Smart working, chi ne usufruisce è meno soggetto a promozioni: ecco perché

Smart working, chi ne usufruisce è meno soggetto a promozioni: ecco perché Smart working, chi ne usufruisce è meno soggetto a promozioni: ecco perché

Per molto tempo si è parlato dei vantaggi dello smart working: oltre alla possibilità di mantenere il distanziamento sociale durante la crisi pandemica, il lavoro da remoto consente di conciliare meglio la vita professionale con quella personale, in alcuni casi anche di mantenere più alta la concentrazione, che si tende a perdere negli spazi condivisi tra colleghi. Secondo un’analisi di Live Data Technologies (condotta su un campione di 2 milioni di dipendenti), però, c’è anche uno svantaggio in termini di carriera: i lavoratori a distanza sono meno soggetti a promozioni.

I dati

Dopo il regime “forzato” di lavoro a distanza durante la pandemia di Covid, alcune aziende hanno impugnato il braccio di ferro contro lo smart working, mentre altre si sono dimostrate aperte a modalità ibride o totali a seconda delle necessità. Come racconta il Wall Street Journal, negli ultimi anni i cosiddetti «smart workers» hanno fatto un salto di carriera con una frequenza media inferiore del 31% rispetto a coloro che lavorano regolarmente in ufficio, a tempo pieno o anche in modalità ibrida: secondo i dati della ricerca, nel 2023 il 5,6% dei dipendenti che lavora interamente o parzialmente in sede ha ricevuto una promozione nella propria organizzazione, contro il 3,9% di coloro che lavoravano da remoto. Nello specifico, questi ultimi tendono a ricevere meno supervisione e tutela e il divario danneggia in modo particolare le donne.

Il ritorno in ufficio premia?

Uno studio realizzato a dicembre 2023 dal Census Bureau e del Bureau of Labor Statistics evidenzia come quasi il 20% di tutti i dipendenti con un titolo di studio universitario o superiore lavora ancora da remoto. Tra gli amministratori delegati intervistati, il 90% ha dichiarato che quando devono assegnare un incarico più elevato, un aumento o una promozione, tendono a favorire dipendenti di cui hanno effettivamente verificato la dedizione e lo sforzo in ufficio. Un risultato in linea con quanto emerso dal sondaggio online dello scorso anno di Kpmg, realizzato su 1.325 amministratori delegati di grandi aziende in 11 Paesi: quasi due terzi ha risposto che la maggior parte dei dipendenti sarebbe tornata a lavorare in sede a tempo pieno entro tre anni.

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