Putin, il concerto per la Crimea e i sei mesi decisivi per la guerra in Ucraina

America-Cina Il Punto | La newsletter del Corriere della Sera
testata
Martedì 19 marzo 2024
I sei mesi decisivi della guerra in Ucraina
editorialista di Andrea Marinelli

Buongiorno,

bentornati a bordo per un nuovo giro del mondo in undici punti e un taccuino. Ripartiamo dal ticchettio dell’orologio ucraino che, scrive Giuseppe Sarcina nell’editoriale di oggi, scorre in modo veloce, frenetico, drammatico: le sorti del Paese potrebbero decidersi nel breve periodo, forse sei mesi.

Dall’altra parte del fronte, infatti, Putin ha vinto le elezioni senza rivali, programma un viaggio in Cina per maggio e non offre segnali di volersi fermare. Ad aiutare i suoi uomini, racconta Marta Serafini, sarebbero anche le mappe satellitari americane.

A Gaza, intanto, l’esercito israeliano avrebbe ucciso Marwan Issa, numero tre di Hamas e tra i pianificatori dell’assalto del 7 ottobre: il raid era stato effettuato nei giorni scorsi, ma solo ieri sera se ne è avuta conferma.

A New York, invece, Donald Trump dovrebbe presentare una fideiussione da 454 milioni di dollari per coprire le condanne ricevute per reati finanziari e fiscali che ha ricevuto, ma è stato rifiutato da 30 istituti e ora rischia la bancarotta.

Vi raccontiamo poi dei temibili Piccoli rosa cinesi, vi aggiorniamo sulla Legge di sicurezza nazionale di Hong Kong, aggiungiamo un tassello alla saga della sindrome dell’Avana, vi portiamo a Seoul con i nomadi digitali.

Buona lettura.

La newsletter America-Cina è uno dei tre appuntamenti de «Il Punto» del Corriere della Sera. Potete registrarvi qui e scriverci all’indirizzo: americacina@corriere.it.

1. I sei mesi decisivi della guerra in Ucraina
editorialista
di Giuseppe Sarcina

imageVolodymyr Zelensky, 46 anni, presidente dell’Ucraina (foto Epa/Ukrainian Presidential Press Service)

Le lancette militari scorreranno lentamente sull’orologio di Mosca. Nella conferenza stampa post elezioni dell’altra notte, Vladimir Putin è stato chiaro: in Ucraina le nostre truppe continuano ad avanzare. Poco a poco, con calma, raggiungeremo i nostri obiettivi. Un messaggio rivolto, come sempre, tanto a Volodymyr Zelensky quanto ai leader occidentali: noi non abbiamo fretta, abbiamo le risorse per andare avanti; provate a fermarci se ci riuscite. Non solo. Il ritmo della guerra non sarà spezzato da tregue e neanche da un breve cessate il fuoco.

Putin ha respinto questa ipotesi con la stessa logica adottata fino a qualche mese da Zelensky. La sospensione del conflitto servirebbe solo a dare respiro al nemico, a consentirgli di riarmarsi, di riorganizzarsi per poi riprendere i combattimenti con più furore di prima. Vedremo se sarà davvero questa la nuova strategia del Cremlino, che, per altro, somiglia a quella degli ultimi mesi, cioè sconfiggere per sfinimento militare, ma anche politico, psicologico, la resistenza ucraina e i suoi alleati. Fonti Nato segnalano un’altra possibilità: i russi si preparerebbero ad ammassare migliaia di soldati e mezzi sul confine orientale dell’Ucraina per aprire un altro fronte.

Ma qualunque sia lo scenario che ci aspetta, un dato è certo: il tempo sull’altro orologio, quello di Kiev, corre in modo veloce, frenetico. Drammatico. Almeno su un punto sono tutti d’accordo, a Washington come a Bruxelles. Non si può attendere oltre. Negli ultimi giorni le indiscrezioni fatte filtrare dall’intelligence Usa e britannica sono diventate dichiarazioni pubbliche. Le sorti di Zelensky, dell’indipendenza ucraina potrebbero decidersi nel breve periodo.

