La Cina lancia «un’operazione punitiva» intorno a Taiwan
Видео по теме
Le manovre dopo l'insediamento del nuovo presidente a Taipei. Tre segnali nuovi e minacciosi: mancato preavviso; obiettivi tattici con alcune isole cerchiate di rosso sulla mappa cinese; l'accusa di «tradimento» rivolta al nuovo presidente dell'isola

Un caccia taiwanese decolla dalla base militare di Hsinchu, nel nord dell'isola, per una missione di ricognizione dopo le manovre cinesi (Afp)
Pechino ha lanciato una «operazione punitiva» contro Taiwan. Le forze cinesi sono state concentrate in cinque aree intorno all’isola, per simulare «la presa di controllo del campo di battaglia», ha dichiarato il Comando del teatro orientale dell’Esercito popolare di liberazione comunista.
L’operazione a sorpresa è cominciata alle 7.45 del mattino: il suo nome in codice è «Spada congiunta 2024-A», definizione che fa riferimento all’impiego combinato di forze navali, aeree, terrestri e missilistiche, spiega l’agenzia cinese Xinhua. Ci sono almeno 3 segnali minacciosi precisi e inquietanti nel «fodero» della Spada: 1) il mancato avvertimento preventivo sull’inizio dell’operazione; 2) la novità degli obiettivi tattici; 3) il nuovo quadro delle relazioni politiche (o della mancanza di relazioni) tra Pechino e Taipei.
Le manovre, secondo la dichiarazione cinese, dureranno due giorni e oltre a rappresentare una forma di «forte punizione» per il nuovo presidente taiwanese William Lai Ching-te, accusato di essere «un pericoloso separatista, traditore della madrepatria», vogliono essere un «serio monito contro ogni interferenza straniera». Le unità cinesi infatti si sono spinte molte miglia oltre la costa orientale di Taiwan, sulle rotte che conducono verso Giappone e Filippine, dove gli Stati Uniti hanno basi dalle quali dovrebbero arrivare i soccorsi.
Una mappa dell’operazione «punitiva» pubblicata dal comando cinese mostra Taiwan stretta da cinque grossi rettangoli rossi e le isole di Kinmen, Matsu e Dongyin, controllate dal governo di Taipei ma vicinissime alla costa cinese continentale, cerchiate per dimostrare che in caso di attacco reale sarebbero il primo obiettivo. Il governo taiwanese ha mobilitato le sue forze per «difendere la sovranità» e ha protestato per «la provocazione irrazionale» da parte cinese che «mette in evidenza la mentalità militarista di Pechino». La Difesa di Taipei ha fatto alzare in volo caccia intercettori e messo in allerta le forze navali, missilistiche e terrestri. Uno degli aspetti dibattuti dai comandi taiwanesi negli ultimi mesi è il rischio che un giorno grandi manovre cinesi come quelle in corso nascondano l’inizio di un attacco reale. Gli analisti militari notano che il dispiegamento cinese rivela una simulazione di invasione su larga scala. I cerchi tracciati dai pianificatori di Pechino intorno a Kinmen, Matsu e Dongyin sono un monito serio, perché per la prima volta indicano esplicitamente quelle isolette come obiettivi. Non era un segreto, ma il gesto ha un simbolismo diretto a intimorire la popolazione locale.

La mappa diffusa dal Comando del Teatro orientale dell’Esercito Popolare di Liberazione
Un altro elemento inquietante è la sorpresa: le precedenti grandi manovre a fuoco organizzate dai cinesi erano state programmate, propagandate e annunciate con grande anticipo. Era successo per la prima volta nell’agosto 2022, quando Pechino voleva protestare a modo suo per la visita a Taipei di Nancy Pelosi, al tempo speaker della Camera Usa. Spiega alla Reuters Song Zhongping, esperto militare cinese basato a Hong Kong: «Con queste esercitazioni massicce, l’Esercito popolare di liberazione sta dicendo agli indipendentisti taiwanesi e alle forze esterne che li sostengono di essere capace di eliminarli con la rapidità e la potenza di un tuono».
Ma perché Xi Jinping ha deciso di dover «punire» Taiwan ora? Il 20 maggio si è insediato a Taipei il nuovo presidente William Lai Ching-te, che era stato eletto a gennaio. Nel suo discorso inaugurale Lai è stato attento a rimanere ancorato allo «status quo», che implica la separazione di fatto tra le due parti dello Stretto, ma non una dichiarazione di indipendenza. Lo status quo è in vigore dal 1949 quando i nazionalisti di Chiang Kai-shek si rifugiarono sull’isola: in questi decenni Taiwan si è trasformata in democrazia e potenza economica, controlla un territorio, batte moneta, ha un esercito. Questa situazione soddisfa gli Stati Uniti, che non riconoscono Taiwan come Stato per poter avere rapporti diplomatici con Pechino, ma sostengono con «ambiguità strategica» il suo diritto di restare separata dalla Cina comunista.
Proprio il consolidamento della democrazia a Taipei ha messo ansia e fretta a Xi, che ha promesso di concludere la «riunificazione» per «non lasciare la questione irrisolta alle generazioni future». Da otto anni Pechino ha chiuso ogni dialogo politico con il governo dell’isola e ha cominciato a minacciare azioni con sempre maggiore vigore retorico e schieramento di forze militari. Lai Ching-te lunedì 20 maggio ha detto che Taiwan vuole essere «timoniera della pace globale» e ha lanciato un appello al dialogo: «Dovremmo condividere la responsabilità verso il mondo di mantenere pace e stabilità nello Stretto». Ma le sue parole hanno scatenato una reazione furiosa a Pechino che le ha definite una «completa confessione dell’indipendenza di Taiwan». Il ministero degli Esteri cinese ha detto che «Lai è un traditore che sarà inchiodato alla colonna della vergogna storica».
Ma quali sono le frasi che hanno suscitato la furia cinese? Lai ha parlato per 30 minuti, citando 31 volte la democrazia. «Non ci sottometteremo né provocheremo, manterremo lo status quo», ha detto. E soprattutto, hanno osservato i politologi occidentali, ha sostenuto che «è chiaro a tutti che la Repubblica di Cina (storico nome di Taiwan, ndr) e la Repubblica popolare cinese non sono subordinate l’una all’altra». Da anni il governo taiwanese aveva usato la formula più prudente «le due parti dello Stretto», ora il nuovo presidente rivendica il nome ufficiale del territorio e questo ha dato a Pechino la motivazione per reagire.
Subito dopo il discorso inaugurale, gli analisti internazionali si sono chiesti se William Lai si fosse spinto troppo in là. Ma il suo problema principale è che, come ha detto Danny Russel, vicepresidente del think tank Asia Society Policy Institute, «non c’è niente che William Lai avrebbe potuto dire per soddisfare Pechino, al di fuori di "resa incondizionata"» della democrazia taiwanese al Partito comunista cinese.
Ha un significato anche il nome dell’operazione punitiva, «Spada congiunta 2024-A»: la lettera A lascia intendere che è solo la prima di una lunga serie.