Cariche Ue, tutte le opzioni di Meloni: astensione o chiedere il voto su ognuna. La cena delle verità
Oggi il Consiglio europeo. Difficile il sì del governo italiano, il clima che si respira è quello del pollice verso
A 24 ore dalla cena della verità, stasera a Bruxelles, momento clou del Consiglio europeo, le previsioni che si rintracciano nel governo italiano, a più livelli, compresso lo staff della presidente della Consiglio, sono queste: in pochi scommettono su un via libera di Giorgia Meloni alle nomine delle cariche di vertice della Ue. Con una metafora calcistica c’è anche chi dice che al momento si tratta di un 1-x-2, e che la presidente del Consiglio deciderà sul momento, in base ai lavori, alle valutazioni che verranno fatte, al metodo che sarà scelto dagli capi di Stato e di governo, soprattutto, ovviamente, delle famiglie del Ppe, dei Liberali e dei Socialisti.
Ma il clima che si respira nella delegazione italiana che sarà presente stasera al summit è quello del pollice verso: Meloni potrebbe astenersi, come fece la Merkel cinque anni fa nei confronti di von der Leyen, ma potrebbe anche votare no contro il pacchetto di nomine già confezionato dalle tre famiglie politiche che compongono la maggioranza, come fecero l’ungherese Orbán e il britannico Cameron nel 2024, al momento di designare Jean Claude Juncker.
Circola persino una terza, o quarta, via: Meloni potrebbe anche chiedere il voto su ogni singola carica, e arrivare in questo modo ad una decisione differenziata, sì ad Ursula von der Leyen, no agli altri candidati.
Ovviamente molto dipenderà da eventuali tentativi di inclusione che verranno fatti dai suoi colleghi, e molto dipenderà dal suo fiuto politico. Ma la relazione di ieri in Parlamento, veemente contro le élite e contro i caminetti di una presunta nomenklatura europea che ha perso le elezioni di giugno, avvalorano le previsioni negative esposte sopra. E anche se non sarà facile, Meloni, se deciderà di rompere, proverà ad avere altri Stati al suo fianco, che sostengano il suo dissenso.
In questo quadro, che in ogni caso resta fluido, si moltiplicano le voci sulle deleghe all’Italia, che non sarebbero affatto chiuse, e che potrebbero venire condizionate dalla decisione di Meloni. Non votare in Consiglio, e dunque nemmeno in Parlamento, quando ci sarà da approvare la designazione degli incaricati, di sicuro non rafforzerebbe le aspirazioni dell’Italia. Dinamiche di cui hanno discusso ieri al Senato, in serata, in una riunione ristretta, Meloni con i due suoi vicepremier, Antonio Tajani e Matteo Salvini.
Se negli ultimi giorni sembrava che al di là di quello che succederà oggi l’Italia fosse comunque ad un passo dall’agguantare una delega articolata, fondata su Bilancio, Fondi di Coesione e su altre competenze satelliti, con il candidato naturale Raffaele Fitto, attuale ministro per gli Affari europei, il Sud e il Pnrr, ieri pomeriggio fra Bruxelles e Roma facevano di nuovo capolino obiettivi diversi del nostro governo: intorno alla figura di un vicepresidente di peso, operativo, ruotano le deleghe attuali di diversi commissari, dalla Concorrenza al Commercio, dall’Industria (che da sola sarebbe troppo poco, visto che non gestisce fondi) alla possibilità di una delega ad hoc per la Difesa. Perimetri per i quali è riaffiorato il nome dell’attuale ministro della Difesa, Guido Crosetto. Meloni ai suoi collaboratori ha sempre detto che non desidera un tecnico, ma vuole un politico, e di stretta fiducia personale, nella futura Commissione della Ue. Ma anche qui appare presto per avere delle indicazioni univoche, visto che la partita della formazione della Commissione e della distribuzione delle deleghe non potrà che aprirsi, almeno formalmente, un attimo dopo che verrà chiusa quella sui quattro top job. E tutto ovviamente si tiene e non potrà che dipendere dalle decisioni che stasera Giorgia Meloni vorrà prendere.
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