LeBron James e il team Usa di basket alle Olimpiadi di Parigi: gelosie e tanti rivali. Obbligati a vincere ma non è scontato
Durant, Embiid, Davis: le stelle della Nba al completo come nel 1992. Ma gli avversari sono cresciuti e Curry avverte: «Almeno dieci squadre da podio»
Appena Steph Curry e Kevin Durant fanno il loro ingresso in sala, quasi tutti i giornalisti presenti, e sono trecento da tutto il mondo, alzano il telefonino per immortalare l’evento. «Eccoli…».
Non è questione di subalternità culturale, ma di riconoscere l’importanza storica di questo torneo olimpico di basket, che ancora deve iniziare e già rischia di essere ricordato come il più importante della storia. Una delle principali ragioni a suffragio di questa tesi consiste nel fatto che Parigi 2024 sarà la prima e l’ultima volta che vedremo giocare nella stessa squadra i due signori sul palco e LeBron James. Inutile fare le presentazioni, lo sanno tutti chi sono e cosa rappresentano: la Santissima Trinità che nell’ultimo decennio ha cambiato e modellato lo sport più bello che c’è. Nei giorni scorsi, lo ha raccontato proprio Curry, hanno ricreato la stessa foto olimpica scattata nel 1992 a Larry Bird, Magic Johnson e Michael Jordan, i titolari dell’unico e irripetibile Dream Team.
Ma non ci sono soltanto i tre totem, purtroppo avanti con gli anni. Ai vertici di Team Usa basketball è scappata la mano. Non c’è bisogno di aspettare il nuovo Avengers, previsto per il 2030, basta scorrere i nomi delle squadre americane di basket, compresa quella femminile. Rimanendo ai maschi, si può sostenere che non sia rimasto a casa nessuno dei migliori tra i migliori, così l’Nba è abituata a vedere sé stessa. Da Jayson Tatum stella dei Celtics al gigantesco Joel Embiid. Esserci, ci sono tutti.
Forse è proprio in questa inedita dimostrazione di potenza che si nota quanto sia cambiato il basket dal lontano 1992 di Barcellona, quando il debutto dei professionisti della Nba doveva sanare la ferita della brutta figura rimediata quattro anni prima a Seul dalla solita selezione di giocatori universitari. In quell’edizione dei Giochi, Bird, Magic e Jordan e soci incrociarono solo altri nove giocatori Nba non americani. A Parigi, ce ne saranno oltre sessanta. E il giocatore più atteso non è americano ma francese. Si chiama Victor Wembanyama, è alto due metri e 27 centimetri. Dopo una sola stagione ai San Antonio Spurs è considerato il nuovo messia dell’Nba, con buone ragioni.
L’oceano si è ristretto, così come il margine di sicurezza del quale disponevano gli Usa, eroso dalla Caporetto di Atene 2004, dalle finali incerte fino all’ultimo minuto di Pechino, Londra e Tokyo, e in ultimo dalle batoste rimediate ai Mondiali del 2023 con una selezione Nba pure di buon livello, che hanno fatto scattare l’allarme rosso. «Ci sono almeno dieci squadre che possono essere candidate al podio» ha detto Curry, il più cerebrale dei tre veterani, e si tratta almeno di una mezza verità. L’accumulo estremo di talento e di fisicità contro l’organizzazione e l’identità più marcata dei contendenti, a cominciare dalla Serbia di Nikola Jokic, tre volte miglior giocatore dell’Nba, che Team Usa incontrerà domenica.
Il concetto di super squadra si scontra spesso con quello di armonia interna, troppi ego smisurati in un solo spogliatoio, dove il giovane Anthony Edwards non fa certo mistero della sua autostima, ed è solo un esempio tra i tanti possibili.
Un riflesso di questa situazione si è visto anche durante una conferenza stampa blindata a soli due giocatori, mentre a Londra e Rio era sfilata davanti ai media l’intera squadra. L’ombroso Durant ha dovuto rispondere ai maliziosi timori sull’elevata età media della squadra espressi da Embiid in una intervista concessa al New York Times che non ha proprio suggerito l’idea di un gruppo coeso. «Non siamo più giovani, ma anche per questo riusciamo a gestire bene il nostro corpo» è stata la risposta, forse con un implicito riferimento ai frequenti infortuni del centro di origini camerunensi.
Ma tutto questo, comprese le parole entusiaste spese da Curry a favore di Kamala Harris, «è importante che lei ci sia», rientra nel novero delle cose scontate. La vera novità è la scommessa totale di Team Usa. Perché se chiami gli Avengers, non devi solo vincere: devi dominare. E se per sbaglio non dovesse arrivare l’oro, nel mondo del basket, sarebbe la rivoluzione. Per altro, la città è quella giusta.