Il presidente finlandese Stubb: «Mosca vuole indebolirci. Vorrei una Nato più a trazione europea»
Eletto a marzo, è il primo capo di Stato dell'«era Nato» del Paese: «Dobbiamo essere pronti ad affrontare qualsiasi problema. E non dimenticare che Kiev combatte per noi»

Il presidente della Finlandia Alexander Stubb, 56 anni, durante i colloqui al Quirinale con Sergio Mattarella (Epa)
Ci sono capi di governo europei che nutrono una certa simpatia per Mosca e volano a incontrare Vladimir Putin. E poi ci sono leader europei che si definiscono con convinzione «occidentali». Lo ha fatto a marzo, quando è entrato in carica, il presidente finlandese Alexander Stubb. Giovedì 4 luglio, Stubb è stato accolto a Roma da Sergio Mattarella e Giorgia Meloni per una visita di Stato. Al Corriere ha messo in chiaro con quale spirito guida il suo Paese: «Sono molto attaccato ai nostri valori. E ho intenzione di difenderli».
Presidente Stubb, questa difesa si gioca anche sul confine finlandese con la Russia, una linea che dal 2022 è segnata da crescenti tensioni: crede che potrebbero sfociare in qualcosa di più pericoloso?
«È chiaro che la Russia considera la Finlandia un nemico ma, come dico sempre, più ti prepari, meno rischi corri di esacerbare le tensioni. Mosca sta combattendo due guerre: una convenzionale, in Ucraina, e una ibrida contro l’Occidente. Noi siamo i bersagli di quest’ultima: la Russia utilizza i migranti per destabilizzare il nostro confine, modifica unilateralmente i confini marittimi, ci colpisce con attacchi cyber e campagne di disinformazione. Non credo che tutto ciò condurrà a un’escalation verso una guerra come quella scatenata contro Kiev, ma dobbiamo rimanere vigili e consapevoli che Mosca sta cercando di indebolire le democrazie liberali occidentali».
Poco più di un anno fa, il 4 aprile del 2023, la Finlandia è diventata ufficialmente un Paese membro della Nato, dopo decenni di neutralità. Cos’è cambiato per il suo Paese da quel giorno?
«Due cose, direi: la Finlandia è più sicura e la Nato è più sicura. Eravamo già molto legati all’Alleanza, perciò i Paesi membri sapevano di potersi fidare di noi come nuovo partner: il nostro esercito è uno dei più numerosi e meglio equipaggiati d’Europa, abbiamo 900mila cittadini che hanno completato il servizio militare, nella nostra regione siamo noi a garantire la difesa, non chiediamo che ci sia fornita. Ora abbiamo un triplo sistema di sicurezza: prima la nostra forza militare, poi la Nato, infine gli accordi di cooperazione militare siglati con gli Stati Uniti e altri Paesi. Direi che il nostro ingresso è stato un successo per l’Alleanza e, bhé, anche per noi».
La Finlandia è uno dei Paesi che ha aiutato di più l’Ucraina: finora ha stanziato 3 miliardi di euro. Secondo un sondaggio pubblicato pochi giorni fa, in tutta l’Unione europea i cittadini italiani sono quelli meno favorevoli a nuove spese per sostenere Kiev. Cosa direbbe a chi è contrario agli aiuti per far cambiare loro idea?
«La prima cosa che direi è: capisco il loro punto di vista. Per molti l’Ucraina è un Paese lontano, e quello che è lontano ci interessa meno. Ma ci sono due cose da sottolineare: la prima è che più aiutiamo Kiev ora, prima finirà questa guerra. Putin deve capire che noi siamo pronti a un impegno prolungato. E poi non dobbiamo dimenticare che gli ucraini stanno combattendo anche per i nostri valori».
È a favore della creazione di un meccanismo comune di difesa europea?