Secondo il leader dei senatori democratici, Chuck Schumer, se non arrivano subito altre armi, l’esercito di Kiev potrà reggere la spinta dell’armata putiniana solo per altri due mesi. Il 14 marzo scorso, Josep Borrell, Alto rappresentante per la politica estera e la sicurezza comune dell’Unione europea, ha visto il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, a Washington. Alla conclusione dell’incontro Borrell ha detto che «la guerra si deciderà in primavera, al massimo entro l’estate». Ancora sei mesi, quindi. Adesso, dunque, la domanda chiave è: su quali dei due orologi, quello di Mosca o quello di Kiev, si sincronizzeranno le mosse degli Stati Uniti e dei governi europei?

Nelle ultime settimane ha tenuto banco un altro interrogativo: che cosa succederà se Donald Trump dovesse tornare alla Casa Bianca? A questo punto rischia di diventare un dubbio futile. Dovesse vincere le elezioni del prossimo novembre, Trump si insedierebbe nello Studio Ovale il 20 gennaio 2025. Tra dieci mesi. Un periodo infinito e, senza armi, insostenibile per gli ucraini.Il senso di urgenza è particolarmente acuto alla Casa Bianca. Joe Biden sta assediando i deputati repubblicani per sbloccare il pacchetto di aiuti da 60 miliardi di dollari, fermo al Congresso dal 19 ottobre 2023. Cinque mesi regalati dai parlamentari trumpiani alla tracotanza di Putin.

Continua a leggere sul sito del Corriere, cliccando qui.

2. La sfida di Putin tra rock e «volontari»: «Donbass e Crimea sono tornate a casa»
editorialista
di Marco Imarisio

imageVladimir Putin durante il concerto di ieri sera nella Piazza Rossa di Mosca (foto Ap/Alexander Zemlianichenko)

«È tutto bellissimo, è tutto eccezionale». I presentatori sono Ruslan Ostashko e Yulia Baranovskaya, volti celebri del Primo canale. «Un grande applauso per i dieci anni del nostro ricongiungimento con la Crimea e Sebastopoli!». Subito dopo, inneggiano ai risultati delle elezioni presidenziali, sottolineando il fatto che l’affluenza è stata «stupefacente», senza precedenti nella storia della nuova Russia.

Seguono canzoni e poesie patriottiche. Salgono sul palco i tre capi dello staff elettorale di Vladimir Putin. Il più applaudito è l’eroe della repubblica di Donetsk, il comandante del battaglione «Sparta», colonnello Artiom Zhoga, la stessa persona a cui lo scorso 8 dicembre il presidente aveva annunciato l’intenzione di candidarsi per il quinto mandato. «Esistiamo, viviamo, siamo tornati a casa. E abbiamo fatto ancora una volta la nostra scelta a sostegno del Comandante in capo. Insieme, siamo uniti e invincibili».

Le sue ultime parole fanno da introduzione a una canzone rock che ricorda la liberazione della Russia dai polacchi nel Seicento. I presentatori fanno una lunga digressione sui valori della famiglia e della memoria storica. Baranovskaya, già madre di tre figli, si fa prendere dall’entusiasmo e annuncia di voler partorire ancora e ancora, esortando le donne russe a «procreare quanti più esseri umani possibile».

Nel frattempo, una folla di giovani si è stancata di aspettare il proprio turno ai controlli, e abbandona la zona. Solo tra sabato e domenica è stato comunicato ai volontari il trasferimento dallo stadio Luzhniki alla meno capiente piazza Rossa del concerto dedicato ai dieci anni dell’annessione della Crimea. Gli studenti di varie università raccolti per la massovka (affluenza di massa) necessaria al tutto esaurito si sono ritrovati ieri mattina vicino alla metropolitana di Kitaj-gorod per ritirare il tesserino: l’età dei partecipanti non deve mai superare i cinquant’anni. Al momento di entrare, la maggior parte si è sentita dire che non c’era più bisogno di loro.

Continua a leggere sul sito del Corriere, cliccando qui.

3. Uomini e mappe
editorialista
di Marta Serafini

imageI soldati dell’esercito tedesco durante un’esercitazione ieri a Klietz (foto Epa/Hannibal Hanschke)

Mappe e uomini sono elementi cardine in guerra. Sulle prime c’è una notizia che sta agitando Kiev. Il settimanale americano The Atlantic ha pubblicato un’inchiesta che dimostra come la Russia stia utilizzando le immagini satellitari commerciali statunitensi per pianificare e portare a termine i suoi attacchi missilistici. Per i militari, ottenere la copertura satellitare è più difficile, ma l’acquisto può essere effettuato tramite società terze in Paesi o organizzazioni amiche, per evitare sanzioni proprio come avviene per altri prodotti commerciali.

