Sironi (Generali): «Siamo grandi e solidi. Pronti a sostenere lo sviluppo»

Sironi (Generali): «Siamo grandi e solidi. Pronti a sostenere lo sviluppo» Sironi (Generali): «Siamo grandi e solidi. Pronti a sostenere lo sviluppo» Andrea Sironi, presidente di Generali

«Geopolitical is back». È forse la frase che si sente più spesso pronunciare nelle aziende e tra le istituzioni. Oggi la gestione del rischio, che è potenzialmente misurabile, a differenza dell’incertezza, sembra essere una di quelle abilità essenziali in economia e non solo. È forse anche per questo che in una delle istituzioni finanziarie più prestigiose d’Italia e nel mondo, le Generali, da poco più di un anno la presidenza è stata affidata ad Andrea Sironi. Riservato e schivo, classe 1964, ha condotto l’attività da studioso nel campo dei mercati finanziari tra estero e Italia (alla Bocconi dove oggi è anche presidente). Il suo è uno dei punti di vi sta e di osservazione decisivi per capire come muoversi in un mondo che sembra abbagliato dai tanti, troppi, focolai di crisi. E non è un caso che appena si pronuncia la parola Europa, la sua analisi parte dai punti di forza. Come si dovrebbe sempre fare nelle transizioni complesse. «Mi lasci ricordare l’importanza e il valore dell’Unione europea che in questi anni ha portato a importanti conquiste che spesso scordiamo. Oggi all’Europa serve una visione economica comune, con regole che la rendano competitiva sui mercati. È necessario continuare sulla strada dell’integrazione, completando l’Unione bancaria così come l’Unione del mercato dei capitali. E penso sia importante anche avviare un progetto di Unione assicurativa europea, da realizzarsi in modo graduale nei prossimi anni. Si deve evitare che si crei un generale clima di sfiducia verso il futuro».

Fatto sta che i governi non fanno altro che continuare a chiedere all’Europa come se fosse cosa diversa da loro stessi.
«L’impressione è che il divario tra le ragionevoli aspettative delle persone e la capacità delle classi dirigenti di realizzarle si stia ampliando. Sul fronte economico, lo scenario geopolitico così complesso ha generato un incremento dell’incertezza, con un conseguente aumento dei premi al rischio nei mercati dei capitali e un parallelo fenomeno di flight to quality: potrebbero essere penalizzati i soggetti più fragili, con un merito di credito inferiore».

Anche voi potreste fare qualcosa, Generali in Europa è il più grande operatore del settore.
«In questo momento c’è un protection gap, ovvero un bisogno di protezione a fronte di rischi come le catastrofi naturali e le pandemie, che sono diventati sistemici e difficilmente gestibili da parte di un singolo stato o di un’impresa. Per questo noi sosteniamo l’importanza di una collaborazione tra Unione europea e compagnie assicurative».

Un patto pubblico e privato.
«Il nostro ceo Philippe Donnet ha promosso per primo l’idea di affrontare queste grandi sfide con una partnership pubblico-privato. Oggi questo approccio sta maturando anche nel dialogo con le istituzioni europee. Occorre lavorare in questa direzione».

Avete in pancia, inoltre, un sacco di soldi…
«Il settore assicurativo gestisce attivi per 11 mila miliardi di euro. Parte di queste risorse potrebbero essere investite in progetti a lungo termine, senza alcun rischio reale per la solidità patrimoniale».

E questo anche con un’inflazione che morde l’economia, le famiglie e le imprese?
«È nel nostro Dna saper gestire scenari complessi e i recenti risultati finanziari lo dimostrano. Generali ha una posizione di capitale molto solida, ai vertici del settore ed è oggi la società con il miglior rating del Paese».

