Mes, la ritorsione italiana in nome del sovranismo
Un trattato di sovranismo. Un gesto da arditi dell’euroscetticismo. La bocciatura del Mes imposta da Giorgia Meloni è insieme somma di debolezze ed esaltazione di nazionalismo, sprezzo di Bruxelles e salto nel buio. Per interpretarlo, aiuta partire dall’ultimo atto. Appena stroncato un trattato atteso da anni e già ratificato da tutti i partner continentali, Palazzo Chigi si espone. La riforma, fa sapere la presidente del Consiglio, era di “relativo interesse e attualità per l’Italia, visto che come elemento principale prevede l’estensione di salvaguardie a banche sistemiche in difficoltà, in un contesto che vede il sistema bancario italiano tra i più solidi in Europa e in Occidente”. Come a dire: i nostri istituti di credito sono solidi, gli altri si arrangino.
Sovranismo ed egoismo, come fosse una linea politica. Sovranismo è anche la genesi di questa crisi con Bruxelles, che promette strascichi ancora imprevedibili. Lo è perché il voto della destra di governo aspira a rappresentare una ritorsione neanche velata dopo l’accordo – si fa per dire – sul Patto di stabilità. Subìto da Roma, imposto da Parigi e Berlino. Uno schiaffo, dopo la mortificazione dell’annuncio franco-tedesco che ha lasciato per un giorno senza fiato (e senza voce) la propaganda di Palazzo Chigi. Ma sarebbe riduttivo leggere quanto accaduto soltanto come un fallo di reazione, un capriccio fuori tempo massimo dopo una dolorosa sconfitta nell’unico tavolo negoziale che contava davvero.
Sovranismo è anche strategia, battaglia di occupazione degli spazi euroscettici, duello tra i due leader della destra: Matteo Salvini, in crisi di consenso, che sfida Giorgia Meloni sul terreno della coerenza (“prova a dire sì al Salva Stati, se hai il coraggio”), Giorgia Meloni che rilancia e sfascia ogni possibile mediazione. Piuttosto che lasciare al collega la bandiera del “no Mes”, manda all’aria un trattato atteso da anni e decisivo per la stabilità del sistema bancario. Anche a rischio di rompere con Bruxelles. Anche a costo di bucare il paracadute che l’Europa garantisce all’Italia sul finanziamento del debito.
Un punto di svolta. Un tratto di pennarello nero sull’elenco di scelte pragmatiche con cui Meloni, negli ultimi quattordici mesi, ha negato la promessa di spezzare le reni a Bruxelles e accettato il tavolo della mediazione. Un richiamo antico, forse. Un atto ostile con cui dovrà fare i conti innanzitutto Giancarlo Giorgetti, che aveva assicurato stabilità e ragionevolezza ai colleghi continentali. A proposito: cosa dice Giancarlo Giorgetti?