Dentro il dramma di Angela Carini (e lo scambio con il ct): «Non è giusto». «Chiudi il primo round». Voci di pressioni per il ritiro, ma lei nega

diAldo Cazzullo

Angela Carini dopo la sconfitta: «Io non sono nessuno per giudicare Imane. La verità è che non sappiamo nulla della mia avversaria, tranne una cosa: che lei non ha nessuna colpa. È una ragazza che è qui per fare le Olimpiadi, come me. Chi sono io per giudicarla?»

DAL NOSTRO INVIATO
PARIGI - Angela Carini sale sul ring tranquilla, almeno all’apparenza, strizzando l’occhio ai fotografi. Ma già quando incontra i guantoni di Imane Khelif nel saluto di rito, sembra turbata. Prende subito un colpo al naso. Si ferma, va verso il suo angolo, grida al ct Emanuele Renzini: «Non è giusto! Fa malissimo». Renzini le chiede di continuare: «Chiudi almeno il primo round, poi abbiamo un minuto per parlare». Il pubblico non capisce, pensa che Angela abbia un problema con il caschetto o con il paradenti.

Il match riprende, ma solo per dieci secondi. Angela torna all’angolo. Dice ancora: «Non è giusto!». E si ritira. Si inginocchia, mentre la Khelif tenta invano di consolarla. Scende dal ring con rabbia. C’è la proclamazione del verdetto, non c’è l’abbraccio o il saluto tra la vincitrice e la sconfitta. Imane si avvia quasi di corsa verso gli spogliatoi. «Cos’è successo?», le gridano i cronisti. Lei non risponde.

Si ferma invece il ct Renzini. Prova a prenderla alla larga: «Angela aveva già male ai denti, era sotto antibiotici, ha preso un colpo al naso, ha sentito dolore…». Poi viene al punto: «Si è messa in moto la macchina dei social. Tutta l’Italia pugilistica le ha chiesto di ritirarsi. Tutta». Pure mezzo governo. «I politici sentono dire che una donna deve battersi con un uomo, e fanno i loro commenti». Ma Imane non è un uomo. «Lo so. Ha livelli di testosteroni molto alti però. È una questione controversa. Non vorrei essere nei panni del Comitato olimpico. I corpi hanno una memoria muscolare, anche quando transitano da un genere all’altro. Nella boxe femminile i rischi sono bassi, c’è il caschetto, ci sono i guantoni antichoc. Angela voleva combattere. Infatti è salita sul ring. Ma certo è possibile che tutta questa polemica l’abbia condizionata».

Poi arriva Angela Carini. Davanti alle telecamere scoppia a piangere e scappa via dopo poche parole. Con i cronisti invece riesce a parlare, sia pure tra le lacrime. Ogni tanto si tocca il naso dolente. Ha uno schizzo di sangue sulla cintura bianca. «Ho il cuore spezzato, ma la testa alta. Ho combattuto». Ci scusi, ma non ha combattuto. «Ho scavalcato le corde del ring. Ho provato a combattere. Se Dio e mio padre hanno voluto così, allora va bene così». La Carini è molto legata alla memoria del padre, il video in cui mostrava la sua foto ha avuto milioni di visualizzazioni. «Il ring è la mia vita. Non ho mai avuto paura e non ne avevo oggi. Ma sono una pugile molto istintiva, e mi sono detta subito: qualcosa non va. Ho sentito quel colpo. Mi ha fatto male. Molto male. Non riuscivo più a respirare. Ho guardato mio fratello in tribuna. E mi sono detta: basta». È stato il colpo più duro della sua carriera? «Vi dico solo che non sono mai stata sconfitta per ko. E fino a oggi non ero mai scesa da un ring prima della fine dell’incontro. Sono una guerriera. Ma a volte anche i guerrieri, quando vedono che la battaglia è persa, conficcano la spada nella terra, e si arrendono».