Sul fronte europeo invece, come sottolinea Politico, a preoccupare sono le dimissioni dei soldati dagli eserciti nazionali e dai contingenti Nato. Ciò avviene mentre Paesi come la Croazia stanno riflettendo sul ripristino della coscrizione o come la Danimarca prevedono di espanderla includendo le donne.

  • In Francia, il personale militare resta nelle forze armate in media un anno in meno rispetto al passato. Per ovviare al problema il governo ha presentato un piano che prevede il rilancio delle pensioni, aumenti di stipendi e sussidi familiari.
  • In Germania, dove la coscrizione obbligatoria è stata abolita nel 2011, nel 2023 1.537 soldati hanno lasciato la Bundeswehr, ridotta a 181.514 effettivi.
  • Nel Regno Unito, si è verificato un deficit di assunzioni annuali di 1.100 soldati, l’equivalente di due battaglioni di fanteria.
  • In Polonia, il nuovo governo ha annunciato aumenti salariali di circa il 20% ed è riuscito a incrementare il numero di effettivi.

Ma il tema resta: l’Europa ha abbastanza uomini per affrontare una guerra con la Russia?

TACCUINO MILITARE | I tunnel e la morte di Issa
editorialista
di Guido Olimpio

imageUn tunnel scavato dai combattenti ebraici in preparazione della rivolta di Bar Kokhba contro l’esercito romano

Il taccuino fa un salto indietro nella Storia. Archeologi israeliani hanno individuato un complesso sotterraneo a Huqoq, vicino a Tiberiade. Tunnel e cisterne scavate dai combattenti ebraici all’epoca in preparazione della famosa rivolta di Bar Kokhba contro l’esercito romano (132-135). Guerrieri che colsero di sorpresa i legionari all’interno di villaggi infliggendo perdite. L’uso di queste tattiche per colpi mordi-e-fuggi è spesso citato dagli esperti nei report dedicati alle gallerie costruite da Hamas a Gaza.

In uno di questi rifugi nella Striscia avrebbe trovato la morte Marwan Issa, numero tre del movimento e tra i pianificatori dell’assalto del 7 ottobre. Secondo fonti americane è stato ucciso, insieme ad altri dirigenti, da un raid aereo israeliano. Per giorni sulla sua sorte sono girate notizie contrastanti, con l’Idf piuttosto cauta sull’esito dello strike.

I militari, con l’assistenza dell’intelligence, hanno intensificato la sorveglianza in Cisgiordania perché c’è il timore che la resistenza palestinese possa impiegare i tunnel anche in questo settore.

I genieri proseguono nella realizzazione della nuova strada che taglia in due Gaza, un percorso di circa 6 chilometri ribattezzato corridoio di Netzarim. Parte dall’interno per raggiungere la costa mediterranea.

4. Oscar Camps e gli aiuti via mare a Gaza: «L’ultimo miglio il più duro

imageLo chef José Andrés, a sinistra, e Oscar Camps, a destra, fondatore della ong catalana Proactiva Open Arms

(Marta Serafini) «La parte più difficile della missione? L’ultimo miglio». Oscar Camps, fondatore della ong catalana Proactiva Open Arms, è sbarcato da poche ore a Cipro. Camps ha condotte decine di operazioni in mare ma aprire un corridoio umanitario per Gaza ha richiesto un lavoro preparatorio di mesi. «Stiamo parlando di una rotta che era chiusa dal 2005: nessun aiuto era mai entrato a Gaza via mare e questo è un risultato storico», spiega per iscritto al Corriere della Sera. Altra anima dell’operazione Safeena (imbarcazione in arabo), lo chef José Andrés, patron della World Central Kitchen, ong statunitense che ha fornito le 200 tonnellate di cibo arrivate a Gaza venerdì notte.

Come è nata la collaborazione con José Andrés?
«Open Arms è un’organizzazione con una missione primaria, ovvero proteggere la vita delle persone e i loro diritti umani in mare. Abbiamo iniziato nel 2015 sull’isola di Lesbo dopo aver visto la fotografia del piccolo Aylan Kurdi annegato e lavoriamo nel Mediterraneo centrale chiedendo all’Europa di garantire corridoi umanitari sicuri. Lo chef José Andrés e la ong da lui diretta, Wck, stanno facendo uno sforzo impressionante per garantire cibo a Gaza, con pasti caldi, e hanno bisogno di forniture per rafforzare l’assistenza a terra. Avevamo già collaborato in Ucraina. Per questo ci hanno chiamato, per unire le forze. È stata una missione molto complessa, perché ha comportato non solo lo sforzo tecnico di Open Arms per risolvere i problemi di gestione del percorso, il meteo, ma ha anche richiesto un enorme sforzo diplomatico da parte di Wck per aprire porte che, per due decenni, erano rimaste chiuse».

