DALLA NOSTRA INVIATA
RAFAH — �Questo non � un confine normale�.
Per i due milioni di anime di Gaza, la barriera di Rafah con l’Egitto dal 2007 in poi � stata porta di salvezza e di connessione con il mondo. Poi dal 7 ottobre, la porta � diventata miraggio. I cancelli neri non si sono aperti per i due figli di Nahed, che sono ancora dentro a chiamare il padre ad ogni bomba. Non ha visto l’enorme e distopico simbolo della pace all’ingresso del checkpoint sulla strada per Al Arish nemmeno la famiglia di Youssef, 87 persone tutte nella stessa casa che per �miracolo � ancora in piedi�. E con fatica si aprono i cancelli fiancheggiati dai denti di drago e dalle barriere di cemento per far passare i camion carichi di aiuti.
Rafah, al valico tra 800 Tir in attesa. E chi chiede (invano) di rivedere i figli
Davanti al checkpoint a sud della Striscia insieme alla delegazione italiana dei cooperanti: �Gli aiuti che arrivano qui sono solo una goccia nel mare�

Sul piazzale davanti alla frontiera, ieri la delegazione italiana dell’Associazione delle organizzazioni di cooperazione e solidariet� internazionale (Aoi), Arci e Assopace Palestina e dell’intergruppo parlamentare per la pace in Medio Oriente. Una cinquantina di persone tra rappresentanti delle ong, deputati dell’opposizione, giornalisti ed esperti. �Diciamo cessate il fuoco subito anche alla nostra presidente del Consiglio. Il Parlamento ha votato una mozione contro il cessate il fuoco immediato. Chiediamo anche la liberazione degli ostaggi e l’accesso degli aiuti indispensabili. Abbiamo chiesto anche l’aiuto degli organi giurisdizionali che stanno indagando sui crimini commessi da entrambe le parti. Bisogna poi far tacere le armi e passare alla politica: serve una conferenza internazionale di pace�, si infiamma la deputata del Pd Laura Boldrini.
Arriva qualcuno dalla no man’s land, lunga nemmeno un chilometro. Nessun palestinese ferito o malato. � Scott Anderson, vicedirettore dell’ufficio di Gaza dell’Unrwa, agenzia UN finita nel mirino di Israele. �Il 90 per cento dei gazawi � sfollato. A Rafah non c’� cibo. Il problema sono gli attacchi ancora in corso�. �Qualche giorno fa abbiamo visto il crimine peggiore: l’esercito ha sparato sulle persone che andavano a recuperare aiuti — denuncia Basel Sourani, international advocacy officer del Palestinian Center for Human Rights (Pchr) di Gaza —. Quei sacchi di farina sono stati i pi� cari della storia perch� sono costati 112 vite�.
Inizia l’ingresso dei tir. Ma far entrare cibo e medicine nella Striscia � una sfida che deve superare ostacoli geografici, politici, storici e umani. Rafah � controllato dall’Egitto, ma Israele monitora tutte le attivit� nel sud di Gaza dalla sua base militare di Kerem Shalom, altro varco del confine della Striscia. Da Rafah, direttamente dentro Gaza entra solo il gasolio, il resto passa da Kerem Shalom (Kerem Abu Salem per gli arabi) dove vengono fatti transitare i container della Croce Rossa Internazionale e delle ong occidentali o pi� lontano, nel deserto del Sinai, da Nitzana dove invece vengono controllati i carichi che arrivano dalle fondazioni del Golfo.
In un parcheggio vicino al confine sono 800 i tir che attendono di entrare. �Siamo qui da un mese�, si infuriano i camionisti. Prima del 7 ottobre, secondo le Nazioni Unite da Rafah passavano 500 camion al giorno.
Da quando gli aiuti alla consegna sono stati sbloccati il 21 ottobre, sono diventati un centinaio. �Il problema � che le proteste dei coloni israeliani bloccano i convogli�, sottolinea Mutaz Banafa di Ocha. �Queste sono solo gocce nel mare�, gli fa eco Angelo Bonelli, deputato Pd. �Serve un intervento della comunit� internazionale pi� deciso su Israele per imporre con la forza della diplomazia il cessate il fuoco. Si pone poi il tema del riconoscimento dello Stato di Palestina�, aggiunge Nicola Fratoianni di Avs-Si, mentre Stefania Ascari del M5S ricorda che �solo ieri sono morti una decina di bambini�.
Camion ed esseri umani. Se non � facile per i tir, ancora peggio per le persone. Anche rientrare a Gaza non � scontato. �Si pu� farlo solo con un permesso del governo egiziano o israeliano che — spiega Nahed — costa 300 dollari�. Lui che vuole andare a riabbracciare i suoi figli per arrivare fino a Rafah ha dovuto aggiungerne 200. Per chi invece deve uscire la cifra � pi� alta. �Si parla di 5.000 dollari a testa. Ventimila per una famiglia di 4 persone. Ma solo se non sono maschi giovani, perch� per loro non c’� speranza�, racconta. Un gruppo di uomini lo guarda. Fumano tutti vicino a un carrello carico di valigie e ai pulmini delle agenzie di viaggio che aspettano con il motore acceso. Il microcosmo che si crea ad ogni confine. �Ma qui � diverso, il diritto non vale in questo posto�, sospira Nahed.
La delegazione italiana lascia il confine. �Abbiamo seguito l’ingresso dei nostri convogli di aiuti, e anche questo � un modo per far s� che il nostro Paese si renda conto della catastrofe in atto�, commenta Walter Massa, presidente di Arci. In un deposito della Mezzaluna rossa egiziana decine di ambulanze restano ferme, ricoperte di sabbia. Se ne possono muovere solo 7 al giorno. Attendono da mesi anche intere casse di materiale medico: stampelle, incubatrici, macchinari. Tutti aiuti che potrebbero salvare vite umane. Ma non oggi.
Corriere della Sera � anche su Whatsapp. � sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati.
5 marzo 2024 (modifica il 5 marzo 2024 | 22:53)
© RIPRODUZIONE RISERVATA