Von der Leyen, il primo via libera dell’Unione al «bis». Passano anche Costa e Kallas
Giorgia Meloni si è astenuta sulla presidente della Commissione, mentre ha votato contro nel caso delle altre nomine
DALLA NOSTRA CORRISPONDENTE
BRUXELLES - L’Italia si è astenuta sulla riconferma di Ursula von der Leyen alla guida della Commissione europea. Voto contrario invece sulle nomine di António Costa e Kaja Kallas rispettivamente come presidente del Consiglio europeo e Alto rappresentante per la politica estera. I tre candidati — frutto di un’intesa tra Popolari, Socialisti e Liberali — hanno superato il giudizio del Consiglio europeo in tre votazioni distinte. La discussione tra i leader europei sui top job è iniziata alle dieci di sera e in un’ora e mezza è stata trovata la quadra.
Il presidente del Ppe Weber e il premier polacco Tusk hanno espresso «grande soddisfazione». La premier Giorgia Meloni, dopo l’irritazione manifestata nei giorni scorsi per l’esclusione dai negoziati, era considerata la vera incognita della giornata. Martedì era stata annunciata l’intesa raggiunta fra le tre maggiori famiglie politiche sui nomi di von der Leyen, Costa e Kallas e questo aveva riacceso il disappunto della premier, già manifestato dopo il summit informale del 17 giugno. Ora von der Leyen dovrà essere eletta dal Parlamento europeo a maggioranza.
L’astensione di Meloni potrebbe aprire la strada a un voto favorevole di Fratelli d’Italia in aula. Dalle dichiarazioni iniziali dei leader è stato evidente il tentativo di aprire un dialogo costruttivo con la presidente del Consiglio per scongiurare una fumata nera. Tecnicamente sulla carta c’erano già i numeri per raggiungere la maggioranza qualificata rafforzata (20 Paesi rappresentanti il 65% della popolazione europea) richiesta dai Trattati per designare la presidente della Commissione europea.
Il premier polacco Tusk, che il 17 giugno scorso in occasione del vertice informale aveva usato parole molto dure nei confronti della premier Meloni, ha adottato toni più concilianti: «Nessuno rispetta la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e l’Italia più di me. È un malinteso: a volte servono delle piattaforme politiche specifiche per agevolare il processo», ha detto arrivando al summit, aggiungendo che «la decisione spetta al Consiglio Europeo. Non c’è Europa senza Italia, non c’è decisione senza Giorgia Meloni. Per me è ovvio». Tusk ha negoziato per il Ppe l’accordo insieme al premier greco Kyriakos Mitsotakis, il quale ha definito l’intesa «una proposta» che riflette la volontà della «maggioranza» «ma spetta al Consiglio Europeo, poi, prendere la decisione». Anche lui ha espresso «molto rispetto per la presidente Meloni e l’Italia».
Toni felpati per far accettare un accordo di fatto già chiuso. Lo stesso cancelliere tedesco Olaf Scholz, negoziatore per i Socialisti insieme al premier spagnolo Pedro Sánchez, ha presentato l’intesa come «una posizione» che sarà discussa «attentamente ed equamente con i nostri buoni amici in Europa» e «tutti e 27 sono ugualmente importanti». Il più schietto è stato il premier olandese uscente Rutte, già nominato segretario generale della Nato (in carica dal primo ottobre), che ha detto che la premier Meloni «non è stata esclusa. La difficoltà è che una volta ogni cinque anni i membri del Consiglio europeo sono principalmente partiti politici. Gli altri cinque anni siamo realmente capi di governo e/o di Stato» e «il fatto è che l’Ecr, che è il partito a cui appartiene il partito di Giorgia Meloni, non è coinvolto in queste discussioni perché non è accettabile per altri partiti e parti di altre coalizioni». Ma ha ammesso che è «un vero peccato» e che si «deve fare in modo che anche l’Italia si senta ben rappresentata nella nuova Commissione e non solo».
Il nostro Paese punta a una vicepresidenza esecutiva con un portafoglio di peso in ambito economico. In Europa prevale di solito il pragmatismo e l’obiettivo dei leader ieri era di arrivare a un risultato. Tutti tranne il premier Viktor Orbán: «L’Ungheria non può sostenere un nuovo mandato per von der Leyen. Lo Stato di diritto, un importante valore europeo, è stato utilizzato politicamente e su base partigiana contro l’Ungheria».
Ora non è Giorgia Meloni a preoccupare, perché in questi anni ha dimostrato un atteggiamento costruttivo su importanti dossier come il sostegno all’Ucraina e il patto sulla migrazione. I timori sono per l’esito delle elezioni domenica in Francia che potrebbero consacrare la vittoria del Rassemblement National di Marine Le Pen. Certo la presenza nell’Ecr del partito polacco ultra nazionalista Diritto e Giustizia (Pis) dell’ex premier Morawiecki è considerato un problema per i gruppi della maggioranza, compreso il Ppe. Ma il Pis starebbe valutando di andarsene. Il gruppo perderebbe 20 deputati e il terzo posto nell’emiciclo.
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