Secondo giorno delle manovre «punitive» cinesi attorno a Taiwan: le forze di Xi provano «la presa del potere e il controllo totale» dell'isola

diGuido Santevecchi

Cauta la reazione degli Stati Uniti, che chiedono a Pechino moderazione. Il presidente Lai ha detto che di fronte alle «sfide e alle minacce esterne dobbiamo continuare a preservare i valori della libertà e della democrazia»

Secondo giorno delle manovre «punitive» cinesi attorno a Taiwan: le forze di Pechino provano «la presa del potere e il controllo totale» dell'isola

Un megaschermo a Pechino mostra un caccia cinese in volo intorno a Taiwan (Reuters)

Giorno due delle grandi manovre cinesi intorno a Taiwan. La motivazione iniziale gridata da Pechino era la punizione del presidente Lai Ching-te. L’obiettivo dichiarato oggi è «provare la capacità di prendere il potere, lanciare attacchi coordinati e occupare aree chiave dell’isola». Lo dice il Comando del teatro orientale che dirige l’operazione «Spada congiunta 2024-A». I tg di Pechino spiegano con enfasi che nello Stretto volano dozzine di cacciabombardieri con la stella rossa che conducono simulazioni di attacco. I militari cinesi hanno realizzato e pubblicato sui social mandarini un grafico animato mostra le loro forze che convergono sull’isola, chiusa in un cerchio a forma di bersaglio, con missili lanciati da terra, aria e mare che si abbattono sulle città taiwanesi, da Taipei a Hualien e Kaohsiung.

Propaganda

Le palle di fuoco virtualmente prodotte al computer stanno avendo un grande successo di visualizzazioni sul profilo WeChat dell’Esercito popolare di liberazione. «Sono sacre armi per uccidere l’indipendenza» ha scritto l’ufficio stampa dell’Esercito popolare di liberazione nei titoli di coda. I caratteri utilizzati per il messaggio sono quelli cinesi tradizionali in uso a Taiwan. Dietro la propaganda e la spettacolarizzazione, la Difesa di Taiwan vede chiaramente il piano tattico: in questo Giorno 2 di «Spada congiunta» i cinesi si esercitano nella conquista del «controllo totale» di punti strategici e nella distruzione di centri di comando e controllo dell’isola. 

Il Giorno 1

Nel Giorno 1 hanno schierato forze aeronavali oltre che nello Stretto, a Nord, Est e Sud dell’isola, presidiando le rotte verso Giappone e Filippine, che in tempi di pace assicurano i rifornimenti e i commerci, e in caso di scontro servirebbero a portare eventuali soccorsi e rinforzi americani. Un blocco aeronavale costituirebbe quella che in gergo politico-militare si chiama «gray-zone»: una crisi che non sarebbe guerra aperta e metterebbe Taiwan e i suoi sostenitori nel mondo di fronte al dilemma sulla reazione. 

Il blocco simulato

I calcoli degli analisti, nel caso di blocco totale imposto dai cinesi, danno all'isola tra le tre settimane e i due mesi di resistenza prima dell'esaurimento delle scorte vitali al funzionamento della sua industria. Xi Jinping e il suo stato maggiore hanno quindi diverse opzioni per cercare di sottomettere il governo democratico di Taipei. Fonti della Difesa taiwanese dicono che i bombardieri cinesi hanno simulato oggi attacchi su vari tipi di navi, anche internazionali, nella zona del Canale Bashi che separa Taiwan delle Filippine: questo sarebbe lo scenario catastrofico, la guerra aperta.

Diverse unità della Guardia costiera cinese hanno fatto preparativi per future ispezioni di navi civili a Est dell’isola. «Esercitazioni di applicazione della legge», le ha definite Pechino, spiegando che i suoi pattugliatori armati hanno fatto pratica di identificazione, ammonimento e respingimento in alto mare. Arrestare il traffico commerciale rappresenta lo scenario più incerto, quello da «zona grigia», che porrebbe di fronte all’interrogativo sul rischio di forzare il blocco. 

Le reazioni

Molto cauta la reazione degli Stati Uniti. Funzionari anonimi del Pentagono chiedono a Pechino moderazione. 

Il portavoce della Settima Flotta della US Navy si limita a confermare che il suo comando sta seguendo con attenzione «tutte le attività nell’Indo-Pacifico e prende «molto seriamente» la responsabilità di agire come deterrente da aggressioni. Misurata la dichiarazione di William Lai Ching-te, il presidente taiwanese odiato e temuto da Xi Jinping, che lo ha fatto bollare dal suo servizio diplomatico come «traditore secessionista e indipendentista da inchiodare alla colonna della vergogna». Lai ha visitato una base militare e ha detto che di fronte alle «sfide e alle minacce esterne dobbiamo continuare a preservare i valori della libertà e della democrazia».

24 maggio 2024

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