Qual è stata la fase più difficile? Lo sbarco al molo?
«Poiché non esisteva un porto merci operativo, la parte più complessa era far sbarcare il cibo, “l’ultimo miglio” appunto. La soluzione è stata trovata con un progetto che ha previsto il trasporto su una piattaforma e la consegna a terra attraverso un frangiflutti temporaneo che Wck ha costruito riutilizzando le macerie».

Continua a leggere sul sito del Corriere, cliccando qui.

5. Donald Trump ora rischia la bancarotta?
editorialista
di Massimo Gaggi
da New York

imageDonald Trump, 77 anni, ex presidente degli Stati Uniti in corsa per essere rieletto (foto Ap/Jeff Dean)

Donald Trump, che ha sempre amato presentarsi come un uomo enormemente ricco, con grandi disponibilità liquide, ha problemi seri proprio di soldi tanto nella sfera pubblica del finanziamento della campagna elettorale, quanto in quello, personale, degli oneri legati alle sue pendenze giudiziarie.

Scavalcato e distanziato da Joe Biden (che ha nelle sue casse elettorali 155 milioni di dollari, mentre gli ultimi dati disponibili danno il leader repubblicano a quota 40), Trump ora deve affrontare prioritariamente le emergenze processuali. Non ha denaro liquido e non è riuscito a trovare fideiussioni per coprire i 454 milioni di dollari che è stato condannato a pagare per i reati finanziari e fiscali commessi dalla sua Trump Organization: deve versarli entro fine mese come cauzione in attesa dell’esito del ricorso in Appello già presentato.

Ieri i suoi avvocati hanno chiesto alla corte un rinvio della scadenza e la riduzione del deposito richiesto a 100 milioni di dollari. I legali dell’ex presidente, che ha già dovuto versare 91 milioni per la condanna per diffamazione nei confronti di Jean Carroll, una donna che l’aveva accusato di abusi sessuali, sostengono di aver mobilitato quattro broker finanziari che hanno contattato 30 diverse compagnie specializzate nell’emissione di fideiussioni: nessuna si espone per più di 100 milioni e tutte chiedono cash e non immobili come garanzia collaterale.

E Trump, che ha sicuramente un patrimonio immobiliare imponente, evidentemente è a corto di liquidità, anche perché spende molto per l’esercito di avvocati che lo difendono nei numerosi procedimenti penali e civili che deve fronteggiare. Si avvera la previsione fatta mesi fa da alcuni analisti: Trump politicamente vulnerabile non tanto in campo penale (accuse più gravi, ma difficilmente si arriverà a condanne prima delle elezioni) quanto nelle cause civili. Che sono già arrivate a sentenza e lo toccano in ciò che sente più prezioso: il patrimonio.

Continua a leggere sul sito del Corriere, cliccando qui.

6. Le intese sull’immigrazione dal Cairo al Messico

imageFoto di gruppo ieri domenica al Cairo. Da sinistra: il cancelliere austriaco Karl Nehammer, il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, il presidente cipriota Nikos Christodoulides, il primo ministro belga Alexander De Croo e la premier italiana Giorgia Meloni (foto Epa/Egyptian Presidential Office)

(Francesca Basso e Viviana Mazza) I più cinici sperano che il bel tempo non arrivi troppo presto perché il mare calmo facilita gli sbarchi di migranti irregolari sulle nostre coste (anche su quelle greche) e dal 6 al 9 giugno ci sono le elezioni europee. Numeri da emergenza riempirebbero le urne dell’estrema destra in tutto il Vecchio Continente. Secondo i sondaggi «Identità e democrazia», di cui fanno parte tra gli altri la Lega, il francese Rassemblement National e la tedesca AfD, potrebbero diventare il terzo gruppo a Strasburgo (ma il Carroccio non sarebbe più l’azionista di maggioranza, anzi sarebbe molto ridimensionato). I partiti europeisti stanno correndo ai ripari, non esitando a spostarsi a destra sulla migrazione come il Ppe.

