Missili, aerei e droni: così Russia, Corea del Nord e Iran si scambiano le armi low-cost. E le rendono più letali

Le centinaia di droni killer iraniani Shahed lanciati contro le città ucraine erano sempre stati costruiti con una vetroresina bianca, che nella notte li rendeva simili a fantasmi alati. Poi da ottobre sono cominciati a comparirne altri, della stessa forma ma totalmente neri: erano stati prodotti in Russia usando un materiale speciale con fibre di carbonio per ridurre la visibilità ai radar. Ulteriori modifiche sono state introdotte dagli ingegneri di Mosca nel sistema di guida satellitare e nel motore, potenziando tutte le prestazioni. Il Black Shahed è il simbolo dell’effetto perverso che scaturisce dai campi di battaglia del Dnipro e rischia di far proliferare nel mondo una generazione di armamenti a basso costo e alta letalità. Sono i figli esplosivi dello scambio tra quantità di ordigni e qualità di tecnologie, necessario al Cremlino per reggere il peso della guerra di logoramento: un baratto che sta moltiplicando le potenzialità dell’industria bellica di Teheran e Pyonyang. È la riedizione contemporanea dell’Asse del Male evocato dal presidente George W. Bush vent’anni fa: un patto tra regimi che disprezzano le regole internazionali e si preparano al conflitto, contando in questo caso pure sul sostegno economico di Pechino.

In passato Putin aveva evitato la vendita di aerei avanzati o di sistemi a lungo raggio agli ayatollah per non turbare le relazioni con Israele: i ricchi contratti si erano limitati ad apparati difensivi, come le batterie contraeree S300, o a mezzi terrestri, come i tank T-72. Ora non ci sono più vincoli. I caccia Sukhoi 35, così potenti e agili da essere ritenuti inferiori solo all’F35 americano, stanno per atterrare nella Repubblica islamica. E lo scorso ottobre Mosca ha sottolineato con un comunicato ufficiale la fine delle sanzioni Onu sulla cessione di tecnologia missilistica all’Iran. Le fabbriche dei Guardiani della Rivoluzione potrebbero avere una spinta senza precedenti, bruciando le tappe nella realizzazione di vettori ancora più micidiali.

Un salto addirittura più rapido rischia di avvenire a Pyongyang. I russi hanno sperimentato alcuni missili balistici nordcoreani a corto raggio contro Kiev e Karkhiv, confermandone la bassa precisione. Scagliano mezza tonnellata di tritolo a cinquecento chilometri di distanza, con una velocità altissima e un profilo di volo che rende difficile intercettarli. E vengono trasportati da semoventi ruotati che si confondono tra case e boschi. Insomma, sono lo strumento perfetto per raid terroristici contro le metropoli, rimpiazzando le scorte esaurite da Mosca dopo oltre ottocento lanci, e si teme che la loro presenza sul fronte ucraino aumenterà.

La storia di questi Hwasong-11 è paradossale: i tecnici locali li hanno disegnati smontando un Tochka sovietico ottenuto dalla Siria nel 1996 e copiando ogni pezzo. A Mosca hanno fornito le versioni più recenti – chiamati KN23 e KN24 – con dimensioni maggiori e portata estesa, messe a punto con decenni di sforzi. Adesso i miglioramenti saranno fulminei: i test operativi permetteranno ai russi di elaborare le correzioni e trasferirle alla catena di montaggio della colossale fabbrica “Undici Febbraio”, tanto cara al leader supremo Kim Jong-Un. Quello che nell’isolamento nordcoreano avrebbe richiesto anni, accadrà nel giro di mesi.

Dopo le recenti incursioni nei cieli ucraini, pochi dubitano sulle capacità di Mosca nel settore. Producono missili in numeri sorprendenti e li aggiornano senza sosta: ieri mattina su Kiev sono piombati i nuovi KH101, che nella fase terminale della traiettoria sganciano esche per neutralizzare la contraerea. Ma soprattutto i russi sono superiori alla Nato nel campo delle armi ipersoniche: hanno già utilizzato dozzine di Zircon che viaggiano a oltre 10mila chilometri l’ora, mentre l’Occidente è fermo ai prototipi. Sia gli iraniani che i nordcoreani stanno progettando vettori simili, teoricamente in grado di superare qualsiasi scudo: nonostante i proclami però sembrano lontani da risultati concreti. Putin oggi può offrire la soluzione immediata ai loro problemi.

Ci sarà un effetto a catena. Una volta avviata la fabbricazione delle armi perfezionate, Teheran potrà metterle a disposizione dei suoi alleati: si è vista la terribile efficacia dell’arsenale donato agli Houti, che sta condizionando il commercio mondiale. Oppure assieme a Pyonyang le offrirà a dittatori e golpisti del pianeta: immetteranno sul mercato seminatori di morte a prezzi di saldo, senza curarsi degli embarghi. Lo hanno già fatto equipaggiando Hamas. E presto ci saranno schiere di automi killer e super-razzi alla portata dei deliri di ogni milizia. Un vero incubo.

Il dilemma più grande di tutti è capire quanto l’aiuto del Cremlino potrà incentivare la corsa verso le testate nucleari. Gli ingegneri di Kim Jong-un non sono riusciti a miniaturizzare le atomiche testate nelle caverne; quelli degli ayatollah sono molti passi indietro e lavorano all’arricchimento dell’uranio. Non ci sono finora segnali di una collaborazione russa in questa materia apocalittica, ma le sorti del conflitto dipendono dalle munizioni e dai droni che i due Paesi stanno consegnando a Mosca: più prosegue la guerra, più potranno pretendere.