Netanyahu contro tutti, il premier vuole licenziare chi spinge per la tregua: Gallant e Bar a rischio
In bilico il ministro della Difesa e il direttore dello Shin Bet. Lo scontro con Gallant e la rabbia dei parenti degli ostaggi
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
GERUSALEMME - Andata e ritorno per ritrovarsi allo stesso tavolo, seduti agli stessi posti e fermi sulle stesse posizioni contrapposte. Da un lato Benjamin Netanyahu, dall’altro Yoav Gallant, David Barnea, Ronen Bar: di fatto il primo ministro e gli uomini al vertice militare e dell’intelligence, quelli che dovrebbero rappresentare la sua avanguardia adesso che Israele aspetta in ansia il possibile attacco congiunto degli iraniani e dei loro alleati.
Bibi, com’è soprannominato, aveva deciso di licenziarli in blocco — rivela il telegiornale del Canale 12 — al ritorno dagli Stati Uniti, ringalluzzito dal discorso al Congresso, dagli applausi dei deputati e dei senatori americani. Le accelerazioni mediorientali lo hanno sorpassato e ha dovuto frenare sul piano: Gideon Sa’ar, fuoriuscito dal Likud proprio in opposizione a lui, al posto di Gallant e con un nuovo ministro della Difesa via agli altri cambi. L’operazione sarebbe solo rimandata: Netanyahu avrebbe voluto cacciare Gallant già un anno e mezzo fa, migliaia di israeliani erano scesi in strada a protestare e l’ex generale era stato rimosso solo a parole.
«I fedelissimi del premier — scrive Avi Issacharoff, il creatore della serie Fauda e per anni editorialista, sul quotidiano Yedioth Ahronoth — attaccano i tre perché non si allineano ai voleri del re. Una campagna coordinata per eliminarli, anche se hanno già annunciato che si dimetteranno alla fine del conflitto e sono loro ad aver gestito questa lunga crisi riabilitando in parte il disastro del 7 ottobre», quando i terroristi palestinesi hanno massacrato 1.200 persone nel sud del Paese. Le mosse dell’estrema destra al potere inquietano gli israeliani: il 61 per cento — rileva un sondaggio — è preoccupato per la tenuta della democrazia nel Paese.
Sa’ar — lo ha proclamato più volte — garantirebbe che la guerra contro Hamas a Gaza vada avanti, i palestinesi uccisi in totale sono quasi 40 mila. Anche lui parla di quella «vittoria totale» proclamata da Netanyahu. Mentre Gallant, il direttore del Mossad e il capo dei servizi segreti interni ormai spingono perché il governo accetti l’accordo per una tregua.
«È sul tavolo, dobbiamo prenderlo prima che sia troppo tardi per i rapiti», avrebbero implorato il premier. Lo stato maggiore considera esauriti gli obiettivi che si potevano raggiungere e pure il generale Herzi Halevi è in rotta con il primo ministro.
Che sia troppo tardi lo sentono con dolore le famiglie dei 114 ostaggi ancora tenuti dai fondamentalisti palestinesi, tra loro oltre 30 sono morti in cattività secondo le stime dell’esercito: ieri i parenti di Eitan Levy hanno diffuso un video in cui il suo cadavere portato a Gaza viene preso a calci dalla gente. Da 302 giorni — come hanno urlato ieri ai megafoni — chiedono che Netanyahu raggiunga un’intesa, il cessate il fuoco in cambio del ritorno a casa degli amati: «Invece ogni volta commette esecuzioni mirate delle trattative». Il riferimento è all’eliminazione di Ismail Haniyeh a Teheran mercoledì: temono che il rischio di un conflitto allargato alla regione restringa la speranza di rivedere i sequestrati.
La delegazione guidata da Barnea e Bar è tornata dal Cairo dove ha incontrato Abbas Kamel, la superspia egiziana. Hanno discusso della gestione del valico di Rafah e del controllo sul corridoio Filadelfia, che le truppe israeliane hanno invaso in aprile. L’Egitto vuole ritornare alla situazione prima della guerra, gli israeliani vogliono garanzie sul traffico di armi attraverso i tunnel che passano sotto il deserto.
Alcune fonti spiegano alla rivista digitale Axios che lo scopo del viaggio era «rimettere in moto la macchina» dopo l’uccisione del leader di Hamas. L’organizzazione ha respinto l’ultima richiesta imposta da Netanyahu — un meccanismo internazionale che fermi in contrabbando di armamenti a Rafah — ma per il resto il documento è lo stesso presentato da Joe Biden, il presidente americano, agli inizi di giugno e che Bibi ha accettato.