|
O.J. Simpson, morto ieri a 76 anni, durante il processo O.J.Simpson se n’è andato a 76 anni da uomo libero, ucciso da un cancro nella sua villa di Las Vegas, portandosi nella tomba la leggenda di eroe dello sport e dello spettacolo bello e dannato e, soprattutto, il mistero dell’assassinio della sua ex moglie Nicole Brown Simpson, uccisa nel 1994 a Los Angeles, quando aveva 35 anni, e del suo amante, il 25enne Ronald Goldman. Nella memoria dell’America e del mondo sono rimaste le immagini di un incredibile inseguimento: il campione più amato del Paese, la stella del football divenuto protagonista di decine di film, commentatore sportivo, testimonial pubblicitario di grandi aziende, incriminato per il duplice omicidio subito dopo il funerale della ex moglie al quale aveva partecipato. Lui si sottrae all’arresto fuggendo su un Suv bianco guidato da un amico, scavalcando i posti di blocco ai quali si presenta con una pistola puntata alla tempia e minacciando il suicidio. In fuga per cento chilometri inseguito da decine di auto della polizia e dagli elicotteri delle reti televisive che trasmettono tutto in una diretta seguita da 95 milioni di americani. Fino al ritorno del fuggitivo a casa e all’inevitabile arresto. Memorabile anche il processo, durato nove mesi, il più lungo e complesso della storia della California: 126 testimoni, migliaia di reperti. Le prove contro O.J. sembravano schiaccianti: il campione, in pubblico affascinate, modi gentili e voce vellutata, con alle spalle la storia di un bambino povero e gracile, cresciuto coi tutori di acciaio alle gambe per sostenersi, che nei ghetti di san Francisco impara a correre fino a diventare la stella più brillante della National Football League, in privato è ben altro. C’è il mistero di una figlia morta in tenera età affogata in piscina, un divorzio turbolento e la nuova moglie, Nicole, minacciata e picchiata molte volte anche dopo il nuovo divorzio, spesso con interventi della polizia che arresta il campione, ma lo rilascia subito dopo. Durante il processo vengono ricostruite ben 62 aggressioni di O.J. e le prove del delitto sembrano inchiodarlo: a casa del campione vengono trovate macchie di sangue ovunque, su vestiti, su un guanto identico ad uno rinvenuto nel luogo dell’omicidio. I test del Dna sono compatibili con la colpevolezza del campione e non ci sono altri sospettati. Ma la polizia commette molti errori, i guanti sono troppo stretti per la sua mano e il detective che conduce le indagini è un noto razzista. Sul banco degli imputati, oltre a O.J., finiscono i metodi brutali della polizia di Los Angeles e i difficili rapporti interraziali. Dopo 266 giorni di clausura, una giuria di 10 neri e due bianchi impiega appena 3 ore per emettere un verdetto unanime di innocenza. Negli anni successivi, ormai non più incriminabile, O.J. gioca col delitto ipotizzando nella bozza di un libro e in un’intervista televisiva di essere stato l’assassino. In un successivo processo, solo civile, viene riconosciuto colpevole e condannato a indennizzare le famiglie delle due vittime. Nel 2008, in Nevada, viene condannato per rapina a mano armata e rapimento dopo aver assalito con altra gente armata venditori di memorabilia sportivi. Rischia una condanna a 33 anni, ma ne sconterà meno di dieci: tornerà di nuovo libero nel 2017. |
|