Non è facile parlare con un’atleta in lacrime, che era qui per tirare di boxe e si è ritrovata in una storia più grande di lei e di noi. Però dobbiamo fare il nostro mestiere, e riferirle quel che ci ha raccontato il suo maestro: «Si è ritirata dopo aver detto “non è giusto"». E Angela non si tira indietro: «Sì, ho detto che non è giusto. Non è giusto rinunciare a un’Olimpiade che era la mia Olimpiade. Ma non sta a me giudicare». La Carini non si presta alle strumentalizzazioni politiche, che già stanno arrivando: «Io non sono nessuno per giudicare Imane. La verità è che non sappiamo nulla della mia avversaria, tranne una cosa: che lei non ha nessuna colpa. È una ragazza che è qui per fare le Olimpiadi, come me. Chi sono io per giudicarla? Non spetta a me, spetta agli altri farlo». Non l’ha salutata però. «E ho sbagliato. Sono scesa dal ring piena di rabbia. Non ho mai concluso un incontro senza salutare la mia avversaria. Chiedo scusa a Imane per non averla salutata». Si diffonde la voce di pressioni politiche per indurre l'italiana al ritiro. Lei nega: «Credo di aver dimostrato maturità, di non aver perso l’onore. Quello che è successo non fa di me una donna meno forte».

Prima del dramma e delle polemiche, la giornata era iniziata in un clima da vaudeville. I volontari dell’Arena Nord di Parigi non avevano mai visto un tale afflusso di giornalisti: «Cosa ci fate tutti qui di prima mattina?». Sono gli unici a non sapere che stamattina si combatte un incontro annunciato come il match del secolo, o almeno dei Giochi: l’italiana contro l’intersessuale algerina. «What’s intersessuale?», chiede il collega australiano. In tribuna stampa si riaccende il dibattito che da giorni infuria sui social: chi è Imane Khelif? La risposta sarebbe semplice: una donna affetta da iperandrogenismo, che alza il testosterone a un livello che la federazione di boxe ha ritenuto eccessivo, e che il Comitato olimpico ha ritenuto compatibile; per cui può gareggiare con le altre donne. «Ma ha il pisello?” chiede l’inviato turco, che è qui per sostenere la campionessa Busenaz Surmeneli, speranza ottomana per l’oro, ma si sta appassionando alla questione. Certo che no, non è neppure un transessuale, a differenza di quel che è stato scritto. Eppure la Carini ha ricevuto sino a un attimo prima di salire sul ring le implorazioni dei follower: «Angela boicotta l’incontro, fermatevi in tempo», «Angela devi combattere con un uomo, vergogna», «Angela non rischiare la tua salute», «Angela è una follia pura, ritirati», «Angela demolisci quel trans per favore!». La pugile messicana Brianda Tamara è stata definitiva: “I suoi colpi mi hanno fatto molto male, non mi sono mai sentita così in tredici anni di combattimenti, neppure contro sparring partner uomini”. In realtà, la Khelif non è imbattibile, anzi è stata sconfitta molte volte. Nel frattempo la congolese Brigitte Mbabi, una montagna di muscoli, sta sul serio massacrando una povera thailandese nell’indifferenza generale.

Poi il vaudeville diventa un piccolo ma significativo dramma. Perché l’incontro dura pochi secondi. Angela all’evidenza non ha retto alle pressioni. Ha avvertito un colpo molto duro, e ha fatto una scelta non polemica, non politica, non ideologica; umana. Se avesse voluto polemizzare con l’avversaria e con il comitato olimpico, l’avrebbe fatto. E se Angela non se la sente di giudicare la sua avversaria, certo noi non possiamo giudicare Angela; perché scrivere sui social è infinitamente più semplice che salire sul ring e combattere (nel frattempo la thailandese si è ripresa e ha vinto ai punti, sia pure con un verdetto contestatissimo dai congolesi, con il ct che come Cerioni indica la sua atleta gridando: ha vinto lei!).

Lo sport deve definire in fretta regole chiare e valide per tutti e in tutti i contesti; perché in effetti non è normale che una pugile che per la federazione internazionale non può combattere possa farlo alle Olimpiadi. Ma di sicuro Angela Carini ha capito una cosa che a molti è sfuggita: siamo tutti fatti a immagine e somiglianza di Dio; e quindi possiamo vedere il volto di Dio non soltanto negli occhi di una donna e di un’intersessuale, ma anche di un ermafrodito, di un transessuale, di un transgender, e financo di un capo partito.

1 agosto 2024 ( modifica il 1 agosto 2024 | 14:34)

- Leggi e commenta