
In chiesa con la famiglia, davanti al feretro di Navalny
MOSCA – Qualcuno, tra i fiori, ha lasciato anche una tavola di cioccolata. Rose e garofani strabordano dalla bara. Aperta come vuole il rito ortodosso. Il busto si scorge appena. Una giacca scura, una cravatta nera a righe rosse e poi quel viso pallido, incerato, dai lineamenti quasi distorti, incoronato dal vencik dove si fatica a riconoscere l’indomito oppositore che neppure il carcere aveva addomesticato. È tutto quel che vediamo del guscio umano di Aleksej Navalny su cui fino all’ultimo si è giocato un indecoroso braccio di ferro.
La madre Ljudmila e il padre Anatolij non smettono di stringersi la mano neppure per farsi il segno della croce alle invocazioni del sacerdote che col turibolo riempie l’aria di oli profumati. Lei infagottata in un cappotto e scialle neri, lui con lo sguardo perso nella penombra della Chiesa rischiarata dai ceri accesi. Si aggrappano l’un l’altro.
Non ci sono che loro ad assistere alla cerimonia funebre, attorniati dalle poche decine di sostenitori che sono stati ammessi ad entrare dopo essersi incolonnati fin dal mattino davanti al sagrato della Chiesa dell’Icona della Madre di Dio “Allevia le mie tristezze” nel quartiere di Marino e aver superato transenne e metal detector. Un ragazzo brufoloso. Una coppia di anziani. Una donna sulle stampelle. Molti piangono e singhiozzano fragorosamente quando si avvicinano alla bara, consapevoli del privilegio negato persino al fratello Oleg, un latitante per la giustizia russa, e alla vedova Yulia e ai figli Daria e Zakhar.
Troppo pericoloso per loro tornare dall’esilio, soprattutto dopo le parole pronunciate da Navalnaya contro Vladimir Putin. Ai tanti moscoviti rimasti fuori, oltre le transenne, non resta che applaudire e scandire il nome Aleksej quando, infine, il feretro viene portato fuori e caricato sul carro funebre. Qualcuno prova a inseguirlo e gli lancia contro il mazzo di fiori che aveva portato. L’asfalto diventa un tappeto di petali, mentre in cielo si levano dei palloncini grigi.

Inizia la lenta processione verso il cimitero Borisovskoe, due chilometri e mezzo più a Sud, oltre il fiume Moscova. I moscoviti si disperdono in diversi rivoli incolonnati tra falangi di minacciosi agenti anti-sommossa Omon. Ma loro sono migliaia. Una folla mai vista da quando la Russia ha lanciato l’offensiva contro Kiev e stretto le maglie della repressione interna. Gli automobilisti li salutano suonando il clacson. Loro rispondono: “Ty ne bojalsja, i my ne boimsja”, “Tu non hai avuto paura, noi non abbiamo paura”. Promettono: “Non dimenticheremo, non perdoneremo”. E riesumano i vecchi slogan che un tempo risuonavano nelle piazze e nei cortei: “Russia senza Putin” e “la Russia sarà libera”. Finché qualcuno irrompe in un “Net vojne”, “No alla guerra”, la parola proibita nel Paese che parla soltanto di Operazione Militare Speciale.
Molti hanno un soprassalto e tentennano prima di unirsi al coro. Ma ci si fa coraggio l’un l’altro. Anche se è chiaro che gli uomini col passamontagna che filmano a ogni angolo delle strade altro non sono agenti in borghese. Persino il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha avvertito di possibili sanzioni in caso di partecipazione a manifestazioni “non autorizzate” durante i funerali. Oggi però lasciano fare. La giornata si conclude con soli 45 arresti in tutta la Russia, di cui sei a Mosca. Ci sarà tempo per passare al setaccio tutti i filmati, identificare, schedare e reprimere.
Al cimitero, mentre la bara viene calata nella fossa appena scavata, risuona la colonna sonora di Terminator 2, “il miglior film mai realizzato” secondo Navalny, stando alla portavoce Kira Jarmish. Ci si mette in fila per lanciare il proprio mucchietto di terra umida nella buca e incrociare uno sguardo con la madre Lyudmila che reagisce con un battito di palpebre. A rendere il loro omaggio ci sono anche decine di ambasciatori occidentali. Per l’Italia, il più alto in grado, l’incaricato d’affari Pietro Sferra Carini. Sfilano anche l’oppositore di Ekaterinburg Evgenij Rojzman e i candidati esclusi dalle presidenziali Boris Nadezhdin ed Ekaterina Duntsova. Ilja Jashin saluta dal carcere. I collaboratori in esilio promettono: “Non ci arrenderemo. Il bene trionfa sempre sul mare”.
La processione non si arresta neppure dopo che la bara viene sotterrata e sulla terra fresca viene issata una croce e un ritratto di Navalny sorridente in bianco e nero. Il cimitero rimane aperto fino a tarda sera. La gente canta “Yulia siamo con te” e accende le torce del telefono. Migliaia di luci nella notte scura. Un’immagine potente a due settimane dalle elezioni presidenziali che confermeranno Vladimir Putin per un quinto mandato. Per un giorno la Russia è stata libera. Ma il futuro è tutto da vedere.