Difficile però nascondersi dietro un dito. L’ultima assemblea ha eletto un nuovo cda, profondamente rinnovato, di cui lei è il presidente. Ma le tensioni nell’azionariato restano un fatto. Un socio importante come Caltagirone le ha esplicitate, e anche il gruppo che fa capo alla famiglia Del Vecchio ha fatto rilievi. Ne abbiamo avuto un’idea e ne abbiamo visto un esempio con l’assemblea di Mediobanca…
«Non entro nei rapporti tra azionisti. Parlo con tutti loro, questo sì. Sia con i maggiori investitori internazionali, sia con quelli italiani. Ma la governance è chiara: c’è un consiglio di amministrazione, eletto dall’assemblea, che fa il suo lavoro ed ha la responsabilità delle scelte strategiche ed aziendali».

Non dica anche lei che ancora una volta sono i giornali a dipingere una situazione se non di conflitto, perlomeno di confronto schietto…
«Guardi, le Generali hanno un capitale estremamente diffuso, dove il retail italiano pesa per il 22 per cento del capitale: parliamo di oltre 170 mila famiglie a cui distribuiamo ogni anno 300 milioni di euro in dividendi. Una compagnia così grande deve perseguire gli interessi di lungo termine di tutti gli stakeholder».

Tutto bene quindi in consiglio?
«Sono molto soddisfatto, abbiamo una dialettica consiliare molto positiva. In questo primo anno e mezzo si è sviluppato un clima di rispetto e di collaborazione costruttiva. Un consiglio funziona bene quando prevale quel binomio di collaborazione e challenge alle proposte del management, ma non la conflittualità, e quando tra ceo e resto del consiglio c’è sintonia».

Anche sulle acquisizioni?
«Certo, il consiglio ha convintamente sostenuto le recenti acquisizioni di Liberty Seguros e Conning. Il nostro consiglio è formato per oltre il 75% da consiglieri indipendenti, che peraltro esprimono tutti i presidenti dei comitati consiliari, per il 46% da donne ed è caratterizzato da un’età media più bassa rispetto ai precedenti. Al di là di questi fatti oggettivi, sono molto orgoglioso di poter guidare un consiglio composto da personalità di grande standing e competenza, con background ed esperienze molto diverse fra loro».

Non può negare che ci siano state divergenze sulla lista del cda.
«Facciamo un passo indietro. Siamo un Paese che ha bisogno di attrarre investimenti. Il Ddl Capitali nasce da lì, e bene ha fatto il governo a presentarlo, perché contiene misure finalizzate a favorire la quotazione in Borsa delle aziende, specialmente quelle familiari. Durante la discussione parlamentare sono emerse delle proposte fortemente limitative della facoltà del consiglio uscente di presentare candidature per il nuovo board. L’Italia ha bisogno di restare allineata alle best practice internazionali. Consentire al consiglio uscente di lavorare in trasparenza alla successione formulando proposte all’assemblea è la norma nelle grandi società quotate in tutto il mondo, non solo negli Stati Uniti. Per quale motivo l’Italia, e solo l’Italia, dovrebbe andare in una direzione opposta?»

Ma il Parlamento potrà decidere diversamente…
«Mi auguro che alla fine del percorso legislativo avviato con il Ddl Capitali si evitino formule macchinose e di dubbia trasparenza. Per quanto riguarda il voto maggiorato, credo possa essere uno strumento utile in certi casi purché introdotto prima della quotazione oppure se i soci lo decidono in assemblea».

Trasparenza per trasparenza, oltre a essere presidente delle Generali è anche presidente dell’Università Bocconi e della Fondazione Airc per la ricerca sul cancro. Tre impegni di non poco conto.
«Sì, sono molto impegnato ma mi ritengo anche molto fortunato. Posso offrire il mio contributo a tre eccellenze del nostro Paese diverse ma legate fra loro: investimenti in ricerca, formazione, protezione e sviluppo. Oltre a Generali dalla forte proiezione internazionale, la Bocconi è la mia casa, l’università che amo, dove sono cresciuto; guidare un’istituzione all’avanguardia nella formazione e nella ricerca in Europa nel settore delle scienze sociali è un privilegio. Airc è il più grande polo privato di finanziamento della ricerca oncologica indipendente del nostro Paese. Sostiene più di 6 mila scienziati e si fonda sul lavoro di oltre 20 mila volontari. Io sono uno di loro, e oggi non sarei qui se non fosse per i progressi della ricerca medica».

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