Due anni di guerra in Europa e l’Ucraina che non si arrende America-Cina del 23 febbraio

America-Cina Il Punto | La newsletter del Corriere della Sera
testata
Venerdì 23 febbraio 2024
Due anni di guerra in Europa
editorialista di matteo castellucci

Domani, il 24 febbraio, saranno passati due anni. Da quando una nuova guerra è genericamente «scoppiata» in Europa? Non solo, sarebbe una dicitura frettolosa. Mentre registriamo le nuove avanzate russe, i ricatti al Congresso americano sugli aiuti o le «pressioni» di un pezzo di politica (non tutta) su Kiev per un compromesso, mentre la morte in carcere di Aleksei Navalny ci ricorda chi è la controparte nelle eventuali trattative, ripassiamo quale anniversario ricorre: nella notte tra 23 e 24 febbraio 2022, dopo gli ordini a reti unificate di Vladimir Putin in tv, le truppe russe hanno invaso l’Ucraina. Nei 24 mesi successivi a quel risveglio, c’è stato un esercito invasore — che ora avanza di nuovo — e uno di liberazione, che arretra perché a corto di munizioni.

Partiamo da qui, con i contenuti dello speciale che trovate oggi in edicola e online sul nostro sito. Le mappe del punto militare dettagliano le fasi del conflitto, fino allo stallo attuale. L’Ucraina è un Paese stremato che, come racconta Lorenzo Cremonesi da lì, ha pagato e sta pagando un prezzo umano altissimo, ma resta convinto della vittoria. «È il momento decisivo», quello in cui gli alleati non devono abbandonare Kiev, secondo l’ex capo della Cia. È facile abituarsi anche alle scene peggiori, ma le macerie che vediamo ogni giorno non sono un film, racconta il regista del documentario su Mariupol, candidato agli Oscar. Intanto, il presidente americano Joe Biden ha ricevuto la figlia e la moglie di Navalny e si appresta a varare nuove sanzioni alla Russia.

Continuiamo con le difficoltà della sua amministrazione a convertire in consensi l’economia che va forte e i timori sulle grandi gru «made in China» nei porti americani. In Europa, la Francia espelle i jihadisti, mentre la Germania si prepara a legalizzare la cannabis. L’Agenzia europea per l’Ambiente ribadisce che ridurre l’inquinamento atmosferico vorrebbe dire salvare vite: lo scriviamo al condizionale perché il Nord Italia ha «ottenuto» un’esenzione di dieci anni sul regolamento europeo per abbattere le polveri sottili. In Austria, l’ex ragazzo prodigio Sebastian Kurz compare in uno dei processi che hanno segnato la sua vita da quando non è più cancelliere. Infine, un lander americano torna sulla Luna e, 117 anni dopo, i Buffalo Soldiers ottengono un riconoscimento. Buona lettura!

America-Cina è uno dei tre appuntamenti de «Il Punto» del Corriere della Sera. Potete registrarvi qui e scriverci all’indirizzo: americacina@corriere.it

1. Illusioni, sangue e paura: Kiev sta perdendo?
editorialista
di andrea marinelli e guido olimpio

Una maratona di sangue, sacrifici, illusioni: questo raccontano i due anni del conflitto iniziato con l’invasione russa del 24 febbraio 2022. Un mattatoio in cui gli ucraini hanno finito i proiettili e perduto uomini, mentre l’avversario ne ha di più — soldati pescati nelle regioni più remote o nelle prigioni — e non si fa scrupolo di mandarli a morire. A distanza di due anni, gli ucraini si ritrovano oggi nel momento peggiore della guerra, con alcuni alleati che hanno cominciato a perdere le speranze e a chiedere a Volodymyr Zelensky una via d’uscita, un compromesso per mettere fine ai combattimenti. Mosca è partita con il piede sbagliato, convinta di finire in poche settimane. (...) Il Cremlino ha allora ridimensionato gli obiettivi, concentrandosi sul Donbass e sull’area meridionale. Una revisione accompagnata tuttavia dai primi rovesci in Mar Nero, con l’affondamento dell’ammiraglia Moskva.

imageLa massima avanzata russa. Gli ucraini hanno poi ripreso Chernihiv e Kharkiv e, al sud, Kherson

