Il dossier, ufficialmente, non ci sarebbe. Però le ipotesi iniziano già a circolare: la vendita sul mercato di una tranche di Poste Italiane potrebbe essere una delle prime operazioni di privatizzazione del 2024. È quanto scrive Il Sole 24 Ore. Secondo il quotidiano economico-finanziario «tra le opzioni ci sarebbe la possibilità di far coincidere la cessione con la presentazione del nuovo piano industriale della società».
Poste Italiane, l’ipotesi di una nuova cessione di quote: sindacati contrari alla maxi privatizzazione


Le tappe della cessione
Durante la presentazione dei conti dei nove mesi del 2023, l’ad di Poste Matteo Del Fante aveva annunciato la presentazione del nuovo piano per il 20 marzo 2024. In quella stessa data dovrebbero essere annunciati anche i risultati del 2023». Secondo il Sole «la cessione sul mercato della quota del 29,26% del Mef ai valori attuali di Borsa (9,97 euro; i massimi erano stati raggiunti nel 2022 a 12 euro) determinerebbe un incasso di 3,8 miliardi di euro, un quinto dell’obiettivo di privatizzazioni indicato nella Nadef per il prossimo triennio (poco più di 20 miliardi)». Fredda per ora la reazione dei mercati: sul Ftse Mib Poste Italiane cala dello 0,9%.
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Il parere degli analisti
«Al contrario di quanto avvenuto per la cessione del 25% di Mps, crediamo che nel caso di Poste il coinvolgimento del retail sarebbe d’obbligo», spiegano in un report gli analisti di Intermonte, sottolineando come «attualmente l’11% del capitale di Poste Italiane sia detenuto da investitori retail, una buona parte dei quali ha partecipato alla prima tranche di privatizzazione avvenuta nel 2015». Per questo «ci aspettiamo che l’operazione possa svolgersi tramite un’offerta pubblica di vendita, anche se riteniamo improbabile che il Mef decida di cedere la totalità della propria quota in Poste rinunciando così totalmente al flusso annuo di dividendi (250 milioni di euro al Mef nel 2022)».
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«Controllo del governo»
«Riteniamo che il Mef possa decidere di vendere una quota rilevante, mantenendo allo stesso tempo una quota di circa il 10% che, sommata al 35% attualmente in mano a Cdp, assicurerebbe comunque un controllo da parte del governo sulla governance societaria», proseguono gli analisti. Quanto agli effetti sui corsi azionari, «la possibile cessione di una quota rilevante della partecipazione del Mef in Poste potrebbe frenare il prezzo del titolo fino a quando non ci saranno maggiori informazioni su tempistiche e modalità». In ogni caso «riteniamo che l’interesse per il collocamento potrebbe essere elevato considerando il livello di “dividend yield” atteso e che l’aumento del flottante possa rappresentare un elemento positivo a livello prospettico aumentando il peso negli indici e riducendo il tema del controllo del governo sul titolo».
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Il no dei sindacati
Il fronte sindacale è compatto e contrario all’ulteriore privatizzazione di Poste e si prepara a iniziative di protesta. «Il problema — dice a RadiocorNicola Di Ceglie, segretario nazionale della Slc Cgil — è politico, l’intento è quello di fare cassa, la cosa più sbagliata che si possa fare in questo momento vendendo l’ultimo gioiello di famiglia». La Slc Cgil, prosegue il sindacalista, «dice no a questo progetto di privatizzazione. Ci vuole lungimiranza e va considerato che Poste è un’azienda che porta ogni anno dividendi al ministero e i 3,8 miliardi attesi dalla privatizzazione lo Stato li incasserebbe negli anni attraverso la redistribuzione degli utili prodotti dall’azienda».
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08 dic 2023
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