Il calcio creativo di Spalletti agli Europei: perchè non è facile da capire

diFabrizio Roncone, inviato a Dortmund

Il c.t. della Nazionale Luciano Spalletti studia anche di sera il calcio, suo e quello degli altri, le parole da usare con i giocatori. Consulta gli appunti, rivede le partite. Non ha tempo

Siamo a cena nel ristorante Acqua, forse il migliore avamposto culinario italiano della Renania Settentrionale-Vestfalia. Lo chef è il fratello del proprietario, un certo Sandro, sono napoletani, e se gli chiedi un piatto di spaghetti al pomodoro te lo preparano senza aggiungerci la senape, o la noce moscata, o tutto insieme più qualche cetriolino, perché i tedeschi vanno pazzi per i cetriolini.

Fuori piove, acqua a secchiate, ma dentro c’è una bella atmosfera, accogliente, e così lo sguardo scorre sulle tavolate, dove siedono molti dei nostri calciatori azzurri, venuti a trascorrere qui la serata di libertà che gli ha concesso Luciano Spalletti.

Laggiù, c’è il gruppetto romano: con Pellegrini, Cristante, Mancini, El Shaarawy e Zaccagni, ai quali s’è aggiunto Di Lorenzo, il capitano del Napoli (ancora per poco, dicono). Sulla sinistra, c’è Darmian con la famiglia. Donnarumma è in compagnia di alcuni amici. Fagioli e Gatti scherzano con due ragazze («Sono le cugine»). Quasi tutti, entrando, sono andati ad omaggiare Gianluca Di Marzio, giornalista di Sky e autentica autorità in tema di calcio mercato.

E di questo parlano gli azzurri: un po’ di mercato, chi va, chi resta, chi prolunga il contratto, e poi di orologi, macchine, delle vacanze che nessuno sa quando potranno cominciare. Perché la tremenda domanda che aleggia è: con la Croazia vinciamo? Riusciremo a qualificarci per gli ottavi di questo Europeo?

A 23 chilometri da qui, al centro di una foresta, c’è l’uomo che sta cercando di trovare la risposta. Il cittì è rimasto a Iserlohn, sede del ritiro azzurro. Chiuso nella sua camera d’albergo, alla luce bianca di una lampada, chino sul tavolo e lì che consulta i dati della partita in cui la Spagna ci ha preso a pallate (chi ha corso di più, chi meno, il numero dei contrasti persi e dei passaggi sbagliati) e riempie fogli di frecce e cerchietti. Ogni tanto, apre uno dei suoi quaderni. I suoi famosi, preziosi quaderni. E legge.
Su quegli appunti c’è la vita di un allenatore che studia. Che non si accontenta. Che non si è mai fatto bastare il puro genio tattico, il talento di vedere posizioni e binari di gioco che gli altri non vedono: Spalletti approfondisce, curiosa nel calcio altrui e lo elabora, prova a migliorare il proprio, sempre immerso in una pignoleria prossima all’ossessione. Uno schema banale lo avvilisce. Invece lo eccita inventare (tipo certe difese «rotanti» a tre e mezzo, oppure Totti falso nove, Brozovic playmaker e Lobokta bussola vivente, quando al Maradona pensavano di guardare il Napoli alla play-station).

Sta cercando di stupirci anche stavolta. Qualcuno, però, inizia a soffiare critico: in azzurro non si crea, non c’è tempo. Può darsi ci sia una porzione di verità. Ma non sempre è stato così. Arrigo Sacchi dette la sua impronta. E pure Cesare Prandelli, con quel centrocampo formato da registi (Pirlo, De Rossi, Marchisio, Motta e Montolivo). La sensazione diffusa è che qui, in Germania, Spalletti stia comunque tentando di portare la Nazionale in una dimensione ultra moderna. È visionario? Forse. Rischia? Sì. Però ci crede, come crede in tutte le cose che dice. E in come le dice. Il suo linguaggio creativo, pieno di suggestioni, nasce da riflessioni profonde.
Il cittì è convinto che non esista più un sistema di gioco fisso (4-3-3, piuttosto che 4-2-3-1, o via dicendo). Ma che esistano strutture di gioco diverse nelle varie fasi. È questo il suo «calcio relazionale»: il calciatore deve sapersi adattare alle situazioni. Mentre nel calcio «posizionale» si colloca in posizione vantaggiosa e da quella si muove, in quello «relazionale» è dai suoi stessi movimenti e da quelli degli avversari che nascono le linee di passaggio. In questo, il pressing è fondamentale: ecco allora la «riaggressione feroce» (quando si perde palla) e la «ricomposizione» o, meglio, il «tornare a casa», che poi significa non farsi trovare sbilanciati. Pronti a «ordine, studio e preparazione»: cioè a risistemarsi per partire alla conquista del pallone. Dobbiamo essere «legati».
È un calcio faticoso, di corsa e di aiuto reciproco. «Andremo lì vestiti bene, noi si veste Armani, ma siamo disposti a sporcarci». Lo avrete sentito: «Possiamo anche decidere di farli entrare. Dipende dalle nostre distanze, da dove sei con il blocco della squadra in quel momento». Infatti, «a qualche giocatore gli si chiede d’essere bifasico».

Tutto questo contro la Spagna non ci è riuscito. Per la qualità del gruppo, che è quella che è, certo: ma — a ripensarci — forse pure perché molti azzurri, nel tentativo di accontentarlo, giocano senza allegria, preoccupati.
Anche adesso, in questo ristorante.
Facce un po’ grigie. Di Lorenzo e Cristante alla cassa, per il conto. Scusate, ragazzi, un dubbio: ma voi, Spalletti, siamo sicuri che lo capite?

23 giugno 2024 ( modifica il 23 giugno 2024 | 06:50)

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