Grazie ad un gigantesco piano d’assistenza occidentale, la resistenza prima ha tenuto con grande dispendio di forze — simbolica la difesa di Mariupol, caduta a metà maggio — poi a settembre ha sorpreso l’Armata a oriente, nel settore di Kharkiv: i russi sono stati costretti a ripiegare a causa di uno schieramento precario e degli errori di una catena gerarchica sottoposta a cambi continui. A novembre 2022 le vittorie nell’area di Kherson, a sud, hanno spinto a credere — non tutti — in una riconquista futura dei territori (...) Sotto la guida del generale Sergei Surovikin — poi spostato ad altro incarico — la Russia ha gestito bene un momento critico, segnato anche dalla rivolta di giugno innescata dal capo della Wagner, Evgeny Prigozhin.

imageL’attuale linea del fronte

I russi hanno stabilizzato il fronte, hanno creato una serie di linee di difesa rivelatesi formidabili, hanno riempito i ranghi, adottato tattiche certamente sanguinose ma che però hanno permesso di logorare progressivamente le truppe di Zelensky. (...) Dopo l’estate la spinta degli ucraini si è arenata e, inevitabilmente, gli uomini hanno ceduto al ritorno dei russi, sempre in grande vantaggio in termini di artiglieria, missili, proiettili e fanteria. (...) Kiev, priva di una Marina, ha continuato a mettere in crisi la Flotta del nuovo zar usando dei battelli radiocomandati e cruise. Questi lampi non hanno però oscurato la disfatta di Avdiivka, settore in cui i russi hanno ripreso ad avanzare. (...) Se avessero avuto più uomini e più munizioni, sostengono i generali di Kiev, la battaglia di Avdiivka sarebbe «andata diversamente»: per non perdere la guerra, insomma, gli ucraini hanno ancora bisogno dell’aiuto alleato.

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2. Giovani in fuga e fratture politiche, ma l’Ucraina crede nella svolta
editorialista
di lorenzo cremonesi
inviato a Mirnograd

«Sai, tanti nostri ventenni pensano e agiscono come i giovani dell’Europa occidentale. Sono nati e cresciuti dieci anni dopo la fine dell’Urss, non sanno cosa voglia dire vivere sotto il tallone della dittatura russa. (...) Siamo noi più anziani, quarantenni e cinquantenni con la memoria e i racconti in famiglia di com’era prima del 1991, che siamo più disposti a offrirci volontari per il fronte». Che qualche cosa di profondo sia mutato nella società ucraina all’inizio del terzo anno di guerra l’abbiamo colto sulle prime linee del Donbass pochi giorni fa parlando con tre ufficiali di mezza età. Tutti favorevoli ad allargare al più presto il servizio di leva per cercare di rimpiazzare i soldati che, come loro, rischiano la vita al fronte sin dai primi tempi dell’invasione russa, eppure ben contenti di essere riusciti a mandare i propri figli all’estero prima che diventasse impossibile.

imageA Kiev un murales omaggia un soldato che ha abbattuto 7 droni russi (Ap)

«Io sono pronto a morire, ma vorrei che mio figlio si laureasse in ingegneria a Berlino. Poi, se ci sarà bisogno anche di lui, verrà qui a combattere», diceva Petro, un colonnello esperto nei duelli tra droni. Il cambiamento principale è che c’è un senso di autoconservazione più marcato. La stanchezza, la crisi economica, la disoccupazione, le necessità di tirare avanti tra sempre nuove difficoltà corrodono anche lo slancio più generoso. Due anni fa i russi furono cacciati indietro soprattutto grazie ad un corale sforzo di volontari. Tanti giovani e giovanissimi, ma comunque anche persone di ogni età, che si mobilitavano per lo sforzo comune. Moltissimi morirono o rimasero feriti andando a combattere senza mai avere sparato un colpo, altri trasportando cibo, sacchi a pelo e munizioni alle prime linee letteralmente incuranti del rischio. (...) Ora non più. Lo si vede nelle piccole cose.

Non solo nella gravissima carenza di giovani nei centri di reclutamento. Per esempio, nel risentimento crescente contro la corruzione, contro chi ottiene permessi speciali per viaggiare all’estero, i night club aperti sino a tardi nelle città del centro-ovest, mentre vicino al fronte il coprifuoco inizia alle nove di sera. Il numero di invalidi con le stampelle o in carrozzella per le strade ricorda le città europee dopo la II Guerra Mondiale. (...) Ma tutto ciò non significa affatto che gli ucraini siano adesso disposti ad arrendersi ai diktat di Putin. (...) Secondo gli ultimi sondaggi effettuati dal Kiev International Institute of Sociology, il 73 per cento sarebbe pronto a continuare la guerra «sino a quando sarà necessario», due punti percentuali in più rispetto ai sondaggi del maggio 2022, e l’89 per cento crederebbe ancora in una vittoria ucraina, sebbene al momento solo il 24 per cento consideri che la situazione, dopo la sconfitta di Avdiivka, sia favorevole.