Sono problemi che accomunano le due sponde dell’Atlantico. L’immigrazione è un tema centrale in vista delle prossime elezioni presidenziali negli Stati Uniti, cavalcato da Donald Trump ad ogni comizio: per il 30% degli americani è la questione più importante, anche rispetto all’economia e all’inflazione. In un sondaggio di gennaio condotto da Gallup, il 54% degli americani diceva di non approvare l’operato di Biden, e la loro prima preoccupazione è l’immigrazione. Oltre 6,3 milioni di migranti sono stati arrestati dopo aver attraversato il illegalmente il confine da quando Biden è diventato presidente nel 2021, 2,4 milioni sono stati ammessi nel Paese.

In Europa, uno dei maggiori successi di questa legislatura, il nuovo Patto per la migrazione e l’asilo, di fatto non interviene sui migranti economici irregolari. Da mesi la strategia di Bruxelles è cercare di impedire le partenze: «Il modo migliore per garantire la sicurezza dei migranti è prevenire questi viaggi catastrofici», ha ripetuto più volte la commissaria Ue agli Affari interni, la svedese Ylva Johansson (socialista). E la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, già prima di diventare la candidata leader del Ppe per le elezioni, ripeteva che «siamo noi a decidere chi arriva nell’Unione europea e in quali circostanze e non i contrabbandieri e i trafficanti».

Nel tentativo di frenare i flussi di migranti irregolari dal Nord Africa von der Leyen ha siglato partenariati strategici con la Tunisia e la Mauritania e domenica scorsa una dichiarazione congiunta con l’Egitto. Si è recata al Cairo insieme alla premier Meloni e ai capi di governo del Belgio Alexander De Croo (che ha la presidenza di turno dell’Ue), della Grecia Kyriakos Mitsotakis, di Cipro Nikos Christodoulides e dell’Austria Karl Nehammer. Queste intese sono state criticate perché si tratta di Paesi che non rispettano i diritti umani. La scorsa settimana il Parlamento Ue con una risoluzione non vincolante ha chiesto chiarimenti sul pagamento di 150 milioni in unica tranche alla Tunisia, nell’ambito del memorandum, manifestando «preoccupazione» per il progressivo deterioramento dello Stato di diritto nel Paese.

Continua a leggere sul sito del Corriere, cliccando qui.

Questo articolo è uscito su Europe Matters, la newsletter a cura di Francesca Basso e Viviana Mazza che unisce le due sponde dell’Atlantico: ci si iscrive qui.

7. I temibili Piccoli rosa cinesi che aggrediscono i personaggi pubblici ritenuti anti patriottici
editorialista
di Guido Santevecchi

imageIl Nobel per la Letteratura Mo Yan, autore di «Sorgo rosso» (foto Ap)

Il loro nome suona innocente: «Piccoli rosa». Ma non sono meno pericolosi delle Guardie rosse che Mao scatenò durante la Rivoluzione culturale. Si tratta di un movimento ultranazionalista cinese che agisce sul web e aggredisce personaggi pubblici, gruppi industriali, anche la più quotata università di Pechino, per presunte attività anti-patriottiche.

Le ultime vittime sono Mo Yan, Premio Nobel per la letteratura nel 2012, Zhong Shanshan, miliardario dell’acqua minerale salito al rango di uomo più ricco della Cina; e poi il colosso telecom Huawei e l’università Tsinghua. Personalità ed entità diverse contro le quali i Piccoli rosa si sono mobilitati sui social, sostenendo che «nutrono vergognose simpatie per il Giappone e collusioni con gli avversari della Cina».

L’autore di Sorgo rosso è stato preso di mira dal «blogger patriottico» Wu Wanzheng, che lo ha accusato di aver insultato la memoria degli eroici combattenti della guerra di liberazione contro i giapponesi e addirittura di aver «vilificato Mao». Wu perseguita Mo Yan da più di un anno con i suoi post firmati «Mao Xinghuo, la Bocca della verità» e a febbraio ha cercato di trascinarlo in tribunale in una causa che chiede un risarcimento da 1,5 miliardi di yuan, uno per ogni cittadino cinese «ferito» dagli scritti del letterato.

