Navalny, il corpo negato

Dopo avergli negato il nome, ora il Cremlino gli nega il corpo. Prima l’identità, ora una tomba. L’ultimo affronto per annichilire il nemico pubblico numero uno, Aleksej Navalny, morto venerdì in una colonia penale sperduta nell’Artico. Alla madre incredula, Ljudmila Ivanovna, volata insieme a un avvocato fin nel villaggio di Kharp, a 1.900 chilometri dalla capitale e a 30 gradi sotto lo zero, hanno consegnato soltanto un «documento ufficiale». Confermava la morte del figlio «avvenuta il 16 febbraio alle 14.17 ora locale», le 10.17 in Italia. Della salma, però, nessuna traccia.

A Kharp la madre e il legale di Navalny hanno dovuto aspettare due ore prima che un funzionario li spedisse all’obitorio di Salekhard, 53 chilometri più a Sud. Un sinistro edificio a due piani che hanno trovato chiuso. E quando hanno composto il numero di telefono affisso sulla porta, qualcuno ha risposto: «Siete i settimi a chiamare. Ma il corpo di Navalny non è qua». Il responsabile del dipartimento locale di anatomia patologica Sergej Ivchenko, chiamato da Mediazona, ha fatto di peggio: ha riattaccato.

Per i membri della Fondazione anti-corruzione (Fbk) creata dal defunto Navalny, non ci sono dubbi: «L’omicidio era stato pianificato. È ovvio che gli assassini vogliono coprire le loro tracce. Ecco perché non consegnano il corpo di Aleksej e non lo mostrano nemmeno a sua madre».

Stando a Ivan Zdhanov, direttore di Fbk, qualcuno avrebbe riferito a Ljudmila Navalnaja che a causare la morte del figlio sarebbe stata la “sindrome della morte improvvisa”. Un termine vago che accomuna diverse patologie cardiache che causano infarto e morte. Una nuova tesi, non per questo più credibile, dopo quella del trombo avanzata venerdì da Rt, ex Russia Today. Ma poi la Commissione investigativa ha comunicato all’avvocato che «la causa della morte non era stata accertata» e che la salma sarebbe stata trattenuta fino al termine di nuovi esami.

«I risultati dovrebbero essere noti la prossima settimana», ha scritto sui social Kira Jarmish, per oltre dieci anni portavoce di Navalny. «Lo stesso dipartimento un’ora prima aveva detto che l’autopsia era stata completata e non aveva riscontrato alcun crimine. Ci fanno girare a vuoto». Continue contraddizioni sintomo, per Jarmish, di ovvie bugie. Non è l’unica.

Un detenuto nella stessa colonia di Navalny ha parlato a Novaja Gazeta Europe di «un’incomprensibile agitazione» nella notte di giovedì 15. Tanto che l’appello della sera, che di solito avviene tra le 20 e le 20.30, sarebbe stato «notevolmente accelerato».

«La sicurezza è stata rafforzata. Non potevi mettere il naso fuori. Si sentivano macchine arrivare fino a tarda notte». Della morte di Navalny, ha raccontato, i detenuti sarebbero venuti a conoscenza l’indomani alle 8 ora di Mosca (le 6 in Italia), «prima dell’annuncio ufficiale”.

E la petizione lanciata su Change.org perché ai familiari di Navalny vengano consegnate le registrazioni delle telecamere di sorveglianza della colonia penale sembra destinata a restare inascoltata.

La morte di Navalny, scrivono fonti bene informate, avrebbe colto di sorpresa il Cremlino che se la sarebbe presa con il Servizio Federale Penitenziario per non aver protetto meglio il detenuto eccellente.

L’amministrazione presidenziale avrebbe persino creato un apposito quartier generale per gestire la crisi. Una prima decisione sarebbe stata presa: Putin non farà alcun commento. «Sarebbe controproducente». Anche ieri, apparso in tv a un evento di Gazprom, non ha detto una parola sulla scomparsa di Navalny che non chiamava mai per nome, soltanto «blogger».

Il grande nodo resta che cosa fare del corpo. Non solo per nascondere eventuali responsabilità, ma per privare l’opposizione orfana del suo leader e martire di una tomba che potrebbe diventare meta di pellegrinaggio e di un funerale che potrebbe trasformarsi in denuncia e protesta.

Sui social serpeggia il sospetto che le autorità possano appellarsi alla legge approvata nel dicembre 2002, due mesi dopo l’assedio del Teatro Dubrovka, che prevede che i corpi delle persone uccise in seguito alla «repressione di un attacco terroristico» non vengano consegnati ai familiari, ma sepolti dalle autorità in una località sconosciuta.

In realtà, benché su Navalny pendesse l’etichetta di «terrorista e estremista», affibbiata a gruppi come Al Qaeda o Isis, la legge del 2002 non si applicherebbe a lui. Ma è lunga la rassegna di precedenti in cui sono stati trovati escamotage o invocati altri codicilli pur di trattenere il corpo di un detenuto morto in carcere e nascondere i propri misfatti.

Una sentenza della Corte Costituzionale stabilisce che «la consegna del corpo può creare una minaccia per la sicurezza pubblica di altri cittadini» e che «i luoghi di sepoltura dei terroristi possono diventare oggetti di culto». E a vedere i memoriali improvvisati in decine di città russe, tutto fa pensare che la tomba di Navalny lo diventerebbe.