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3. L’ex capo della Cia: «Momento decisivo»
editorialista
di viviana mazza
inviata a Charleston

«Ci troviamo in un momento decisivo della guerra: il finale non è ancora scritto ma capiremo che cosa succederà all’Ucraina, se Stati Uniti e alleati fermeranno l’aggressione russa. Questo momento è un test: mostrerà se gli Stati Uniti rispettano la parola data e forniscono gli aiuti militari necessari», dice al Corriere Leon Panetta, ex capo del Pentagono ed ex direttore della Cia. «Adesso il conflitto è con la Camera e, in particolare, con lo speaker: metterà o no ai voti il pacchetto approvato dal Senato? La mia opinione è che non è possibile che gli Stati Uniti stiano a guardare mentre Putin prevale, punto e basta. Quindi spero che lo speaker agisca in modo responsabile e che, trattandosi della nostra sicurezza nazionale, consenta questo voto. Ma aggiungo che il presidente Biden deve chiarire che gli Stati Uniti, indipendentemente da quello che fa la Camera, faranno tutto ciò che è necessario per aiutare l’Ucraina».

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4. Il regista del documentario su Mariupol: «Torneremo»
editorialista
di marta serafini

imagePompieri in azione tra le macerie dopo un raid russo su Odessa, questa notte (Ap)

«Mariupol non può essere solo una parola o una fotografia. Mariupol è molto di più». Si preoccupa Mstyslav Chernov, regista di 20 Days in Mariupol basato sul reportage e le testimonianze raccolte durante le prime settimane di uno degli assedi più terribili della Storia contemporanea e candidato agli Oscar come miglior documentario. A Chernov e ai suoi compagni di lavoro Evgeniy Maloletka, Vasilisa Stepanenko e Lori Hinnan è stato assegnato il Pulitzer. (...)

L’opinione pubblica occidentale sembra distratta, meno empatica con le sofferenze degli ucraini...
« Da giornalista lo capisco molto bene. Il giornalismo non ha risorse infinite e ora c’è anche un’altra guerra da coprire, quella in Medio Oriente. Ma vista dalla prospettiva delle persone che sono intrappolate ad Avdiivka, o sotto i bombardamenti a Kharkiv è molto differente. Il mondo pensa che siano attori di un show televisivo che è diventato meno popolare, ma non è uno show televisivo, è gente reale. Questo dovrebbe portarci a pensare che Mariupol non è capitata solo agli ucraini ma potrebbe capitare a tutti noi. E se noi abbassiamo l’attenzione capiterà ancora e ancora».

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5. Lukashenko contro le organizzazioni religiose

imageIl dittatore bielorusso Lukashenko (foto Ap)

(Matteo Castellucci) La repressione di Alexander Lukashenko non risparmia la chiesa. Più di una: almeno 74 componenti del clero cattolici, protestanti e ortodossi sono stati intimiditi, multati o arrestati per il sostegno o la protezione ai manifestanti del 2020, secondo la ong Viasna human rights center citata dall’Associated Press. Nel 2020 il dittatore bielorusso aveva ottenuto il sesto mandato consecutivo, in elezioni non libere. Il mese scorso ha firmato una nuova legge che costringe le organizzazioni religiose a registrarsi presso le autorità per non rischiare di essere bandite.

«È chiaro che il numero di religiosi soggetti alla repressione aumenterà. Le autorità vogliono dimostrare al Vaticano il loro potere spropositato dentro la Bielorussia», ha spiegato all’Ap Viachaslau Barok, un prete costretto a lasciare il Paese nel 2021. L’intento del regime è costringere a una professione di fedeltà le diramazioni confessionali. L’80% delle popolazione ha fede ortodossa; il 14% è cattolica. Soprattutto il clero cattolico e protestante ha dato rifugio agli oppositori: per questo la mossa di Lukashenko, che si definisce un «ateo ortodosso», ha tutti i tratti della ritorsione.