Come pena accessoria la Bocca della verità ha sollecitato il sequestro dei libri che a suo dire hanno «denigrato i martiri cinesi ed esaltato i carnefici nipponici». La campagna di Wu si basa su una legge del 2018 per combattere quello che Xi Jinping definisce il «nichilismo storico»: vale a dire ogni interpretazione degli eventi storici e politici contraria alla narrazione ufficiale del Partito comunista. Non c’è da scherzare con quella legge, che prevede fino a tre anni di carcere.

Mo Yan nel 2005 disse che «letteratura e arte debbono esporre il lato oscuro e l’ingiustizia della società»: Sorgo rosso è ambientato ai tempi della guerra di resistenza contro i giapponesi e presenta personaggi e situazioni controverse, oggi forse alcune situazioni narrate nel capolavoro creerebbero qualche problema con la censura. Ma la nuova era di Xi non era ancora cominciata e il Partito allora non ebbre a che ridire. Nel 2011, un anno prima del Nobel, Mo Yan è stato nominato vicepresidente dell’Associazione statale degli scrittori. Dopo il premio il Partito ha elogiato Mo Yan come «eccelso esponente dell’influenza della cultura cinese nel mondo». Ora, nessun commento governativo sull’attacco al romanziere.

Il tribunale di Pechino a cui si è rivolto Wu ha rigettato l’istanza per vizio di forma, sostenendo che nella citazione mancava l’indirizzo del celebre scrittore. Sembra che le autorità non abbiano alcuna voglia di aprire un caso così clamoroso. Anche il giornalista nazional-comunista Hu Xijin, ex direttore del Global Times è intervenuto su Weibo definendo il blogger Wu «un populista farsesco». Wu ha reagito minacciando di far causa anche a Hu. Il caso, sotto l’hashtag #MoCitatoingiudizio ha raccolto oltre due milioni di contatti in rete.

Murong Xuecun, scrittore cinese emigrato in Australia, osserva che anche se il governo non appoggia l’attacco a Mo Yan, ne ha creato i presupposti: «Cavalcando il nazionalismo, il Partito ha incitato i cittadini a sospettare, denunciarsi uno con l’altro, prendendo di mira chi non segue l’idologia di massa o promuove valori universali».

Il nome Piccoli rosa deriva dall’origine: questo movimento cinese online partì una ventina d’anni fa come gruppo di commento letterario di romanzetti d’amore e la sua pagina web ha mantenuto come sfondo il rosa. I partecipanti si chiamarono tra di loro «xiao fenhong», piccoli rosa, e discutevano di tutto, dalla cultura ai trend sociali. Una parte del movimento si è poi dedicata alla difesa dei valori patriottici e al nazionalismo.

Non picchiano a sangue i neri controrivoluzionari, come facevano le Guardie rosse, ma usano i commenti sul web come randelli. In questi giorni hanno preso di mira anche il gruppo Nongfu dell’acqua minerale e bevande. Il tamtam è partito quando qualcuno ha osservato che il logo su una bottiglietta di té «ricordava il famigerato tempio Yasukuni di Tokyo», dove sono commemorati criminali della guerra d’invasione giapponese; fuoco anche su un’altra etichetta che presentava una montagna verde, identificata come il Monte Fuji; qualcuno ha sparato sul tappo di plastica rosso, che ricorda il Sol Levante della bandiera nemica.

imageLe bottigliette della Nongfu accusate di esaltare simboli giapponesi nell’etichetta

Fantasie da caccia alle streghe. Ma l’appello al boicottaggio dei prodotti Nongfu è partito, alimentato anche dal fatto che il figlio del proprietario Zhong Shanshan avrebbe ottenuto la cittadinanza americana. Le vendite sono calate del 30 per cento da inizio marzo e il titolo in Borsa ha perso il 5%.

Huawei, che pure è stata accusata da Washington di essere una quinta colonna del governo cinese, è finita nel mirino dei Piccoli rosa perché ha dato un nome inglese a un suo microchip. E la Tsinghua ha ricevuto un’ondata di attacchi per il solo fatto di non essere stata sottoposta a sanzioni dal governo degli Stati Uniti, che pure hanno colpito circa 600 entità statali cinesi. Su Weibo è uscito: «Lo Stato vi sovvenziona generosamente ma voi non siete nemmeno riusciti a far inserire la Tsinghua nella lista delle istituzioni sgradite agli americani».

Pechino ha fatto uscire dalla bottiglia il genio del nazionalismo. Richiuderlo dentro non è possibile.

