Crisi Mar Rosso, Messina (Assarmatori): si rischiano cali del 30% per i porti italiani

Messina (Assarmatori): «Cali del 30% per i porti italiani se la crisi del Mar Rosso dovesse perdurare» Messina (Assarmatori): «Cali del 30% per i porti italiani se la crisi del Mar Rosso dovesse perdurare» Il presidente di Assarmatori Stefano Messina

«Se il blocco parziale del transito delle navi mercantili attraverso il canale di Suez dovesse protrarsi c’è il rischio che l’attività nei porti italiani subisca un forte calo, anche del 30%. Ad avvantaggiarsi della rotta che passa per il Capo di Buona Speranza, circumnavigando l’Africa, nelle linee commerciali tra l’Europa e l’Estremo Oriente sarebbero infatti i porti del Nord Europa, a cominciare da Rotterdam e Amsterdam». E’ questo l’allarme lanciato da Stefano Messina, presidente di Assarmatori, l’associazione che rappresenta gli armatori italiani, dell’Ue e dei Paesi terzi che operano in Italia oltre che presidente del gruppo Messina, con sede a Genova, nel momento il cui gli attacchi dei guerriglieri Houthi alle navi mercantili che attraversano il Mar Rosso ha determinato un calo dei transiti di circa il 60%. Una crisi che secondo dati di Confartigianato sta già presentando un conto di circa 8,8 miliardi (95 milioni di euro in fumo ogni giorno) in termini in termini di minori esportazioni delle Pmi italiane verso l’Estremo Oriente e che potrebbe avere un impatto diretto sul sistema portuale e logistico italiano.

Quali sono già adesso i porti italiani più colpiti da una riduzione dei passaggi di navi mercantili sulla rotta mediterranea?
«Premesso che si assiste a un azzeramento del traffico passeggeri sulle navi da crociera, e anche questo ha gravi conseguenze, nelle ultime settimane si è cominciato a vedere un rallentamento del traffico merci e le banchine sono più vuote di circa il 10-15%. Non tutti i porti sono colpiti in ugual misura. Mentre Genova subisce una riduzione del traffico di circa il 10%, un calo relativamente modesto perché il suo porto serve un vasto retroterra di aziende che operano nel Nord Est italiano, altri porti come Trieste e Gioia Tauro rischiano di subire conseguenze più pesanti, con diminuzione dell’attività anche del 30%. Trieste infatti risente in modo più diretto della concorrenza dei porti del Nord Europa che rappresentano una alternativa allo scalo adriatico. Anche scali come Livorno e La Spezia hanno subito una riduzione dell’attività mentre Gioia Tauro paga la sua natura di porto di “transhipment” in cui una nave molto grossa arriva, scarica il container che poi viene ricaricato su una nave più piccola per poi raggiungere la destinazione finale. Genova è invece un porto “Gateway” , dove il container arriva e poi viene instradato via terra, treno o camion».

Che effetti ha questo rallentamento dell’attività sui livelli occupazionali?
«E’ difficile fare una stima, per il momento. Le imprese associate ad Assarmatori, che non rappresentano la totalità del settore, impiegano circa 60mila addetti, di cui 30 mila a bordo delle navi e il restante come personale di terra, amministrativo o addetti al trasbordo delle merci. Per il momento qualche effetto negativo si vede sui lavoratori con contratti flessibili, ma nel complesso c’è una tenuta dei livelli occupazionali. Non viene colpito invece il personale di navigazione perché con l’allungamento dei tempi di percorrenza sulla rotta del Capo di Buona Speranza cresce anche la domanda di lavoratori sulle navi. Certamente nel caso in cui la situazione di blocco, anche parziale, del Canale di Suez dovesse continuare le conseguenze anche sul piano occupazionale per i lavoratori portuali sarebbero significative».

In questo scenario in rapida evoluzione c’è qualche errore da non fare?
«Sarebbe sbagliatissimo se per effetto di una crisi che noi speriamo sia contingente e passeggera venissero modificati i piani di sviluppo e di adeguamento infrastrutturale dei porti italiani. E’ necessario mantenere gli investimenti nei piani di potenziamento dei porti e di tutta l’infrastrutturazione logistica degli scali italiani».

Legato alla crisi del Mar Rosso c’è il rischio di una ripresa dell’inflazione dovuta al rincaro dei noli. L’Ispi ha stimato un possibile effetto di un aumento medio dei prezzi del 2% per effetto dei maggiori costi di trasporto.
«Su questo punto è necessario fare una distinzione. Il costo dei noli, ad esempio sulla rotta Shanghai-Genova, è aumentato moltissimo, anche del 200-250% per quanto riguarda il trasporto dei container. E questo perché le merci trasportate con i container presentano esigenze di puntualità nelle consegne che naturalmente sono penalizzate dalle circa due settimane aggiuntive di navigazione richieste dalla rotta del Capo di Buona Speranza. I costi per il trasporto di liquidi, come, il petrolio, non hanno invece subito rincari significativi e neppure quelli per le rinfuse, materiali di base come carbone, minerali ferrosi, cemento, materie prime di vario genere. In questo caso i costi di trasporto sono rimasti sostanzialmente stabili e questo riduce il rischio di un riesplodere dell’inflazione. L’auspicio naturalmente è che la reazione dell’Italia e dell’Ue, con il progetto di una forza navale capace di proteggere il passaggio delle navi sul Mar Rosso possa portare a un rapido superamento di questa crisi».

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