6. Biden dà a Putin del «figlio di...»

imageBiden con Dasha (sinistra) e Yulia, rispettivamente figlia e moglie di Navalny (Afp)

(Viviana Mazza) Durante un evento di raccolta fondi per la campagna elettorale, a San Francisco, Joe Biden ha parlato del «rischio numero uno per l’umanità, i cambiamenti climatici». Ma ha anche accennato al fatto che ci si debba preoccupare della minaccia nucleare e ha definito Putin un «pazzo S.O.B.», acronimo per «son of a bitch», figlio di p... Il presidente russo, intervistato in tv, ha risposto in modo sarcastico: «Avevo detto che per noi Biden è preferibile come presidente (rispetto a Trump, ndr) e, a giudicare da quello che ha detto adesso, ho assolutamente ragione». «Certo — ha aggiunto — non mi avrebbe potuto dire “Volodya, sei bravo, grazie, mi aiuti moltissimo”».

Il presidente degli Stati Uniti si è messo in contatto con Mosca dopo le rivelazioni secondo cui la Russia starebbe lavorando a satelliti armati con testate nucleari. Il Wall Street Journal rivela che la Casa Bianca ha avvertito il Cremlino di fermarne lo sviluppo, una mossa che violerebbe il Trattato sullo Spazio in vigore dagli anni Sessanta. Dopo aver attaccato Putin, Biden ha incontrato Yulia e Dasha, la moglie e la figlia di Aleksei Navalny: «L’eredità del coraggio di Aleksei continuerà a vivere in loro e nelle innumerevoli persone che in tutta la Russia lottano per la democrazia e i diritti umani», ha scritto su X (ex Twitter) il presidente. Anche Donald Trump ha nominato Navalny, ma per paragonarsi a lui: si è detto perseguitato da «processi politici» come un dissidente in Russia.

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7. La congiuntura favorevole che il presidente non riesce a sfruttare
editorialista
di massimo gaggi
New York

Un buon andamento dell’economia, e quindi anche dei mercati finanziari, è, in linea di massima, una precondizione per far crescere anche l’occupazione e i salari. Nella realtà americana di tutti i giorni, però, spesso le impennate dei titoli di Borsa sono legate a notizie che hanno un impatto negativo sul mercato del lavoro. Una contraddizione che la stampa economica illustra ricorrendo all’immagine del conflitto tra Wall Street e Main Street, la via principale di ogni cittadina che, tra commerci, piccole imprese e artigiani, è il motore dell’economia reale. Lo abbiamo visto dopo la recessione del 2008 quando la manovra di salvataggio dell’economia fece molto per banche, finanza e Borse ma relativamente poco per Main Street. Lo vediamo anche in questi giorni con i giganti di big tech, imprese di successo che, se cala un po’ il vento che gonfia le vele della loro crescita, sostengono le quotazioni di Borsa riducendo i costi, partendo proprio da licenziamenti e tagli dei salari.

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8. Le gru cinesi «spiano» i porti americani?
editorialista
di guido santevecchi

imageUna gru portuale della Zpmc

Sono le grandi gru cinesi che muovono i container nei porti americani l’ultima frontiera dello scontro politico-commerciale tra Stati Uniti e Cina. Il nuovo allarme arriva dal funzionario che dirige il Port of Los Angeles, primo scalo marittimo nordamericano per volume di merci movimentate, esteso su un’area di 30 chilometri quadrati. Secondo il direttore Gene Seroka, i macchinari Made in China utilizzati sulle banchine americane per caricare e scaricare le navi «raccolgono dati, cercano informazioni». Il funzionario ha spiegato all’agenzia Bloomberg che questa presenza di gru cinesi nel suo porto «è un rischio evidente» e noto da tempo, ma il problema è che ormai nel mondo i produttori delle attrezzature essenziali per il carico e lo scarico delle navi sono pochi e i più avanzati e competitivi sono in Cina.

Tutte le gru di Los Angeles vengono dalla Zhenhua Heavy Industries di Shanghai (ZPMC), un colosso del settore che serve circa 300 porti in 105 Paesi. Le gru della Zpmc di Shanghai sono arrivate sul mercato americano vent’anni fa e furono scelte perché (al solito) offrivano soluzioni di buona qualità a costi inferiori a quelli delle industrie metallurgiche occidentali. Oggi, l’80% delle gru montate sulle banchine dei porti americani sono state fabbricate in Cina, arrivano già montate e utilizzano software cinese. Potrebbero rivelarsi dei «Cavalli di Troia», avvertono gli esperti di intelligence.

