Israele aspetta la reazione iraniana con il fiato sospeso: «Stavolta reagiremo subito»
L’intelligence: l'attacco dell'Iran possibile già oggi. I timori per le postazioni militari e per i centri abitati. A Tel Aviv arriva il capo di CentCom, mentre i Pasdaran ripetono: «Sarà un colpo duro, siamo pronti alla guerra totale»
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
GERUSALEMME - Tre giorni senza elettricità, danni alla rete idrica, i telefonini sconnessi per 24 ore. È lo scenario minino che l’esercito delinea in un documento distribuito ai sindaci delle città nel Nord verso il confine con il Libano, le più esposte a un attacco di Hezbollah. L’intelligence calcola che l’organizzazione sciita sponsorizzata e armata dall’Iran bersaglierà prima le postazioni militari e le infrastrutture, ma potrebbe colpire anche i centri abitati a sud di Haifa, fino a Tel Aviv. Così lo stato maggiore ha approntato un piano di evacuazione per migliaia di persone negli hotel di Gerusalemme o in campi allestiti nel deserto del Negev. Il segretario di Stato Usa Antony Blinken al G7: l'attacco potrebbe cominciare entro le prossime 24-48 ore.
Israele aspetta ormai da 6 giorni la risposta dell’«asse della resistenza», che per il premier Benjamin Netanyahu è «del male», alle operazioni che hanno ucciso Fuad Shukr, comandante in capo di Hezbollah, martedì a Beirut e il giorno dopo Ismail Haniyeh, il leader di Hamas, ospite degli ayatollah a Teheran. «Il regime islamico questa volta sta mantenendo il silenzio radio — scrive l’analista Amos Harel su Haaretz — e il nostro governo ha deciso di non spiegare ai cittadini che cosa aspettarsi».
Il compito di metterci la faccia tocca ancora una volta a Daniel Hagari, portavoce delle forze armate, che ieri sera ha annunciato: «Siamo in allerta e pronti». Ma ha chiarito che per ora non ci sono cambiamenti nelle regole di sicurezza decise dal comando per il Fronte interno. Così la vita quotidiana va avanti anormale, tutti gli israeliani hanno ricevuto un messaggio per avvertirli che cambia il meccanismo di allarme: se la zona in cui si trovano è sotto attacco, la notifica viene fatta apparire sullo schermo del cellulare in automatico, senza bisogno di aver scaricato l’app con le allerte rosse.
Yoav Gallant, il ministro della Difesa, dichiara che rispetto all’attacco iraniano del 13 aprile (300 tra droni e missili) la rappresaglia «sarà immediata e massiccia». Anche perché allora Teheran non aveva appunto mantenuto il silenzio radio e aveva avvertito i Paesi della regione 72 ore prima del raid. Adesso i Pasdaran ripetono: «Sarà un colpo duro, siamo pronti alla guerra totale».
La rivista digitale Axios rivela che l’intelligence prevede l’assalto già per oggi, anche se i missili cadrebbero nel giorno della visita a Tel Aviv del generale Michael Kurilla, che dirige il Comando centrale americano: lanciargli bombe sopra la testa sarebbe un gesto di ostilità diretta contro gli Stati Uniti che stanno continuando il dispiegamento delle forze e delle navi in Medio Oriente e a coordinare la difesa di Israele assieme ad altre forze occidentali.
I servizi segreti interni hanno preparato il bunker scavato sotto le montagne dove il governo può riunirsi in sicurezza. «Siamo impegnati in una guerra multi fronte contro l’Iran», proclama Netanyahu. Che con i vertici militari starebbe valutando azioni preventive senza aspettare le prime esplosioni. Oltre a Hezbollah potrebbero intervenire gli Houthi dallo Yemen, le milizie sciite in Iraq e Siria. E c’è la prima linea interna: due persone sono state ammazzate a coltellate da un attentatore palestinese a Holon, non lontano da Tel Aviv.
Ieri Hamas ha lanciato ancora razzi da Gaza, dove i palestinesi uccisi in 302 giorni sono quasi 40 mila, ma l’esercito stima che le riserve dei fondamentalisti siano ridotte a qualche centinaio di proiettili a raggio medio-lungo. Dai sotterranei blindati dove resta nascosto, Yahya Sinwar, il capo dei capi e pianificatore dei massacri del 7 ottobre nel Sud di Israele, avrebbe fatto sapere di non volere Khaled Meshal come successore di Ismail Haniyeh.