Cina, Xi mantiene la promessa: riparte la diplomazia dei panda con gli Usa
PECHINO - Xi Jinping tiene fede alla promessa fatta agli americani lo scorso novembre dopo il vertice con il presidente statunitense Joe Biden: tra Cina e Usa riprende la “diplomazia del panda”.

Pechino ha infatti in programma di inviare una coppia di panda giganti allo zoo di San Diego, orfano dei simpatici animali dal 2019: se tutti i permessi e gli altri requisiti saranno approvati, i due dovrebbero arrivare già alla fine dell’estate, raccontano all’Associated Press i funzionari dello zoo americano. "Siamo molto emozionati e fiduciosi”, dicono.
La visita di Xi a San Francisco
“Mi è stato detto che molti americani, soprattutto bambini, erano riluttanti a dire loro addio”, affermò il leader cinese durante la cena di gala a San Francisco con gli imprenditori statunitensi lo scorso novembre riferendosi al recente ritorno in Cina di tre panda dallo zoo di Washington. “Ho anche saputo che un altro zoo, quello di San Diego, non vede l’ora di riaccogliere altri panda. I panda sono stati a lungo ambasciatori dell'amicizia tra i popoli cinese e americano. E siamo pronti a continuare la nostra cooperazione con gli Stati Uniti”, disse in quell’occasione il leader comunista. Un gesto per stemperare le tensioni e aprire un nuovo capitolo tra le due superpotenze.

Un’America quasi senza panda
Senza nuovi accordi gli zoo americani rischiavano di rimanere senza panda, infatti, per la prima volta in oltre cinquant’anni. I timori per il futuro della “panda diplomacy” si sono intensificati l'anno scorso, quando gli zoo di Memphis e Washington hanno restituito i loro panda alla Cina, per scadenza dei termini del prestito, lasciando solo quattro panda negli Stati Uniti, tutti allo zoo di Atlanta: un accordo, quello con lo zoo di Atlanta, che scade alla fine di quest’anno.
Oltre all'accordo con lo zoo di San Diego, ne è stato raggiungo uno anche con lo zoo di Madrid. E discussioni sono in corso con gli zoo di Washington e di Schönbrunn in Austria.
Storia della "panda diplomacy”
Il prestito dei panda (prestiti che solitamente durano 10 anni, rinnovabili, anche se gli animali devono poi tornare in Cina per i loro ultimi anni di vita) è da decenni un indicatore non ufficiale delle buone relazioni tra la Cina e il resto del mondo. E questi animali sono strumento di quel soft power che il Dragone tenta di esportare all’estero.

La “panda diplomacy” con gli Usa iniziò nel 1972, dopo il grande disgelo tra Mao e Nixon. “Non sono carini? Li adoro”, disse l’allora first lady americana Pat Nixon in visita a Pechino ammirando l’immagine di due panda sul logo di un pacchetto di sigarette durante un banchetto di benvenuto per la coppia presidenziale. Zhou Enlai, l’abile premier di Mao, che le era seduto accanto, le rispose “te ne darò un po’”. "Sigarette?", chiese lei. “No”, rispose Zhou. “Panda”. Due mesi dopo Ling Ling e Hsing Hsing arrivarono allo zoo di Washington.
Dalla metà degli Anni ’80 i panda non si regalano più, si affittano (circa un milione di euro all’anno), denaro che Pechino destina alla conservazione della specie: il mese scorso l'Amministrazione nazionale delle foreste ha dichiarato che la popolazione di panda giganti in natura in Cina è attualmente di circa 1.900 esemplari, 800 in più rispetto agli anni ’80. Un grande successo della Cina nella conservazione della specie.
Le radici della “diplomazia del panda” si fanno risalire al 685 quando l’imperatrice Wu Zetian ne regalò una coppia al Giappone. Il primo panda come dono politico nell’era moderna risale invece al 1941: la moglie del Generalissimo Chiang Kai-shek ne diede due in dono allo zoo del Bronx per ringraziare gli Stati Uniti nella lotta contro i giapponesi occupanti. Anche con l’arrivo al potere dei comunisti la pratica è continuata: Mao li regalava agli alleati socialisti (Corea del Nord e Urss), poi i doni si sono allargati anche all’Occidente. Aumentati durante la presidenza Xi che, pare, firmi personalmente l’autorizzazione ad ogni prestito.
Prestiti agli altri Paesi che, non a caso, coincidono spesso con la firma di importanti accordi commerciali o per segnalare l’apertura di buone relazioni diplomatiche. Quelle che Cina e Usa, pur con molte difficoltà, tentano ora di ristabilire.