Un «vertice storico»: ecco quello che c'è da sapere sul summit Nato che inizia oggi a Washington

diFrancesca Basso e Viviana Mazza 

Tre i temi principali annunciati dal segretario generale Jens Stoltenberg: l'aumento della difesa e della deterrenza, l'appoggio a Kiev e il rafforzamento delle partnership globali

Un «vertice storico»: ecco quello che c'è da sapere sul summit Nato che inizia oggi a Washington

Il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg 

Da oggi per tre giorni i leader della Nato si incontrano a Washington per un vertice storico, 75 anni dopo la fondazione dell’Alleanza Atlantica. Avviene in un momento delicato nella storia della Nato, con una guerra in Europa ma anche diverse crisi globali. Tre i temi principali annunciati dal segretario generale Jens Stoltenberg: il primo è aumentare la difesa e la deterrenza della Nato; il secondo è appoggiare la difesa ucraina; il terzo è continuare a rafforzare le partnership globali della Nato, specialmente nell’Indo-Pacifico

La difesa e la deterrenza della Nato

Sul primo tema, va detto che l’anno scorso a Vilnius gli alleati hanno accettato nuovi piani strategici e il summit di Washington si concentrerà sulla loro implementazione. Da due anni a questa parte, gli alleati hanno aumentato la spesa per la difesa e le forze di intervento rapido, hanno modernizzato il comando e controllo, trasformato le esercitazioni congiunte e integrato i nuovi alleati Finlandia e Svezia. Tuttavia resta la domanda se la Nato sia pronta a combattere una guerra prolungata come quella in Ucraina. I leader, secondo un recente articolo del Center for Strategic and International Studies (CSIS) di Washington, devono mettersi d’accordo su «quattro più»: più soldi (continuare ad aumentare la spesa per la difesa oltre il 2% del Pil), più potere sul campo (trasformare il denaro in produzione militare in modo più efficiente e affrontare il problema della carenza di personale militare), più capacità (aeree, di difesa missilistica, di lungo raggio, di trasporto aereo, mobilità militare, cyber difesa e spaziale), più cooperazione (con il fine di aumentare la produzione industriale).

Il sostegno a Kiev e il «ponte» la Nato

Secondo punto: che annunci ci saranno sull’Ucraina? Kiev non avrà la garanzia assoluta di membership nella Nato, ma un «ponte» per diventare membro. Gli americani sperano di presentare questa alternativa come qualcosa di significativo: dicono che vogliono che l’Ucraina vinca la guerra e intendono accelerarne «l’integrazione Euro-Atlantica». In un briefing con i giornalisti, la Casa Bianca ha spiegato che il ponte sarà «ben illuminato, breve, diretto e senza impedimenti». I negoziati sulle parole esatte continueranno probabilmente fino all’ultimo minuto, ma gli alleati cercheranno di evitare divergenze pubbliche con Kiev come accadde allo scorso summit. Al di là della retorica, quasi tutti i Paesi della Nato hanno firmato (o lo faranno a breve) accordi bilaterali di sicurezza a lungo termine con Kiev, inclusi gli Stati Uniti che l’hanno fatto al G7 di Bari. Anche l’Ue — con cui Kiev ha iniziato i colloqui formali per l’ingresso nell’Unione — ha firmato un «Impegno comune per la sicurezza» nel lungo periodo, mentre il G7 ha trovato l’accordo sul prestito di 50 miliardi di dollari legati ai profitti generati dagli asset russi congelati. Gli alleati potrebbero andare oltre gli accordi bilaterali a Washington se accogliessero l’idea di Stoltenberg di un impegno di 100 miliardi di dollari di aiuti in cinque anni. Si discute anche dell’invio di rappresentanti civili della Nato a Kiev per aumentare il coordinamento nella difesa, come in Afghanistan.

La collaborazione con l'Asia

Ma è il terzo tema, quello del coordinamento della Nato con l’Asia, su cui vorremmo soffermarci, perché meno discusso. La cooperazione con l’Indo-Pacifico, e in particolare con Australia, Giappone, Nuova Zelanda e Sud Corea (gli IP4, Indo-Pacific Four) che sono ormai partecipanti regolari ai summit Nato, sarà un tema centrale a Washington. I Paesi della Nato sono sempre più consapevoli che le sfide che devono affrontare sono intrecciate con quelle di altre regioni del mondo. Il 40% del commercio europeo passa attraverso il contestato Mar Cinese Meridionale, mentre la guerra in Ucraina ha visto il contributo di munizioni nordcoreane ai russi e di beni cinesi con doppio uso (militare e civile), osserva il Csis.

