Per la serie qualche volta ritornano. Con un ordine del giorno approvato dalla Camera dei deputati, si ipotizza la reintroduzione delle “gabbie salariali” per il pubblico impiego, partendo dagli insegnanti. Il che vorrebbe dire, semplificando, più soldi ai professori e docenti del Nord in relazione a un costo della vita più alto. Un discorso peraltro affrontato mesi fa dal ministro dell’Istruzione Valditara che aveva parlato di retribuzioni più eque salvo poi fare un passo indietro dopo la polemica scoppiata con i sindacati. L’odg della Lega è stato presentato da Andrea Giaccone e dai colleghi Rossano Sasso e Dario Giagoni, entrambi di origini meridionali (pugliese e sardo), durante la discussione in aula sul salario minimo. Va precisato che si tratta di un atto di indirizzo, il che non comporta un obbligo o un impegno concreto della maggioranza nell’introdurre le gabbie salariali semmai una volontà di ragionare sulla questione in un futuro prossimo.
Gabbie salariali e differenziazione in base al territorio
Nell’ Odg si legge: «Ritenuto che il tema del costo della vita e delle retribuzioni adeguate è principalmente sentito nel settore del pubblico impiego, laddove lo stipendio unico nazionale può comportare disuguaglianze sociali su base territoriale, creando discriminazioni di reddito effettivo... sarebbe auspicabile per alcuni settori, come ad esempio nel mondo della scuola, un’evoluzione della contrattazione che da una retribuzione uguale per tutti passi a garantire un pari potere d’acquisto per tutti, ipotizzando una base economica e giuridica uguale per tutti, cui aggiungere una quota variabile di reddito temporaneo correlato al luogo di attività».
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di Redazione Economia
Le posizioni dei partiti, Schlein: «Volete dividere questo Paese»
Sulla questione la maggioranza non si muove in modo compatto. Se il Carroccio spinge per le gabbie salariali, con tanto di un’ipotesi di intervento, in Fratelli di Italia le opinioni sono ben diverse. Dice il deputato di Fdi Marco Cerreto: «Noi non siamo a favore delle gabbie salariali ma riteniamo che il governo debba approfondire il serissimo problema dei contratti pirata ma allo stesso tempo debba continuare a sostenere quella contrattazione decentrata che favorisce una concertazione che, se basata su livelli di civiltà giusvaloristica e di buon senso sicuramente, porteranno a risultati maggiori». Aspre le critiche invece dall’opposizione con la segretaria del Pd, Elly Schlein che ha detto: «Pensate che un insegnante al Sud debba prendere di meno che uno al Nord, volete dividere questo Paese più di quanto non è. Avete scelto di essere dalla parte degli sfruttatori mentre date una sberla agli sfruttati». I deputati del Movimento cinque stelle in commissione Istruzione alla Camera: «Se davvero Giorgia Meloni seguirà la Lega in questa follia, ci troverà dentro e fuori il Parlamento a difesa della dignità dei docenti italiani. La scuola ha bisogno non di stipendi differenziati ma di stipendi più alti per tutti i prof, per portare l’Italia almeno al livello degli altri stati europei».
Il no ribadito dalla Cgil
Non meno dure le parole del segretario Cgil, Maurizio Landini:«Pensiamo che sia un errore grave quello che il governo sta facendo, che ha scelto di non fare nessuna trattativa sul salario minimo. Il governo si è fatto votare una delega dal Parlamento addirittura per introdurre gabbie salariali, perché pensano che i salari debbano essere diversi a seconda del Paese o della regione in cui sei».
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Gabbie salariali cosa sono
Sebbene il testo dell’Odg non faccia menzione diretta alle gabbie salariali, il meccanismo proposto dalla Lega ricorda quello frutto dei primi accordi sindacali stipulati nel secondo dopoguerra. Firmato il 6 dicembre 1945 dalla neonata Cgil e Confindustria, il patto riguardava Lombardia, Piemonte, Liguria, Veneto ed Emilia a loro volta divise in quattro zone a salario differenziato con un gap massimo tra gli stipendi del 14%. Da quella sperimentazione nacque l’anno successivo l’accordo nazionale poi siglato da Cisl e Uil. Si arrivò a 13 aree salariali con un gap massimo del 30% tra il salario più alto e più basso. In altre parole, la busta paga di un operaio metalmeccanico specializzato di Enna era del 30% inferiore a quello di un operaio pari grado di Milano.Il sistema però mostrò presto la sua natura discriminatoria: a parità di competenze e mansioni per un lavoratore del Sud l’unico modo per guadagnare di più era trasferirsi a Nord, in una delle aree a più alto salario. Il sistema venne smantellato nel 1969. Il rischio era, in concreto, creare cittadini di serie A e B.
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07 dic 2023
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