Ecco perché le elezioni americane si giocano in Michigan (cioè a Gaza)

Le elezioni americane di novembre si vincono o si perdono in Michigan… cio� a Gaza? Le ultime mosse di Joe Biden in Medio Oriente hanno una doppia valenza, di politica estera e di campagna elettorale. Da tempo una crisi internazionale non era cos� presente nel dibattito interno agli Stati Uniti. Accade sempre pi� spesso che i comizi elettorali di Biden siano interrotti, perturbati e contestati da manifestanti pro-palestinesi. Tra gli slogan pi� duri contro di lui, si sono visti scandire “Genocide Joe” e “Quanti bambini hai ucciso oggi?”. Il presidente � il bersaglio di coloro che gli rinfacciano il suo appoggio a Israele – un appoggio che per la verit� � una costante bipartisan di tutte le Amministrazioni Usa dagli anni Settanta in poi. Adesso per� � in corso da pi� di tre mesi la controffensiva dell’esercito israeliano nella Striscia, il massacro di innocenti perpetrato da Hamas il 7 ottobre scorso � un lontano ricordo perfino in alcuni settori dell’opinione pubblica che simpatizzano per Israele, per non parlare di tutti coloro che fin dall’inizio considerarono “legittima” quella mattanza di civili, gli stupri di donne, i rapimenti di anziani e bambini. Ormai sembra contare solo il bilancio di vittime civili tra i palestinesi; indubbiamente pure quello � raccapricciante. Biden per quanto sia critico verso Benjamin Netanyahu sta pagando prezzi pesanti per il suo appoggio diplomatico e militare a Israele: perde consensi preziosi nel mondo, anche tra alleati; e rischia seriamente di perdere le elezioni a casa sua

Gli arabi-americani del Midwest operaio

Un’occhiata allo Stato del Michigan spiega perch� la strada verso la rielezione alla Casa Bianca passa da Gaza. Ho gi� scritto dell’emorragia di consensi giovanili, che abbracciando la causa palestinese possono disertare il partito di Biden, e magari perfino votare per Donald Trump. Un pericolo ancora pi� concreto e preciso riguarda l’elettorato arabo-americano. Ecco dove il Michigan � cruciale. Questo Stato industriale del Midwest ospita la pi� grossa comunit� di immigrati provenienti da paesi arabi. Molti sono di seconda o terza generazione, o comunque hanno da tempo la cittadinanza Usa e votano. Una concentrazione particolare � nella citt� di Detroit, dove gli arabi-americani sono ben rappresentati nella classe operaia dell’industria automobilistica. Il sindacato metalmeccanico United Auto Workers ha dato il suo endorsement a Biden per l’elezione di novembre. Ma l’indicazione di voto dei vertici sindacali rischia di cadere nel vuoto tra gli operai di origini arabe. In questa constituency Biden sta perdendo consensi in gran quantit�, per via della guerra di Gaza. Un sondaggio recente rivela che gli arabi-americani intenzionati a votare per lui sono crollati: erano il 59% prima della guerra, ora sono il 17%. Quaranta punti percentuali � un tracollo inaudito. Il Michigan � uno di quegli Stati “in bilico”, dove pu� giocarsi la sfida di novembre per la Casa Bianca: nel 2020 Biden lo conquist� per soli 154.000 voti su un totale di 5,5 milioni. Una massiccia defezione di arabi-americani potrebbe essergli fatale questa volta.

Sanzioni Usa contro coloni israeliani: i tanti perch�

La vicenda degli immigrati arabi in Michigan � importante per capire una delle ultime mosse di Washington: le sanzioni contro alcuni coloni israeliani accusati di violenze ai danni di palestinesi in Cisgiordania. C’erano gi� state a dicembre delle sanzioni, sotto forma di divieti d’ingresso negli Stati Uniti, sempre per castigare alcuni coloni israeliani che si erano macchiati di aggressioni nei territori occupati. L’ultimo giro di sanzioni � pi� drastico perch� include pene finanziarie, il divieto di transazioni economiche con gli Stati Uniti. Il numero di coloni colpiti stavolta � minuscolo: solo quattro. Ma la Casa Bianca e il Dipartimento di Stato fanno sapere che questo potrebbe essere solo l’inizio. Vogliono mandare un segnale deterrente contro l’ala pi� aggressiva del movimento dei coloni, che dopo il 7 ottobre ha sferrato violente rappresaglie contro la popolazione palestinese in Cisgiordania. Le ultime sanzioni americane sperano di mandare un messaggio in molte direzioni: al governo Netanyahu, all’Arabia saudita e altri paesi dell’area, perch� sia chiaro che l’America non tollera abusi contro la popolazione palestinese; agli arabi-americani nel Michigan o altrove. La dimensione domestica di questa crisi non si ferma all’elettorato arabo-americano. E’ significativo che la Casa Bianca abbia voluto aggiungere questa precisazione: le sanzioni adottate contro i coloni non prendono di mira cittadini americani residenti in Israele. Questo � un pudico accenno a una realt� tanto imbarazzante quanto nota. Tra i coloni che hanno occupato illegalmente territori in Cisgiordania, e difendono con le armi i propri insediamenti, sono ben rappresentati gli israelo-americani, con doppia cittadinanza e due passaporti. La componente degli ebrei americani di ritorno in Israele contribuisce da anni a rafforzare il movimento degli insediamenti abusivi in Cisgiordania, e lo fa con l’ausilio delle armi (mentre gli ebrei russi che emigrano in Israele invece continuano ad incrementare la schiera degli ultra-ortodossi). Biden non vuole prendere di mira degli israeliani che sono anche cittadini americani, almeno per adesso; ma � ben consapevole di questa realt� e anche a loro intende mandare un messaggio.