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9. Poliziotti cinesi a Kiribati (a insegnare il Kung fu)

imageIl presidente di Kiribati Taneti Maamau ricevuto da Xi Jinping a Pechino nel gennaio 2020 per celebrare l’allacciamento di relazioni diplomatiche (Reuters)

(Guido Santevecchi) C’è un distaccamento di poliziotti cinesi a Kiribati, Stato del Pacifico che si estende su 33 isolette e atolli corallini e conta 115 mila abitanti. La Repubblica di Kiribati è strategica sia perché è relativamente vicina alle Hawaii americane sia perché controlla nell’Oceania una delle più grandi «zone economiche esclusive» del mondo, che copre circa 3,5 milioni di chilometri quadrati nel Pacifico. Il suo governo nel 2019 ha tagliato i rapporti diplomatici con Taiwan, abbracciando Pechino e la sua promessa di investimenti per lo sviluppo. Gli Stati Uniti hanno cercato di rispondere preparando la riapertura della loro ambasciata (chiusa da anni per risparmiare i fondi del Dipartimento di Stato) e nel 2023 hanno mandato una delegazione diplomatica e militare nella capitale Tarawa per celebrare l’ottantesimo anniversario della battaglia contro i giapponesi (76 ore di scontri feroci che nel novembre 1943 costarono migliaia di morti ai marines americani).

  • Ma intanto ora a Kiribati operano poliziotti cinesi in uniforme «che collaborano con i colleghi locali in un programma di pattugliamento, costituzione di un database anti-crimine e addestramento alle arti marziali come il Kung Fu», ha detto all’agenzia Reuters il capo della polizia Eeri Aritiera. Si tratta di un contingente di una dozzina di agenti cinesi, arrivato su richiesta del governo di Kiribati. Il Ministero degli Esteri cinese ha costruito una imponente ambasciata nell’isola principale della nazione oceanica, con una trentina di dipendenti tra diplomatici inviati da Pechino e personale reclutato sul posto.

Oltre ai programmi di cooperazione per l’agricoltura e il sistema sanitario è stata annunciata la ricostruzione della base aerea utilizzata durante la Seconda guerra mondiale prima dai giapponesi e poi dagli americani. Mosse che secondo Stati Uniti e Australia rappresentano un piano di penetrazione strategica cinese nel cuore del Pacifico, a 2000 chilometri da Honolulu. Washington a sua volta ha annunciato un progetto per ampliare un molo sull’isola di Kanton, dove ottant’anni fa c’era un approdo per le unità della US Navy. Il governo australiano ha donato a quello di Kiribati due piccoli pattugliatori per la sua Guardia costiera e offerto fondi per rafforzare la rete radio della polizia.

10. Taccuino sicurezza | La Francia espelle i jihadisti stranieri
editorialista
di guido olimpio

imageL’addestramento delle nuove reclute degli Houthi a Sana’a (foto Epa)

Gli Houthi, attraverso i loro leader, annunciano un’intensificazione degli attacchi in Mar Rosso e sottolineano di aver impiegato 184 sistemi d’arma (droni, cruise, missili balistici) per ostacolare il traffico marittimo. Quattro punti:

  1. C’è una dose di propaganda ma la minaccia del movimento yemenita è reale, testimoniata dalle conseguenze economiche.
  2. Hanno a disposizione molte risorse belliche grazie anche all’aiuto dell’Iran.
  3. Modificano e aggiornano tattiche
  4. Scarso l’impatto dei raid preventivi e di rappresaglia da parte di Usa-Gran Bretagna.

Terrorismo. Nel 2023 la Francia ha espulso 45 jihadisti stranieri, individui che hanno lanciato minacce, condannati o segnalati dai servizi di sicurezza. Alcuni sono stati privati della nazionalità. Un aumento del 26% rispetto al passato. Sono misure adottate anche in vista delle Olimpiadi. Anche l’Italia ha adottato da tempo questo tipo di prevenzione allontanando figure ritenute pericolose.

