Blinken prova a sbloccare la tregua tra Israele e Hamas. E gli Usa incassano l’ok dell’Onu
Colloqui con Al Sisi e Netanyahu. Al Consiglio di Sicurezza passa il piano di Biden
DALLA NOSTRA INVIATA
TEL AVIV Otto volte in otto mesi. Antony Blinken inizia il suo ultimo viaggio in Medio Oriente con un obiettivo non facile. Dopo il blitz di domenica in cui Israele ha liberato quattro ostaggi strappandoli ad Hamas, il segretario di Stato riesce a riportare sul tavolo la proposta di tregua annunciata dal presidente Joe Biden, e a fare pressione soprattutto su Hamas affinché riprenda le trattative e scongiurare l’apertura di un nuovo fronte in Libano. «È tempo che accettino l’accordo», aveva detto sabato il capo di Foggy Bottom.
La prima tappa per il segretario di Stato è al Cairo dal presidente Abdel Fattah Al Sisi. È un generale teso quello che riceve Blinken. «Bisogna porre al centro il conflitto a Gaza», dice il Generale. Dietro le parole, la forte preoccupazione per la chiusura del valico di Rafah, al confine tra l’Egitto e la Striscia. Tema sicuramente umanitario. Ma anche economico e militare, data l’occupazione del corridoio Filadelfia da parte degli israeliani: un confine chiuso non giova mai agli affari.
È ormai pomeriggio quando Blinken si sposta in Israele. Vede il premier Benjamin Netanyahu a Gerusalemme e il ministro della Difesa Yoav Gallant a Tel Aviv. Da smorzare ci sono i toni della destra messianica ringalluzzita dall’addio di Benny Gantz al governo di unità nazionale, che minaccia di ritirare l’appoggio al governo in caso di accordo.
Per cercare di blindare l’accordo, Washington, dopo aver contrastato per mesi bozze di risoluzione che chiedevano la stessa cosa, incassa il voto favorevole del Consiglio di Sicurezza (14 voti a favore, astenuta la Russia) sulla richiesta di «cessate il fuoco immediato con il rilascio degli ostaggi». L’ultima versione del testo «accoglie con favore» la proposta di tregua annunciata il 31 maggio dal presidente statunitense Joe Biden. Inoltre, a differenza delle versioni precedenti, afferma che il piano è stato «accettato» da Israele ed esorta Hamas ad «accettarlo ed entrambe le parti ad attuarne pienamente i termini, senza ritardi e senza condizioni». Passi in avanti, minimi. Uno dei principali punti critici resta l’interrogativo sul controllo di Gaza da parte di Hamas — scenario che Netanyahu ha definito una linea rossa. Un’altra questione riguarda i tempi precisi e la logistica del cessate il fuoco. Bibi ha affermato che Israele combatterà finché le capacità militari e di governo del nemico non saranno distrutte. Ma i leader del movimento estremista hanno messo a loro volta come condizione un cessate il fuoco permanente e il completo ritiro delle truppe israeliane da Gaza.
Una mossa, quella del voto al Consiglio di Sicurezza, che apre degli spiragli. In un comunicato Hamas ha fatto sapere di essere pronta a cooperare con i mediatori per l’implementazione dei principi della proposta di cessate il fuoco, mentre l’ambasciatrice Usa all’Onu, Linda Thomas-Greenfield dice: «Aiuteremo a garantire che Israele rispetti gli obblighi». Un risultato portato a casa da Blinken proprio in un momento in cui la matassa israeliana si fa sempre più intricata. La visita del capo della diplomazia Usa in Medio Oriente arriva a poche ore dal voto in prima lettura alla Knesset del progetto di legge per agevolare l’esenzione degli ebrei ultra-ortodossi dal servizio militare che per decenni hanno evitato di andare a combattere iscrivendosi alle yeshivah per lo studio della Torah ottenendo così ripetuti rinvii fino a raggiungere l’età dell’esenzione militare. Inoltre la testata Channel 12 ha diffuso ampi dettagli dell’accordo — 4 pagine di documento — sottolineando come non includa l’eliminazione di Hamas. L’ufficio di Netanyahu — riporta il Times of Israel — ha replicato dicendo che il documento è incompleto e affermando che è «una menzogna» il fatto che Israele abbia accettato di porre fine alla guerra. E la matassa si ingarbuglia di nuovo.