8. Varata a Hong Kong la nuova Legge sulla sicurezza nazionale

imageIl Legislative Council, Parlamento dell’ex colonia britannica, ha votato 89 a 0 (foto Epa/Daniel Ceng)

(Guido Santevecchi) Hong Kong ha una seconda Legge sulla sicurezza nazionale, dopo quella imposta da Pechino nel 2020 per schiacciare il movimento di protesta democratica. Il Legislative Council, Parlamento dell’ex colonia britannica, ha votato 89 a 0 l’introduzione delle nuove norme che includono i crimini di tradimento, insurrezione, sedizione, sabotaggio, interferenza straniera, furto di segreti statali e spionaggio. La pena per alcuni di questi reati è l’ergastolo.

Sono gli ultimi chiodi sulla bara della libertà di esprimere dissenso nel territorio restituito alla Cina nel 1997 con l’accordo che Pechino avrebbe garantito per cinquant’anni un sistema di governo diverso da quello del Partito unico. Promessa abbandonata. Interferenza straniera e rivelazione di segreti statali sono ipotesi di reato opache e pericolose anche per i manager della business community straniera che lavorano nella City cinese.

Il processo di approvazione parlamentare è stato rapidissimo: la legge era stata presentata dal governo l’8 marzo e oggi è passata. Entrerà in vigore sabato 23 marzo, ha annunciato il governatore di Hong Kong John Lee, che ha un passato da comandante della polizia. Nel 2003, quando il governo della City aveva cercato per la prima volta di introdurre una legislazione per la sicurezza nazionale, gli hongkonghesi erano scesi in strada a centinaia di migliaia per protestare e il progetto era stato abbandonato. Dal 2020, con la prima legge cinese, manifestare è l’anticamere del carcere e del processo. Così l’ex poliziotto John Lee ha potuto varare la sua nuova normativa con un voto all’unanimità.

9. La sindrome dell’Avana in tre atti

(Guido Olimpio) La saga continua.

Prima puntata. Tra il 2016 e 2017 numerosi diplomatici americani e canadesi in servizio a Cuba come in altri Paesi lamentano disturbi. La testa che gira, ronzii, senso di nausea. Nasce il sospetto che siano stati presi di mira da agenti ostili. Altri casi coinvolgono personale della Cia e delegazioni in visita.

Seconda puntata. Indagano tutti, dalle spie agli scienziati, senza arrivare ad un verdetto unanime. L’intelligence, però, stabilisce che la sindrome dell’Avana — così è chiamato il fenomeno misterioso —, non è il risultato di attacchi da parte di avversari. Parere contestato da quanti ritengono ci sia un’azione dolosa, magari con sostanze o onde elettromagnetiche.

Terza puntata. Un nuovo studio, appena uscito, sostiene che la sindrome non abbia causato danni celebrali alle vittime. Di nuovo la «sentenza» è contestata da un esperto per il quale è possibile che le tracce sfuggano alle analisi. Aspettiamo la quarta puntata.

10. La giustizia cinese si interroga sul caso di tre adolescenti bulli e assassini

imageI tre adolescenti

(Guido Santevecchi) Un delitto atroce è piombato sui social media e sui giornali cinesi: un ragazzino delle medie è stato ucciso da tre coetanei tredicenni in una periferia di provincia. Una storia che era cominciata con bullismo, ricatto ed è finita con un omicidio premeditato: il giorno prima di massacrare di botte il compagno, gli adolescenti assassini avevano scavato la fossa tra i campi, in una serra abbandonata; e hanno sfigurato il volto per cercare di renderlo irriconoscibile.

La polizia li ha identificati e fermati. Il caso ha aperto un dibattito in Cina, perché è emerso che vittima ed esecutori erano «liúshou értóng», bambini cinesi «lasciati indietro» nei villaggi di campagna dai genitori andati a lavorare in città lontane. Sono gli orfani sociali dello straordinario sviluppo industriale della Cina, che ha portato quasi 300 milioni di contadini a migrare dalla campagna alle megalopoli per trovare occupazione nelle catene di montaggio e nei cantieri.

Secondo dati ufficiali, ci sono almeno 67 milioni di «liúshou» nelle province cinesi: affidati a nonni anziani o ad altri parenti poco presenti. La scuola da sola, quando i minorenni ci vanno, non è in grado di educarli. Sociologi e psicologi nel corso degli anni hanno rilevato un’infinità di casi di sbandamento, depressione, violenza tra i minorenni rimasti soli a pagare il costo del boom industriale cinese.

