C’è molta attesa per il quarto Summit Italia-Africa, che si terrà a Roma i prossimi 28 e 29 gennaio. In quella cornice dovrebbe prendere corpo il Piano Mattei, che finora è stato solo materia di un decreto recentemente trasformato in legge. Nel momento in cui ne scriviamo, a pochi giorni dall’evento, le indiscrezioni che circolano segnalano una certa impasse sulla lista dei partecipanti: i nomi dei leader di numerosi Paesi africani, attesi per il summit, non sono ancora definiti e c’è già chi ipotizza che l’evento possa trasformarsi più pragmaticamente in un incontro tra ministri degli Esteri. Tutto questo mentre i focolai di guerra vanno moltiplicandosi, come dimostrano gli attacchi dei ribelli Houthi che hanno preso di mira le navi nel Mar Rosso, costringendole a una circumnavigazione dell’Africa. Un ulteriore problema che il governo ha dovuto mettere in agenda. La nebulosità che circonda l’evento è simile a quella che avvolge per ora il piano Mattei che, a detta della premier Giorgia Meloni, si propone di guardare all’Africa evitando modalità «caritatevoli, paternalistiche o assistenzialiste», andando alla ricerca di nuove partnership e rinsaldando le vecchie. Ma soprattutto cercando di recuperare un ritardo che il Paese registra rispetto ad altre realtà europee che si sono mosse per tempo, soppesando l’emergenza migratoria e prendendo seriamente la leadership che colossi come Cina e Russia hanno già acquisito in alcuni quadranti del continente, dove sono presenti le materie prime che oggi fanno la differenza.
L’esempio tedesco
Solo per fare un esempio, la Germania da tempo ha sviluppato azioni di sostegno a singoli Paesi affidabili, di cui ha promosso riforme, in modo da garantire terreno più sicuro per i propri investimenti. Nel 2017 poi, quando la Germania guidava il G20, il Compact with Africa (CwA) ha selezionato alcuni Paesi verso cui dirigere gli sforzi in settori strategici che andavano dalle infrastrutture all’energia, dall’agricoltura all’estrazione delle materie prime e anche alla tecnologia. L’iniziativa si è sviluppata fino al recentissimo incontro che ha coinvolto imprenditori tedeschi e africani. Quanto all’Italia, benché Giorgia Meloni abbia alle spalle poco più di un anno di mandato, sono molte le missioni che ha già svolto in Africa, partendo dai Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, la cui valenza in materia di energia, è diventata strategica dopo l’avvio del conflitto in Ucraina e dove l’Eni, guidato da Claudio Descalzi, ha già ottenuto l’aumento delle importazioni. Ma tra i primi contatti che Meloni ha messo in agenda ci sono quelli con Paesi come il Mozambico e il Congo, e poi l’Angola, il Burundi, la Mauritania e naturalmente l’Etiopia e la Somalia.
Gli obiettivi del governo
In attesa di scoprire l’agenda delle future specifiche iniziative del Piano, è già possibile individuarne però gli obiettivi strategici. Il primo è quello di contribuire a creare stabilità in alcuni Paesi che presentano situazioni critiche al livello di governo. Parliamo non solo della Libia ma dell’intero fronte nord africano. Dunque si parte dalla cooperazione alla sicurezza che passa anche attraverso l’uso dell’intelligence. Stabilizzare i governi può essere utile anche per centrare un altro obiettivo che per un governo di destra, come quello di Meloni, è primario: controllare i flussi migratori che negli ultimi due anni sono diventati più massicci, segnalando un fenomeno che ormai pare irreversibile. Obiettivo più ambizioso sarebbe quello di consentire ai Paesi africani di riuscire a sfruttare da soli le proprie risorse, almeno in parte. Quello dell’estrazione delle materie prime è un ambito nel quale i trascorsi coloniali hanno creato grande insofferenza verso i Paesi terzi. Aiutare i Paesi a gestire la catena produttiva, affiancandoli con l’uso delle tecnologie potrebbe essere una modalità più accettabile. Stesso discorso vale per l’agricoltura tradizionale che potrebbe essere modernizzata.
Grandi opere, tecnologia, formazione
La stagione delle grandi opere in Africa non è mai partita veramente malgrado i grandi annunci: qualcuno ricorderà i megapiani del governo Berlusconi in Libia. Di questo oggi si occupa la Cina, ma anche l’Unione europea che ha varato il programma Global Gateway: 150 milioni di euro per accelerare la transizione green e digitale, fornire infrastrutture materiali e immateriali. Le aziende italiane che possono contribuire a questo programma, o ad altri progetti che l’Italia può proporre da sola, hanno già dimostrato di avere mezzi e tecnologie idonei. Ma c’è un ambito su cui ci si può muovere immediatamente senza particolari infrastrutture, ed è la formazione. «L’obiettivo più immediato — spiega Giangiacomo Calovini, il deputato di Fratelli d’Italia che è stato relatore del provvedimento — è creare profili tecnici professionali che possano essere utilizzati in loco ma che, volendo, si realizzino in Italia, aspirando a lavori diversi da quelli cui sono stati finora destinati». Se questa può essere la griglia su cui si muoverà il piano Mattei, per ora si stanno organizzando le strutture. A guidare l’attuazione del piano sarà l’ambasciatore a Tunisi Fabrizio Saggio, nuovo consigliere diplomatico della premier. Che è stato designato Coordinatore della struttura di missione del Piano Mattei, e a Palazzo Chigi guiderà la squadra composta dal ministro plenipotenziario Alessandro Cattaneo, consigliere diplomatico aggiunto, e dai consiglieri Lorenzo Ortona, Lucia Pasqualini, Luca Laudiero, Raffaella Di Carlo, Stefano La Tella e Alice Marziali.
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23 gen 2024
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