Il governo rivede la crescita all’1% nel 2024. Giorgetti: «Superbonus devastante»

Occorrerà aspettare l’estate, quando la Ue indicherà la «traiettoria tecnica» di riduzione di debito e deficit, per capire quali margini di bilancio il governo avrà di fronte nei prossimi anni. Il Documento di economia e finanza approvato ieri si limita a confermare gli obiettivi di settembre, deficit al 4,3% quest’anno, poi al 3,7% e al 3% nel 2026, debito in crescita dal 137,8 di quest’anno fino al 139,8% del 2026, nonostante una revisione a ribasso della crescita. Il pil salirà dell’1% quest’anno (a settembre si prevedeva l’1,2%), dell’1,2% nel prossimo, dell’1,1% nel 2026, con l’inflazione già all’1,6% quest’anno, sotto la media Ue.

In attesa delle nuove regole Ue sulle finanze pubbliche, secondo il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, non era utile o necessario fare di più. Per Giorgetti, che professa «prudenza e realismo», tuttavia, gli obiettivi di deficit già indicati restano «vincolanti». Messaggio chiaro ai mercati, alle agenzie di rating (il 19 è atteso il giudizio di S&P) e agli alleati di governo: non ci saranno sforamenti e se dovesse essere necessario «si interverrà nuovamente sul Superbonus».

L’impatto «devastante», così lo definisce il ministro, dei bonus sui conti pubblici è una delle poche certezze che emergono dal Def. Il conto è arrivato a 219 miliardi di euro, dei quali 160 relativi al solo Superbonus. Tolti «16 miliardi di crediti sequestrati a seguito delle verifiche che — assicura — continueranno e saranno prioritarie», e tolti 40 miliardi già compensati (di cui 20 nel 2023), restano 163 miliardi di crediti da compensare nei prossimi anni.

Sono circa 40 miliardi l’anno, due punti di pil, che rischiano di essere «incompatibili» con le disponibilità di cassa e l’obiettivo di tenere il deficit. Per questo Giorgetti minaccia una nuova stretta utilizzando il decreto già al Senato che blocca sconti in fattura e cessione del credito. Si farà una nuova verifica e se necessario si interverrà, ha detto il ministro, per garantire «una dinamica dei flussi di cassa» utile a rispettare gli obiettivi di deficit del ‘25 e del ‘26. Per ridurre l’importo dei crediti che scadono nei prossimi anni non ci sono molte strade: o si taglia il valore della detrazione (improbabile) o se ne allunga il termine di fruizione (oggi tra quattro e cinque anni). Comunque un provvedimento da ultima ratio. Sempre che Eurostat non decida di rivedere i criteri contabili.

Di certo, il ministro non vuole che il 110% comprometta il taglio del cuneo fiscale nel 2025, che «resta la priorità numero uno». Servono 11 miliardi, che devono ancora essere trovati nel bilancio. Meno problemi ci sono per la conferma delle tre aliquote Irpef, che costa circa 4 miliardi, e per la quale sono già accantonate parte delle risorse, «da integrare con il gettito del concordato preventivo biennale» dice il vice ministro, Maurizio Leo.

Al conseguimento dell’obiettivo potranno contribuire anche nuovi tagli di spesa e le privatizzazioni, che il ministro ha confermato in 20 miliardi nel biennio ‘24-’25, ammettendo tuttavia che «il problema del debito non si risolve con le privatizzazioni» (mentre Matteo Salvini pensa a una concessionaria unica per le quattro autostrade pubbliche). Per tagliare il rapporto tra il debito e il pil, oltre al rigore sui conti, serve più crescita, proprio nel momento in cui viene meno il Superbonus che, bene o male, in questi tre anni ha trainato l’economia. Non resta che il Pnrr. «Insisto nella proroga del termine del 2026 per i lavori» dice Giorgetti.

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