Occupazione in calo e chip in crisi: per Kamala Harris le ultime dall'economia americana sono meno buone del previsto

Le ultime dall’economia americana sono meno buone del previsto per la campagna elettorale di Kamala Harris. Fino a ieri lei poteva rivendicare un bilancio economico positivo sotto l’Amministrazione di cui era la vicepresidente: forte crescita e un mercato del lavoro vicino al pieno impiego. Ieri c’è stata una frenata nella creazione di posti di lavoro (+114.000 posti a luglio, molto meno del previsto) e negli aumenti salariali (solo +3,6% annuo), con un parallelo aumento del tasso di disoccupazione al 4,3%. Rimane un dato buono sotto il profilo storico, e migliore di altre economie come Europa e Cina. C’è inoltre la consolazione che la Federal Reserve taglierà sicuramente il costo del denaro a settembre. L'era della stretta monetaria è finita. Però il quadro non è più così eccellente come fino a poco tempo fa, e questo peggioramento avviene proprio nell’ultima fase della campagna.

Un problema parallelo riguarda Borse, Big Tech, semiconduttori. Il calo recente dei listini azionari è provocato in buona parte da uno sgonfiamento della “bolla” speculativa dei titoli tecnologici, secondo gli analisti.

All’interno di questo comparto si segnala una difficoltà per l’industria dei semiconduttori, al centro dell’attenzione da molto tempo. Il colosso californiano Nvidia, che produce microchip per l’intelligenza artificiale o AI, è sceso dalle vette stratosferiche dove era salito in Borsa. Un calo di quotazioni ha colpito anche il numero uno mondiale, la taiwanese Tsmc. Di recente vi avevo raccontato una mia visita alla sede della italo-francese ST Microelectronics ad Agrate Brianza, un’azienda più piccola dei giganti asiatici o americani, ma un gioiello della tecnologia europea. Ebbene, anche ST ha dovuto annunciare un peggioramento del suo bilancio. Infine i dati negativi hanno colpito la leader Usa del settore Intel.

Vi avevo anticipato che una crisi ciclica di questo settore era nell’aria. Non perché io sia dotato di preveggenza, ma perché i segnali si moltiplicavano da tempo. L’industria dei semiconduttori non sfugge alle regole fondamentali dell’economia di mercato. Quando c’è troppa domanda per i suoi prodotti, i prezzi salgono, i profitti migliorano. Questo induce giustamente a potenziare la capacità produttiva, investendo per costruire nuove fabbriche. Ma gli investimenti costano cari, tanto più in un mestiere dove i macchinari sono molto sofisticati. I conti delle aziende sono appesantiti da queste spese. Poi, quando le nuove fabbriche cominciano a funzionare, l’offerta dei prodotti aumenta al punto da far calare i prezzi, quindi i profitti.

Questa descrizione molto semplificata di un ciclo economico, nel caso dei semiconduttori è stata accentuata ed esasperata da alcuni shock esterni: la pandemia ha creato sul momento penurie gravi; le tensioni geopolitiche fra America e Cina (guerra in Ucraina; possibile attacco a Taiwan che produce il 60% dei chips mondiali; embargo di Biden su alcune vendite tecnologiche a Pechino) hanno perturbato tutta la catena industriale e logistica; l’entusiasmo per le prospettive della rivoluzione da AI ha fatto salire alle stelle la richiesta di alcuni chips.

Il fatto che una “bolla” si stia sgonfiando, non significa che la rivoluzione da AI non ci sarà. Nel marzo 2000 eravamo ancora agli albori della prima rivoluzione di Internet, eppure la Borsa tecnologica del Nasdaq subì un crollo che castigò molti titoli sopravvalutati. Il ciclo finanziario e quello dell’economia reale non sono esattamente la stessa cosa.

Ma se l’industria dei microchip entra in una fase di sofferenza, è un altro pezzo di eredità positiva di Biden-Harris che viene messo in discussione. L’Amministrazione democratica ha speso un capitale politico importante per portare a casa il Chips Act, una cinquantina di miliardi di aiuti di Stato alle aziende che riportano sul suolo staunitense la produzione di semiconduttori, per salvaguardare la sicurezza nazionale in caso di continua tensione con la Cina ed eventuale invasione di Taiwan. Hanno risposto all’appello molte aziende tra cui Tsmc, Intel, Samsung. Vedremo se l’entusiasmo per costruire fabbriche di microchip sul territorio Usa resterà invariato, qualora l’industria entri in un periodo di ristrettezze.

Una forza dei regimi autoritari è la costanza. Xi Jinping sta subendo ripercussioni negative per l’embargo americano su alcune forniture di microchip molto avanzati. La Repubblica Popolare moltiplica gli sforzi verso l’autarchia, per superare i ritardi rispetto agli Stati Uniti e per conquistare un’autosufficienza molto spinta. Una crisi ciclica di mercato e di profitti può avere riflessi diversi sulle aziende occidentali, che devono rispondere agli azionisti privati, e su quelle cinesi che in ultima istanza hanno come referente il potere politico.

3 agosto 2024

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