E poi c’è un altro motivo che ha attirato l’interesse della stampa cinese sul delitto compiuto il 10 marzo nel villaggio di Jiudian alla periferia di Haidan nello Hebei: come deve procedere la Giustizia di fronte a tre bambini assassini? Nel 2021 il codice penale di Pechino ha abbassato da 14 a 12 anni l’età della responsabilità per reati «di estrema crudeltà».

I bulli che hanno ucciso il compagno di scuola Wang Ziyao lo avevano perseguitato per mesi, costringendolo sistematicamente a consegnare i pochi spiccioli che aveva in tasca; poi hanno deciso di eliminarlo, forse temendo di essere denunciati, e hanno cercato di rendere il corpo irriconoscibile, con una tecnica degna di criminali esperti. I tre hanno confessato. Siccome hanno 13 anni spetta alla Procura Suprema del Popolo decidere se mandarli a processo.

Il padre della vittima con un post sui social ha chiesto la punizione più dura: «Per come lo hanno sfigurato dopo l’assassinio meritano di pagare con le loro vite. Spero che questa sia la decisione della giustizia». Il ritrovamento del cadavere è stato seguito dalle telecamere della tv statale; sono circolate immagini dei tredicenni detenuti: sul web le hanno viste decine di milioni di cinesi.

Molti commenti affrontano il tema della solitudine e dell’abbandono dei «figli lasciati indietro»: «La nostra Cina impegnata a crescere economicamente ha dimenticato che il primo obbligo è far crescere i figli, soprattutto nelle campagne da dove sono partiti milioni di lavoratori migranti i minori non hanno ricevuto sufficienti attenzioni. Fatti come questo delitto possono ripetersi», ha scritto un cittadino su Weibo.

11. La Corea del Sud cerca di attrarre i nomadi digitali

imageSeoul, capitale della Corea del Sud, è una destinazione che sta diventando sempre più popolare

(Clara Valenzani) La Corea del Sud sta testando un nuovo visto per entrare nel mercato del «workation», termine che indica le mete appetibili per un nomade digitale. Parlando di lavoro da remoto, non è il primo Paese a cui si pensa: eppure, negli ultimi anni ha destato sempre più interesse, complici il fenomeno del K-pop (band locali — come i Bts — idolatrate dai giovani) e fortunate serie TV come Squid Game. A gennaio 2024 il governo ha lanciato la possibilità di richiedere il visto F-1-D, studiato per i lavoratori stranieri a distanza.

Il requisito base per una permanenza di 12 mesi, estendibile per un ulteriore anno, è l’equivalente di 60 mila euro di reddito annuale: una cifra non indifferente, considerato che è il doppio di un salario medio coreano, e che la richiesta a Dubai e in Giappone oscilla tra i 3 e 5 mila euro al mese. È inoltre necessario avere un contratto di assunzione estero in essere e un’assicurazione medica con copertura minima di 70 mila euro. Seoul dichiara che l’iniziativa è volta ad «attrarre stranieri ad alta rendita economica e stimolare la crescita del Paese», ma al 29 febbraio le richieste pervenute sono 31. «È una fase pilota, monitoreremo il progetto per miglioralo», ha dichiarato il ministro della Giustizia al quotidiano Al Jazeera.

Grazie per averci letto fino in fondo. Buona giornata,

Andrea Marinelli


America-Cina esce dal lunedì al venerdì alle ore 13.
Per segnalazioni e commenti scrivete a
Se ti piace questa newsletter, condividila con i tuoi amici.
Ricevi questa email in quanto iscritto alla newsletter. Titolare del Trattamento Dati è RCS MediaGroup S.p.A.
Se intendi disiscriverti da «Il Punto» e non ricevere più le newsletter «Il Punto-Prima Ora», «Il Punto-America-Cina», «Il Punto-Rassegna Stampa», «Il Punto-Ultimora», «Il Punto-Edizione Speciale», «Il Punto-Extra per voi» fai click qui. Se desideri rettificare, modificare, consultare i tuoi dati o comunque esercitare i diritti riconosciuti ai sensi degli artt. 15-22 del Regolamento UE 2016/679 scrivi a privacy@rcsdigital.it
Ritieni interessante questa newsletter? Non perderti gli altri appuntamenti con l'informazione di Corriere della Sera. Scopri tutte le newsletter ed iscriviti subito.