per interessi sostenuta in seguito all’impennata dell’inflazione e all’aumento dei tassi da parte della Bce. Alla fine del triennio (o comunque quando l’Italia uscirà dalla procedura) l’obiettivo di deficit sarà l’1,5 per cento. Potrebbe aprirsi inoltre qualche ulteriore margine per gli investimenti pubblici già avviati nelle aree prioritarie europee (transizione climatica e digitale, sicurezza energetica e difesa) con annesso lo scorporo della spesa nazionale relativa al cofinanziamento dei progetti Ue».

Il debito italiano e la vaghezza dei numeri del Def

Possibilità di un Def «leggero», però, non vuol dire necessità. E men che meno opportunità. Se, come segnala Monica Guerzoni, la premier Giorgia Meloni è preoccupata per un possibile giudizio negativo sul debito italiano da parte delle agenzie di rating, restare nel vago, aggiungendo incertezza a incertezza, non è forse la scelta più lungimirante. Vedremo (il 19 aprile è previsto il «verdetto» di Standard & Poor’s).

Gli obiettivi programmatici

Quanto al fatto che gli obiettivi programmatici non si potessero indicare, qualche dubbio l’ha avanzato Federico Fubini sul Corriere: «Quando nel dicembre scorso i ministri finanziari dell’Unione europea negoziarono le nuove regole di debito e deficit, ciascuno di loro aveva sotto gli occhi un foglio. La Commissione europea lo aveva distribuito a tutti. In quel documento, i tecnici di Bruxelles avevano fatto il conto delle dimensioni della manovra di bilancio che si sarebbe resa necessaria in ciascuna delle capitali per rispettare le nuove regole. È un po’ difficile dunque sostenere oggi che un governo non sarebbe in grado di indicare i suoi obiettivi di finanza pubblica, perché si è in attesa di ricevere indicazioni da Bruxelles. Se lo si volesse fare, si potrebbe».

Il quadro tendenziale e i dubbi degli economisti

Altri dubbi (eufemismo) li aggiunge, in un intervento su lavoce.info, Giuseppe Pisauro, docente di Scienza delle Finanze alla Sapienza e presidente dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio dal 2014 al 2022: «Nel documento approvato dal Consiglio dei ministri il 9 aprile (ma non ancora pubblicato), la ragion d’essere viene meno: è presente solo il quadro tendenziale, vale a dire una narrazione di come si muoverà da qui al 2027 la finanza pubblica se non venisse presentata in autunno la nuova legge di bilancio. (...) Il ministro dell’Economia in conferenza stampa ha sottolineato come la decisione abbia dei precedenti. Si trattava però di governi dimissionari che non avevano titolo a presentare programmi pluriennali, né la loro esposizione sarebbe stata di alcun interesse per operatori economici e opinione pubblica. Nel nostro caso, il governo è nel pieno delle sue funzioni e la presentazione di un Def “più asciutto” (così è stato definito da Palazzo Chigi) è senza precedenti e comunque viola le leggi italiane sul processo di formazione del bilancio. Peraltro, non è convincente la giustificazione proposta dal ministro, che fa notare come comunque il governo a settembre dovrà presentare il piano fiscale strutturale previsto dal nuovo Patto di stabilità, del quale non sono ancora noti tutti i dettagli applicativi. Non convincente perché resta il dovere, nei confronti del Parlamento e dell’opinione pubblica italiani, di esporre i propri programmi. Non farlo è indice di idee ancora poco chiare su un orizzonte di pochi mesi, il che è preoccupante se si riflette sul fatto che con il nuovo Patto di stabilità occorrerà lavorare su un orizzonte di almeno quattro anni».

Le coperture

Cancellare gli obiettivi programmatici non cancella, però, il fatto che, per dirla ancora con Fubini, «i nodi dell’economia stanno ormai venendo al pettine». E, più difficile che trovare i 6 miliardi di risparmi previsti dal nuovo Patto di stabilità sarà infatti trovare, in parallelo, i 19 miliardi che servono per riconfermare tutti gli sgravi fiscali e contributivi che per ora sono stati decisi e finanziati per il solo 2024.
In proposito, Pisauro fa notare che quel che non c’è nel Def scritto (e «asciutto») c’è, in parte, nel «Def orale». Ossia nella conferenza stampa del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, «che, a sorpresa, contiene una bozza di quadro programmatico. Dalla conferenza stampa apprendiamo che è intenzione del governo confermare le due misure più importanti (il taglio dei contributi previdenziali e l’accorpamento dei primi due scaglioni dell’Irpef, che insieme valgono circa 15 miliardi, ndr) ma senza incidere sul disavanzo. Entro settembre occorrerà quindi trovare coperture oggi ancora non definite. Sempre a proposito di assumere un orizzonte di medio periodo».

Un mix di tagli alla spesa

Anche Pesole, detto della ricerca di uno sconto a Bruxelles, scrive che «in pendenza della trattativa, e nell’aspettativa che sia possibile ottenere quasi tutta la flessibilità consentita dalle nuove regole, resterà comunque in piedi l’incognita maggiore: dove reperire le risorse per confermare per un altro anno alcune delle misure portanti della manovra 2024, finanziate solo per un anno». La sua previsione? «Almeno stando a quel che è lecito prevedere fin d’ora, occorrerà affidarsi a un mix di tagli alla spesa e maggiori entrate.

Il Superbonus 110%

Come noto, Giorgetti giustifica il Def «asciutto» anche con la permanente incognita dell’impatto sui conti pubblici del Superbonus 110% (160,3 miliardi) e degli altri bonus edilizi (58,7 miliardi). Anche su questo, però, Fubini e Pisauro mettono qualche puntino sulle i. «Giustamente — scrive Fubini — il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti li ha definiti (i bonus edilizi, ndr) un “disastro”, ma su di essi continua a mancare un’assunzione di comune responsabilità dell’intera classe politica. Tutti i principali partiti che hanno governato in questi anni li hanno voluti. Li ha voluti l’intero centro-sinistra ai tempi di Giuseppe Conte. Sia centro-destra e centro-sinistra in maggioranza che Fratelli d’Italia all’opposizione hanno poi fieramente protestato nel 2021 e 2022, quando Mario Draghi e Daniele Franco cercavano di fermarli. Infine il governo e la maggioranza attuali per un anno e mezzo hanno lasciato che il Superbonus continuasse a gonfiare il deficit, crivellando di scappatoie i decreti che avrebbero dovuto determinare una stretta».
Pisauro concorda: «Il ministro Giorgetti ha il merito di aver imposto un anno fa un cambio di marcia, ma il fatto che nel 2023 la spesa sia stata superiore a quella degli anni precedenti sta ad indicare, al di là degli errori di previsione su cui si sta concentrando l’attenzione, che il “blocco” di un anno fa era per lo meno mal disegnato».

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11 aprile 2024

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