Noci (Polimi): «Italia fuori dalla Via della Seta, ora riequilibrare gli scambi»

Noci (Polimi): «Italia fuori dalla Via della Seta, ora riequilibrare gli scambi» Noci (Polimi): «Italia fuori dalla Via della Seta, ora riequilibrare gli scambi» Giuliano Noci, prorettore del Politecnico di Milano

Non desta preoccupazione tra gli addetti ai lavori l’uscita ufficiale dell’Italia dal progetto Belt&Road Initiative lanciato dalla Cina e sottoscritto dall’Italia, unico fra i Paesi del G7, nel 2019. «Le modalità molto soft con cui la Farnesina ha gestito l’abbandono del progetto rappresentano un notevole successo per la nostra diplomazia. Adesso occorre rilanciare su basi nuove il rapporto Italia - Cina ed Europa - Cina», spiega Giuliano Noci, docente di strategia e marketing alla Business School del Politecnico di Milano e prorettore con delega specifica ai rapporti con la Cina dell’Ateneo milanese.

Perché l’uscirta dall’accordo sulla Via della Seta da parte dell’Italia non produrrà effetti negativi nei rapporti bilaterali tra i due Paesi?
«Per i cinesi era molto importante salvare le apparenze e non subire una pubblica umiliazione. Il modo in cui la Farnesina ha gestito tutta l’operazione di uscita dall’accordo Belt & Road Initiative consente ai cinesi di salvare la faccia e di non subire una sconfitta pubblica che avrebbe potuto avere riflessi anche nei rapporti tra la Cina e altri Paesi».

Quindi nessuna ritorsione cinese verso gli interessi economici italiani
«È molto importante che non ci siano conseguenze sul piano economico e l’Italia è stata abile nel rilanciare i rapporti in termini di partenariato strategico fra i due Paesi. La Cina è un mercato di grandissima importanza per l’Italia e per l’Europa. Si pensi che circa il 40% dei profitti nel settore del lusso per l’Italia e per la Francia derivano dal mercato cinese. Le imprese italiane che sono sub-fornitrici delle aziende automobilistiche tedesche hanno tutto l’interesse al mantenimento di rapporti stabili. Tanto per dare un esempio: il 40% dell’export di aziende come Volkswagen è indirizzato al mercato cinese».

Quali saranno gli sviluppi del rapporto tra Italia e Cina?
«La relazione va vista nel contesto della più ampia relazione tra l’Ue la Cina. In Europa abbiamo tutto l’interese a riequilibrare gli scambi, visto che attualmente il surplus cinese nei confronti dell’Ue è di circa 400 miliardi di dollari. L’Italia poi può incrementare l’export verso la Cina, che attualmente è di soli 17 miliardi seguendo l’esempio di penetrazione del mercato cinese seguito dalla Germania, che ha esportazioni di circa 100 miliardi verso il Paese».

È dunque finita l’epoca della delocalizzazione di impianti produttivi di aziende italiane in Cina?
«Solo per quanto riguarda le industrie di interesse strategico. In realtà la Cina continua ad offrire un mix di competenza della manodopera, alto livello e qualità delle infrastrutture e basso costo del lavoro che non sono facilmente replicabili in altri Paesi asiatici come l’India o il Vietnam. Si assisterà solo a un parzialre re-shoring di alcune produzioni».

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