Mosca 2024 come Madrid 2004 quando il potere mente

Caro Aldo,
penso che quanto più la Russia cerchi di coinvolgere gli ucraini nella strage di Mosca, tanto più riconosca il fallimento del suo apparato militare e di difesa interna in quanto significherebbe che dopo due anni dall’inizio della guerra non è riuscita a neutralizzare le loro azioni terroristiche sul suo territorio.
Roberto Repossi

Con l’attentato al teatro di Mosca sembra che Putin abbia l’occasione di completare drasticamente la sua «operazione speciale», incolpando in qualche modo Kiev dell’attacco, nonostante l’Isis abbia rivendicato più volte il proprio coinvolgimento. Lei cosa ne pensa?
Alessio M.

Cari lettori,
Questi giorni moscoviti riportano alla mente quel che accadde in Spagna proprio vent’anni fa. Si era alla vigilia delle elezioni, fissate per il 14 marzo 2004. Tutti i sondaggi davano in testa il Partito popolare, cioè la destra, guidata da Mariano Rajoy, successore designato di José María Aznar. La mattina dell’11 marzo una bomba esplose alla stazione di Atocha, nel cuore di Madrid, uccidendo 192 persone. Ricordo bene quel momento perché ero a Santander, dove la sera prima avevo seguito un comizio di un personaggio che mi interessava molto, l’ex premier socialista Felipe González. Gli avevo chiesto invano un’intervista: mi spiegarono che González detestava El Mundo, che appartiene a Rcs, e non intendeva parlare con una testata del gruppo. In realtà, alla fine del comizio lo avvicinai, con il pretesto di farmi firmare una copia del suo libro «El futuro no es lo que era» (Il futuro non è più quello di una volta), e González fu gentilissimo: era molto di buon umore perché, pur essendo profondamente andaluso, amava Santander, che era la città di suo padre. Il giorno dopo, però, alle prime notizie della strage, apparve chiaro che l’intervista era da buttare. Il governo annunciò che a mettere la bomba era stata l’Eta. Così partii per Bilbao, dove tutti invece giuravano: «Un basco non può averlo fatto». Si capiva che in effetti non era stata l’Eta, ma Al Qaeda, insomma i terroristi islamici, che intendevano punire la Spagna per l’appoggio alla guerra di Bush in Iraq. Eppure fino al giorno del voto il governo negò quella che nel frattempo era diventata un’evidenza. L’affluenza alle urne fu massiccia, in particolare in Catalogna e nei Paesi Baschi, le comunità più ostili alla destra. E vinse a sorpresa José Luis Zapatero, che i baroni socialisti avevano scelto non tanto come leader quanto come vittima sacrificale. È una vicenda ben ricostruita nel nuovo saggio di Enric Juliana, «Il patto e la furia», che racconta vent’anni di lotta politica in Spagna. A differenza della Spagna, la Russia non è una democrazia; e le menzogne di Putin, che pur avendo infine riconosciuto le responsabilità dei terroristi islamici tenta di usare i morti di Mosca per dare addosso all’Ucraina, resteranno impunite. Tuttavia Putin esce indebolito da questa tragedia.

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Storia

«La prima Coppa del Milan raccontata dalla radio»

Londra, mercoledì 22 maggio 1963, ore 15: nello stadio di Wembley il Milan di Andrea Rizzoli e del paròn Nereo Rocco incontrava in finale di Coppa dei Campioni i portoghesi del Benfica di Eusebio. Per non distrarre la laboriosa Italia del miracolo economico, la partita non fu trasmessa in diretta tv, ma solo in differita la sera dalla voce di Nicolò Carosio. Noi ragazzi la sentimmo quindi in radiocronaca dalla voce di Enrico Ameri. In maglia bianca, era il Milan di «Kamikaze» Ghezzi in porta, di Rivera e Dino Sani a centrocampo, di Bruno Mora sulla fascia e di Altafini in attacco. Dopo il gol della pantera nera Eusebio, nella ripresa il Milan estrasse, letteralmente, il coniglio dal cilindro: il grande Altafini, ingiustamente soprannominato «Coniglio» dal direttore tecnico Gipo Viani (e pensare che giocò senza parastinchi e coi calzettoni abbassati alla Sivori), segnò prima il gol del pareggio e poi, in un velenoso contropiede, quello della vittoria. Il pomeriggio del giorno dopo mio padre accompagnò me e il mio caro amico Ferruccio a Linate, ad accogliere i giocatori: il primo a comparire fu capitan Cesare Maldini, che sollevava al cielo la Coppa dalle grandi orecchie, per la prima volta in Italia. Poi finimmo a cena in una trattoria tra le cascine dell’allora agreste e bucolica Trenno, a neppure un paio di chilometri dallo stadio di San Siro.
Francesco Fiorista Milano

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