Se la Cina invade Taiwan trova un «guscio vuoto»? La trappola dei chip e l'«interruttore della morte»
In caso di invasione cinese di Taiwan, «siamo in grado di bloccare a distanza i nostri macchinari sull’isola». Lo affermano due fra le più importanti aziende nel settore dei semiconduttori e microchip, quello che è al centro della nuova sfida tecnologica fra America e Cina.
La rivelazione allude alla possibilità che la Repubblica Popolare dopo l’attacco militare si ritrovi in mano un «guscio vuoto», cioè un territorio privato di fatto di quei suoi gioielli tecnologici tanto concupiti per ragioni strategiche.
Il senso delle manovre militari in corso
La notizia trapela proprio mentre le forze armate dell’Esercito Popolare di Liberazione agli ordini di Xi Jinping stanno completando nuove manovre di accerchiamento dell’isola.
La maggior parte degli esperti, inclusi quelli del Pentagono, concordano nell’escludere che siamo alla vigilia di un’invasione vera e propria. Le manovre militari in atto – chiamate in codice «Spada Congiunta 2024» – erano largamente scontate e prevedibili. Sono la risposta «rituale» all’insediamento del nuovo presidente, Lai Ching-te, democraticamente eletto dai cittadini taiwanesi. Questi ultimi hanno un diritto che viene negato ai cinesi della terraferma, i quali subiscono un terzo mandato del loro presidente Xi Jinping senza essere mai stati consultati in proposito.
L’insopportabile anomalia di Taiwan, una vera democrazia animata da veri cinesi, è la ragione per cui in futuro un’invasione armata non si può affatto escludere, anzi va considerata come uno degli scenari realistici. Fin dalla sua fondazione nel 1949 la Repubblica Popolare ha considerato Taiwan come una «provincia ribelle» da domare e da annettere. Il giorno in cui Pechino penserà che i rapporti di forze consentiranno di sconfiggere Taiwan malgrado gli aiuti americani all’isola, probabilmente non esiteranno. In alcune simulazioni del Pentagono si è parlato del 2027 come l’anno-chiave in cui l’Esercito Popolare di Liberazione avrà acquisito una superiorità su quel teatro di guerra.
Il nuovo presidente a Taipei (che non è «secessionista»)
Nell’immediato l’elezione di Lai non sembra rappresentare una minaccia tale da far precipitare i tempi della guerra. Il neopresidente taiwanese appartiene sì al partito democratico, quello più ostile alla riunificazione con Pechino. Però Lai non è affatto un «separatista irresponsabile» come lo accusa la propaganda di Pechino. Anzi, segue un copione ben collaudato e concordato con Washington, con l’esclusione di qualsiasi mossa che appaia come preludio a una dichiarazione d’indipendenza formale. Inoltre Lai pur avendo vinto l’ultima elezione come candidato alla presidenza, non ha conquistato una maggioranza parlamentare; deve negoziare con l'opposizione e cercare l’appoggio del partito più legato a Pechino, il Kmt. Nessun motivo di vero allarme per Xi Jinping, dunque, anche se la descrizione minacciosa che la propaganda comunista fa delle manovre militari parla di «preparativi per prendere il potere sull’isola».
Tra i segnali di escalation militare va annoverata la partecipazione di navi della guardia costiera cinese, insieme alle unità della marina militare e dell’aviazione. L’esercitazione simula un accerchiamento, embargo, strangolamento, a cui l’isola potrebbe soccombere vista la sua elevata dipendenza da ogni sorta di approvvigionamenti (a cominciare dall’energia). Tuttavia, a sostegno del giudizio degli esperti e del Pentagono, che non considerano queste manovre come un preludio al peggio, si ricorda che la visita dell’allora presidente della Camera Usa Nancy Pelosi a Taipei nell’estate 2022 fu «salutata» con esercitazioni militari molto più aggressive.
L'«interruttore della morte»
Non c’è dubbio che sarà molto difficile resistere a un’invasione vera, se e quando Pechino deciderà di lanciarla. In compenso si può avvelenare il frutto della conquista all'aggressore. È un po’ questo il senso della notizia trapelata in questi giorni grazie a un reportage dell’agenzia Bloomberg, intitolato «Asml and Tsmc Can Disable Chip Machines If China Invades Taiwan» e firmato da tre giornalisti, Diederik Baazil, Cagan Koc, Jordan Robertson.
Queste due aziende sono al centro della guerra tecnologica fra Stati Uniti e Cina. Nessuna delle due è di nazionalità americana. La prima è olandese, la seconda taiwanese. Entrambe appartengono a paesi alleati dell’America e sono soggette a direttive stringenti sulla sicurezza. La taiwanese Tsmc è il numero uno mondiale nella produzione di semiconduttori. L’olandese Asml invece fabbrica macchinari per la produzione (la «stampa», si suol dire) dei più sofisticati fra tutti i microchip, inclusi quelli che animano l’intelligenza artificiale. Ambedue queste aziende – secondo le fonti consultate da Bloomberg – sono in grado di disattivare e bloccare a distanza i loro impianti sull’isola, qualora dovesse cadere sotto il controllo cinese.