Scrivendo sulla rivista americana Foreign Affairs nei giorni scorsi, il segretario generale Jens Stoltenberg ha condannato l’appoggio cinese alla Russia in Ucraina e ha spiegato che per la Nato è iniziata una «nuova era di competizione duratura con la Cina». Non è un’idea nuova: contiene forti echi della Strategia di sicurezza nazionale varata nel 2022 dall’amministrazione Biden, che punta sullo sviluppo di un «tessuto connettivo» basato sulla tecnologia, il commercio e la sicurezza tra i partner nell’Indo-Pacifico e quelli in Europa. Nel 2022 la Nato per la prima volta ha definito la Cina come una minaccia alla sua sicurezza. Il premier giapponese Fumio Kishida in una dichiarazione congiunta con la Nato l’anno scorso ha confermato che «la sicurezza dell’Euro-Atlantico e quella dell’Indo-Pacifico sono strettamente connesse». La cooperazione tra Russia e Nord Corea potrebbe avvicinare ulteriormente anche Seul a Bruxelles, benché la Sud Corea e la Nuova Zelanda siano state finora relativamente caute, anche per via dei commerci con la Cina.

Fred Kempe, presidente dell’Atlantic Council scrive che — benché l’attenzione sia stata concentrata sul disastroso dibattito di Biden contro Trump — nei giorni scorsi (proprio il 4 luglio) c’è stato in Kazakistan un incontro dei dieci paesi della Shanghai Cooperation Organization (Sto), guidati dalla Cina e dalla Russia (oltre ai membri originari che includono Kazakistan, Kyrgyzstan, Tajikistan si sono aggiunti India, Iran, Pakistan, Uzbekistan e Bielorussia e altri 16 sono partner o osservatori). I leader occidentali potrebbero considerare parole vuote i 25 accordi raggiunti dalla SCO sulla cooperazione nell’energia, sicurezza, commercio, finanza e sicurezza dell’informazione e dell’adesione della cosiddetta «Iniziativa per l’unità mondiale per la pace giusta, l’armonia e lo sviluppo» — osserva Kempe — ma sarebbe un errore ignorare l’intenzione del gruppo di essere un contrappeso alla Nato e parte del piano di Putin e Xi di sostituire l’ordine globale attuale con istituzioni e regole più vicine ai loro interessi. Putin ha dichiarato che «serve una nuova architettura di cooperazione, di sicurezza indivisibile e di sviluppo in Eurasia, destinata a rimpiazzare modelli eurocentrici ed euroatlantici ormai scaduti, che danno vantaggi unilaterali solo a certi stati». 

Ma benché una simile realtà possa portare a sostenere la necessità, ora più che mai di un rafforzamento della Nato in Asia, su Foreign Affairs tre autori — Mathueu Droin, Kelly Grieco e Happymon Jacob — si chiedono se davvero ciò sia nell’interessa strategico degli uni e degli altri. I tre studiosi sostengono che la Nato non è il veicolo migliore per una cooperazione transregionale per gestire la minaccia della Cina e che è consigliabile che conduca accordi pragmatici tenendo un basso profilo nella regione, perché altrimenti non fa che alimentare la narrazione di Pechino di uno scontro voluto dagli americani tra blocchi in stile Guerra fredda. Questo rischierebbe di allontanare i Paesi asiatici — specialmente del sud e sudest asiatico — che non vogliono scegliere tra Stati Uniti e Cina ma collaborare con entrambe le superpotenze.

Il contributo che la Nato può dare — secondo l’articolo di Foreign Affairs, intitolato «Perché la Nato dovrebbe restar fuori dall’Asia» — è quello di rafforzare in Europa le capacità militari dei Paesi europei, in modo da permettere agli Stati Uniti di spostare l’attenzione verso l’Asia, ma è l’Unione europea secondo loro che può invece usare il suo potere economico e diplomatico per costruire una cooperazione transregionale tra Asia, Europa e Nord America. «L’Unione europea è meno controversa da un punto di vista politico della Nato e meglio equipaggiata» ad offrire non solo cooperazione militare con programmi come la European Peace Facilitye il Critical Maritime Routes Indo-Pacific Project, ma anche infrastrutture, connettività digitale e permetterebbe di affrontare questioni che sono fuori dal campo d’azione della Nato, come regolare gli investimenti stranieri, combattere la disinformazione e le minacce ibride.

Il summit sarà anche un palcoscenico per Biden, nel bene e nel male. Perfettamente a suo agio con i temi di politica estera, è però invitato da più parti al ritiro dalle elezioni mentre subito dopo il vertice Nato, tra il 15 e il 18 luglio i media si sposteranno in Wisconsin, dove Donald Trump verrà incoronato candidato del partito repubblicano alla convention di Milwaukee. Le elezioni di novembre sono determinanti per capire il futuro approccio dell’America alla Nato. I preparativi per il summit, scrive il Council on Foreign Relations, si sono concentrate su tre «spettatori» che possono minare l’evento: i leader ucraini che, come ricordavamo prima, l’anno scorso a Vilnius espressero delusione per il mancato invito a unirsi alla Nato; i repubblicani al Congresso che (riecheggiando Trump) hanno bloccato per mesi gli aiuti all’Ucraina e criticato la spesa europea come troppo bassa; e — last but not least — Vladimir Putin, le cui forze hanno ripreso l’iniziativa militare quest’anno dopo il fallimento della controffensiva ucraina nel 2023. Questo è anche l’ultimo summit di Jens Stoltenberg da segretario generale della Nato. In ottobre prenderà il testimone l’ex premier olandese Mark Rutte.

9 luglio 2024

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