La “Dottrina Biden” per pacificare il Medio Oriente

La corsa a cronometro per risolvere la tragedia di Gaza prima dell’elezione di novembre, richiede il successo di quella che l’opinionista Thomas Friedman sul New York Times definisce la Dottrina Biden per il Medio Oriente. Friedman � considerato uno dei pi� autorevoli analisti della questione, quindi riassumo il suo pensiero. Ecco come definisce i vari componenti della Dottrina Biden. Primo: una risposta militare forte alle molteplici aggressioni dell’Iran e dei suoi sicari nella regione (io dubito che questa possa limitarsi ai raid di ieri sera). Secondo, una iniziativa diplomatica “senza precedenti” per promuovere subito la formazione di uno Stato palestinese. Questo dovrebbe includere un riconoscimento americano di uno Stato palestinese smilitarizzato che governi sia la Cisgiordania sia Gaza, con istituzioni credibili anche nel campo della sicurezza, ma senza la capacit� di minacciare Israele. Il terzo pilastro di questa Dottrina Biden � il varo di un’alleanza strategica (militare e non solo) tra l’America e l’Arabia saudita, come ricompensa per un riconoscimento diplomatico bilaterale fra quest’ultima e Israele. E’ chiaro che il terzo punto dipende dal secondo: il principe saudita Mohammed bin Salman (MbS) ha manifestato la sua intenzione di riprendere il cammino verso la normalizzazione dei rapporti con Israele, ma la creazione di uno Stato palestinese ne � una condizione irrinunciabile.

Scenario alternativo: l’asse Netanyahu-Trump

Un ostacolo di stazza che si erge sul percorso della Dottrina Biden � Benjamin Netanyahu. Bisognerebbe costringerlo ad azioni molto dure contro gli insediamenti abusivi dei coloni in Cisgiordania. La creazione di uno Stato palestinese funzionante e credibile non � compatibile con la presenza di certi insediamenti. Netanyahu non d� nessun segnale di essere disponibile a questo tipo di concessioni. Scommettere sulla sua fine politica � una tentazione. Per� bisogna prendere atto che a prescindere da Netanyahu l’opinione pubblica israeliana per effetto della carneficina subita il 7 ottobre � diventata molto pi� ostile all’idea di uno Stato palestinese. Netanyahu a sua volta potrebbe scommettere che a sparire della scena non sar� lui bens� Biden. Cosa cambierebbe a novembre in caso di una vittoria di Trump? L’ex presidente e candidato (quasi certo) del partito repubblicano nei comizi va dicendo che l’America “deve smetterla di legare le mani a Israele”. Trump ebbe un rapporto eccellente con Netanyahu, una netta differenza rispetto a due presidenti democratici (Obama e Biden). Per� Trump vanta all’attivo della sua politica estera gli Accordi di Abramo che nel 2020 consentirono di instaurare relazioni diplomatiche ed economiche fra Israele, Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Marocco, Sudan. Un Trump 2 probabilmente vorrebbe proseguire su quella scia fino al trofeo pi� ambito, il disgelo totale Arabia-Israele. Anche Trump dovrebbe far propri alcuni pezzi della Dottrina Biden (cos� come definita da Friedman), per esempio il trattato di difesa Usa-Arabia. Per ratificare un trattato internazionale ci vogliono i due terzi dei voti del Senato di Washington: un traguardo che sembra irrealistico nel clima attuale dei rapporti fra democratici e repubblicani. La sinistra obietta sulla situazione dei diritti umani in Arabia saudita; la destra isolazionista non vuole legarsi le mani con nuovi trattati che costringano l’America a combattere per difendere qualche alleato. Siamo al punto di partenza: in questo 2024 l’intreccio fra la tragedia mediorientale e la politica interna americana � notevole.

4 febbraio 2024, 16:36 - modifica il 4 febbraio 2024 | 16:36

- Leggi e commenta
Editoriali e commenti di oggi