Queste notizie sono trapelate proprio per rispondere alle preoccupazioni espresse dall’Amministrazione Biden, su quel che accadrebbe se Xi Jinping lanciasse un vero attacco militare contro l’isola che produce la maggioranza dei semiconduttori mondiali. In certe tipologie di prodotto fino al 90% dei microchip vengono da Taiwan.
L’olandese Asml ha garantito di aver già fatto delle simulazioni, su richiesta del governo dell’Aia, e di poter bloccare a distanza i suoi macchinari attivi sull’isola, prevalentemente in dotazione della Tsmc.
EUV, le stampanti a raggi ultravioletti
I macchinari in questione funzionano con «raggi ultravioletti estremi», gli addetti ai lavori li chiamano Euv (iniziali di extreme ultra-violet). La Tsmc ne è l’acquirente più grosso. Gli Euv usano onde di luce ad alta frequenza per stampare i più piccoli microchip transistor esistenti: questi hanno applicazioni che spaziano dall’industria bellica all’A.I. (intelligenza artificiale).
Una macchina Euv, si legge nel servizio Bloomberg, ha la dimensione di un autobus. L’impresa olandese che produce queste apparecchiature avanzatissime, con sede a Veldhoven, ha un monopolio mondiale. Vende ognuno di questi pezzi pregiati per oltre duecento milioni di euro. Ogni macchinario Euv richiede una manutenzione costante e frequenti aggiornamenti.
Possiede anche il cosiddetto «interruttore della morte», attivabile a distanza per renderla inerte e inutile.
L'embargo di Biden contro Pechino
Da quando Biden ha varato un embargo sulle forniture di tecnologie avanzate alla Cina, l’Olanda è stata inclusa nell’operazione. L’Asml ha il divieto di vendere i suoi Euv alla Cina. Questo blocco delle vendite è entrato in vigore effettivamente solo all’inizio del 2024, ma l’Amministrazione Biden era intervenuta già prima facendo pressioni su Asml perché cancellasse alcune vendite antecedenti e revocasse le consegne promesse alla Repubblica Popolare. In conseguenza di questo embargo Asml prevede di perdere il 15% delle sue vendite sul mercato cinese. Il rimanente 85% evidentemente riguarda macchinari meno sofisticati che non ricadono sotto i divieti dell’embargo americano. Perfino dopo questi tagli, la Repubblica Popolare rimarrà il principale mercato di sbocco per Asml.
L'importanza dei macchinari Euv è tale che Asml è diventata l’azienda tecnologica di maggior valore in Europa, con una capitalizzazione di Borsa di quasi 350 miliardi di euro. Fuori dalla Cina, gli olandesi hanno venduto duecento di questi macchinari, la maggioranza dei quali comprati dalla Tsmc. Oltre a venderli la società olandese fornisce servizi di manutenzione e aggiornamento che sono essenziali: senza l’arrivo frequente di parti di ricambio le apparecchiature a raggi ultravioletti cessano di funzionare. Asml ha anche addestrato gli ingegneri della Tsmc perché siano in grado di compiere certe operazioni di manutenzione. A sua volta il presidente della multinazionale taiwanese, Mark Liu, ha dichiarato che la sua azienda non sarebbe uno strumento al servizio di Pechino. «Nessuno controllerà Tsmc con la forza – ha detto – e in caso di invasione militare la nostra fabbrica diventerebbe inutilizzabile».
La gara Cina-Usa sulle politiche industriali
Alcuni esperti sono scettici sul fatto che l’embargo di Biden riesca ad arrestare il progresso della Cina verso l’autosufficienza nell’industria strategica dei microchip. Citano come prova il fatto che il gigante delle telecom cinesi Huawei, pur sottoposto alle restrizioni degli americani, è riuscito a produrre una nuova gamma di smartphone con prestazioni simili agli iPhone della Apple, usando vecchie “stampanti” della Asml insieme con altre apparecchiature.
Stati Uniti e Cina sono lanciate in una gara strategica che viene combattuta anche con gli strumenti delle politica industriale: agevolazioni e finanziamenti pubblici. La legge Chips Act di Biden ha stanziato 39 miliardi di dollari a chi costruisce nuove fabbriche di semiconduttori sul territorio degli Stati Uniti. Due di questi nuovi impianti, in Arizona, li sta costruendo proprio la Tsmc.
(Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta su Global, la newsletter di Federico Rampini: per riceverla basta iscriversi qui)
25 maggio 2024, 13:46 - modifica il 25 maggio 2024 | 13:50
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