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11. Cannabis libera: la Germania ci prova (senza entusiasmo)
editorialista
di mara gergolet
corrispondente da Berlino

Tra le promesse che il governo tedesco fatica a mantenere, ce n’è una — scritta nel «contratto» iniziale — che invece oggi dovrebbe portare a casa: la legalizzazione della cannabis ricreativa. Per capirne la portata, in Europa una simile legge esiste solo in Lussemburgo e a Malta, e nel mondo in altri sei Stati (curiosamente, poi, la cannabis è «libera» in un settimo: la Nord Corea). La legge vuole essere libertaria e allo stesso tempo tutelare la salute e combattere il mercato nero dello spaccio. Al traguardo arriva senza grande entusiasmo.

imageUna manifestazione della scorsa estate fuori dal Parlamento tedesco, la scritta significa «legalizzazione» (Getty)

Il dibattito al Bundestag comincia alle 13.35, i risultati non si sapranno fino alle 14. Quindici deputati Spd voteranno contro, i pediatri avvertono dei rischi, i giudici sono preoccupati di aver in futuro più lavoro, il responsabile della Salute della Cdu all’opposizione, Tino Sorge, promette che «sarà la prima cosa che aboliremo». Ma salvo inciampi il testo passerà.

  • Cosa prevede, di preciso? Dal 1° aprile consentirà il possesso di 25 grammi di «erba», e di tre piantine con fiori di cannabis fino a 50 grammi in casa. (Per un raffronto, nell’Olanda permissiva dagli anni ‘70 è sì tollerato l’uso, ma fino a 5 grammi)
  • Depenalizzerà il consumo, anche per casi retroattivi. Istituirà dei «cannabis club» che potranno distribuire ai soci le stesse dosi mensili (50 grammi; 30 a chi ha tra i 18 e i 21 anni).

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12. Un decennio perduto
editorialista
di irene soave

Non che ci riguardi, ma l’Aea, Agenzia Europea per l’Ambiente, ha pubblicato uno studio secondo il quale ogni anno si salverebbero 238 mila vite solo in Europa, se solo le linee guida dell’Oms sull’inquinamento atmosferico venissero recepite. E se solo si azzerasse l’inquinamento atmosferico, proprio quello su cui a Milano ci si divide, si salverebbero 400 mila vite. Cioè 400 mila europei ogni anno e un migliaio in Italia, forse il prossimo anno toccherà a chi scrive, o a chi legge, chi lo sa, si potrebbero salvare da diabete di tipo 2, cancro ai polmoni, malattie cardiovascolari, che la medicina ritiene direttamente legate anche all’inquinamento atmosferico.

imageLa cappa dello smog su Milano, prima della pioggia di ieri (Afp)

  • Come? Se solo riducessimo il traffico e ottimizzassimo i riscaldamenti domestici (le due maggiori fonti di inquinamento atmosferico secondo l’Aea).
  • Si può fare? Martedì il Consiglio europeo ha approvato uno storico regolamento che impone di ridurre le polveri sottili Pm 2,5 da 25 microgrammi per metro cubo a 10 microgrammi entro il 2030: e comunque permette ancora il doppio delle emissioni nocive rispetto a quanto l’Oms raccomanda.
  • Non che ci riguardi: proprio ieri, proprio al Consiglio europeo, il governo italiano ha strappato una deroga di dieci anni, per il Nord Italia, proprio a questo regolamento, chiedendo e ottenendo cioè di non abbassare l’inquinamento dell’aria

I limiti agli inquinanti erano troppo severi, e fortunatamente per i prossimi dieci anni gli abitanti delle regioni del Nord Italia potranno riempirsi i polmoni della solita aria buona: a Milano, nei giorni scorsi, le centraline sono arrivate a segnalare 118 microgrammi di Pm 2,5 per metro cubo. Non che ci riguardi.

13. Ascesa e caduta di Sebastian Kurz

(Irene Soave) Ascesa e caduta di un enfant prodige: così lo Spiegel riassume la parabola dell’ex cancelliere austriaco Sebastian Kurz, già capo di governo più giovane del mondo nel 2017, quando aveva trentun anni, e stamattina in attesa di sentenza, dal banco degli imputati, in uno dei processi a suo carico. Avrebbe mentito a una commissione d’inchiesta parlamentare, che gli chiedeva conto dell’accusa di aver favorito l’amico Thomas Schmid. Schmid, quando Kurz era cancelliere, era stato nominato a capo del colosso statale Öbag, una holding che si occupa di tutti gli investimenti dei fondi statali austriaci. Al Parlamento Kurz ha negato sotto giuramento queste interferenze; i giudici potrebbero oggi decretare il contrario.

imageKurz, 37 anni, arriva in tribunale a Vienna (foto Ap)

In mezzo — tra gli allori della Cancelleria e la vergogna di oggi — una scalinata che Kurz ha prima salito e poi sceso.