«Credo che i Paesi europei dovrebbero destinare più risorse alla propria difesa nazionale e a quella comunitaria. Ma vorrei vedere una Nato a trazione maggiormente europea, piuttosto che uno strumento di difesa europeo al di fuori dell’Alleanza. C’è già la Nato che si occupa della sicurezza europea: quello che i suoi membri possono fare è ampliare i propri arsenali, aumentare la propria produzione di armi e mezzi militari, rafforzare l’intero sistema dell’industria della difesa. Credo che sarebbe sbagliato plasmare un doppione».
Ai partner europei ha dato un suggerimento: «Siate più finlandesi»: ovvero?
«Quando si affronta un avversario come la Russia, è necessario essere freddi, calmi e uniti. Come si fa? Semplice, preparandosi per tempo, di modo che, quando cominciano i problemi — che sia una guerra o una catastrofe naturale — si riesca a restare lucidi e affrontarli. L’errore che abbiamo commesso è stato quello di diminuire i nostri livelli difensivi nell’illusione che, dopo la Guerra fredda, avremmo vissuto per sempre in un “mondo felice”. Si tratta, in fondo, di essere pragmatici. Ad esempio, non sono per niente d’accordo quando sento politici o generali dire che la Nato non è pronta per una guerra con la Russia: certo che lo siamo. O quando qualcuno sostiene che la Russia potrebbe “testare” l’articolo 5 dell’Alleanza (quando un Paese membro è attaccato, gli altri intervengono in sua difesa, ndr): non lo farà, perché sarebbe semplicemente stupido».
La prossima settimana sarà a Washington per il summit della Nato, che celebrerà anche i 75 anni dell’Alleanza. L’Ucraina sarà al centro dei colloqui: finora gli Stati Uniti sono stati l’alleato più importante per Kiev, ma tra pochi mesi alla Casa Bianca potrebbe tornare Donald Trump. Teme che Trump potrebbe abbandonare Kiev e diminuire l’impegno statunitense nella difesa dell’Europa?
«No, non sono preoccupato. Non credo che Trump lascerà da sola l’Ucraina: ha bisogno di un’Europa forte per poter tenere testa a quello che considera il suo più grande nemico, la Cina. Per farlo, gli Stati Uniti devono mantenere il loro ruolo di superpotenza, cosa che non gli riuscirà senza l’aiuto degli altri membri della Nato e senza una rilevante presenza americana in Europa».
Italia e Finlandia sono partner nell’Ue e alleati nella Nato. Ma sono anche a due estremi dell’Europa, entrambi Paesi «di confine». Secondo lei, cos’hanno in comune?
«Sono due Paesi simili, dal punto di vista geografico: la Finlandia protegge il “lato” settentrionale e orientale del Continente, l’Italia quello meridionale e il Mediterraneo. Quindi sì, siamo distanti, ma la logica che seguiamo è la medesima. Con la premier Meloni concordiamo su un punto fondamentale: la Nato deve pensare alla nostra sicurezza a 360 gradi».
Lei ha un rapporto anche personale con l’Italia: dopo aver lasciato la vita pubblica, nel 2020 si trasferì a Firenze, dove ha insegnato per tre anni allo European University Institute. Com’è stato per lei lasciare l’Italia per tornare nel suo Paese e poi diventarne il presidente?
«Sono sincero: se quattro anni fa, quando sono arrivato in Italia, qualcuno mi avesse detto che la Finlandia sarebbe entrata nella Nato e io sarei stato il presidente, gli avrei dato del matto, anche perché ormai avevo lasciato la politica. Ma quando Putin ha invaso l’Ucraina e Helsinki ha imboccato la strada verso l'Alleanza atlantica, mi sono convinto che mi sarei potuto rimettermi in gioco».
C’è una parola che definisce il carattere nazionale finlandese: «sisu». Cosa significa? E come la tradurrebbe a chi non è finlandese?
«Per me si tratta di resilienza e perseveranza: non ci si arrende davanti alle difficoltà. Allo stesso tempo, però, significa anche che riuscirai a sopravvivere più a lungo se a volte rinunci ai tuoi principii per imparare qualcosa di nuovo».