  1. La sua coalizione ultraconservatrice, che teneva insieme i suoi popolari con il Partito — estremista — delle Libertà, fece molto parlare come uno dei primi casi di ultradestra al governo.
  2. E si infranse sullo scandalo dei video da Ibiza: il vicecancelliere di Kurz, Christian Strache, appartenente proprio al Partito delle Libertà, fu filmato in una sorta di candid camera in cui prometteva succosi appalti pubblici alla sedicente emissaria di un oligarca.
  3. Kurz riuscì a salvarsi coalizzandosi coi Verdi, e presentandosi come più puro dei puri: «Con me non c’è Freunderlwirtschaft, economia per gli amici», disse.

Dopo poco, l’inchiesta parlamentare sull’amico Schmid. «E questo non è nulla, se paragonato a quanto potrebbe ancora venir fuori su Kurz», ipotizza sibillino il corrispondente austriaco dello Spiegel Walter Mayr. L’allusione è a una serie di investimenti pubblicitari sulla stampa austriaca che poi «garantirono» al cancelliere articoli encomiastici. Chi avrebbe guidato l’operazione? Ancora Thomas Schmid. Il guaio di certi ragazzi prodigio sono certi amici.

14. Un lander americano torna sulla Luna

imageL’immagine della superficie lunare trasmessa da Odysseus (Afp)

(Redazione Online) Il primo lander privato si è posato sulla Luna. È Odysseus, dell’azienda texana Intuitive Machine. È una prima assoluta nella storia dell’era spaziale e segna anche il ritorno di un veicolo americano sulla Luna a 52 anni dall’ultima missione del programma Apollo. Lanciato il 15 febbraio scorso, Odysseus è entrato nell’orbita lunare il 21 febbraio, dopo aver percorso un milione di chilometri. La manovra di allunaggio si è svolta come previsto, ma ci sono stati momenti di tensione perché inizialmente non si riusciva a ricevere il segnale.

Dopo alcuni tentativi con più antenne da Terra, finalmente è arrivato il «bip» dal lander. È stato un segnale debole, ma sufficiente a far tirare un sospiro di sollievo e a scatenare un applauso sempre più forte e convinto. La missione Im-1 ha raggiunto così il suo obiettivo, cruciale per il futuro dei programmi lunari e per la Lunar Space Economy. Sono invece quattro i Paesi che hanno fatto posare un loro veicolo sulla Luna: dopo gli Stati Uniti sono riusciti ad allunare Russia, Cina, India e Giappone. Era dall’11 dicembre 1972 che un veicolo costruito negli Stati Uniti non si posava sul suolo lunare.

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15. Nuove lapidi per i Buffalo Soldiers, 117 anni dopo

imageLe nuove lapidi dei Buffalo Soldiers

(Guido Olimpio) Fine agosto del 1917, San Antonio, Texas. La città ribolle per tensioni razziali, gruppi di bianchi aggrediscono soldati afroamericani parte di una famosa unità, i Buffalo Soldiers. I militari reagiscono, si impossessano di armi e si scontrano con gli avversari. Diverse le vittime. Il Comando usa metodi sbrigativi, accusa i militari di ammutinamento, celebra un processo veloce e ne impicca qualche mese dopo 17. Saranno sepolti sotto un semplice cippo che reca identità e la data della morte. Le famiglie cercheranno giustizia, chiederanno indagini più accurate e una revisione dei fatti.

Ne è passato del tempo ma alla fine il Dipartimento della Difesa ha riconosciuto errori, discriminazioni, accuse ingiuste. Giovedì si è svolta una cerimonia durante la quale sono state scoperte nuove lapidi: oltre al nome c’è il grado, reparto di appartenenza e lo stato d’origine. Un atto di riparazione dopo 117 anni. I Buffalo Soldiers diventarono famosi durante la campagna contro gli Apache: il soprannome, coniato dai nativi americani, è forse legato al fatto che, durante l’inverno, indossavano cappotti di pelle di bisonte mentre altre fonti sostengono che fosse un riferimento ai cappelli ricci.

Grazie per averci letto fino a questo punto anche oggi — e anche questa settimana. «America-Cina» torna lunedì!

Matteo Castellucci


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