Cercasi direttore per il Washington Post (ed è faida col New York Times)

Se qualcuno vuole candidarsi, si faccia avanti. Sta diventando quasi disperata la ricerca di un nuovo direttore del Washington Post dopo diversi cambi al vertice. È nei guai quello che fu un quotidiano-simbolo del Quarto Potere, il giornale che si gloria di aver smascherato il presidente Richard Nixon con l’inchiesta sullo scandalo Watergate (1973-74). L’ultimo candidato alla direzione ha dovuto ritirarsi dopo essere stato a sua volta oggetto di scandalo.

La vicenda si tinge di retroscena curiosi e sconcertanti: un ruolo decisivo nella crisi al vertice del Washington Post lo ha svolto il concorrente più grosso, il New York Times. L’accanimento del quotidiano newyorchese contro il concorrente (più piccolo) della capitale federale, assume l’aspetto di una faida in famiglia, vista la linea politica quasi identica delle due testate. Va aggiunto che il padrone del Post è uno degli uomini più ricchi d’America, un personaggio a sua volta controverso, il fondatore e maggiore azionista di Amazon, Jeff Bezos. Infine un dettaglio curioso è che spesso i candidati ai vertici di grandi media Usa vengono reclutati sull’altra sponda dell’Atlantico, a Londra.

È proprio a Londra che si trova la chiave dell’ultimo colpo di scena. La proprietà del Washington Post aveva scelto come futuro direttore l’inglese Robert Winnett, attualmente numero due del Daily Telegraph britannico. Il quale oggi ha gettato la spugna. La spiegazione va cercata in una serie di reportage del New York Times che avevano indagato sul passato di Winnett, rivelando che quando lavorava al Sunday Times (sempre di Londra) aveva usato metodi illeciti per procurarsi scoop, assoldando un investigatore privato. L’inchiesta del New York Times ha poi costretto la redazione del Washington Post a inseguire lo stesso filone. Per non dare ai propri lettori un’impressione di omertà o autocensura, il Post ha indagato a fondo sul passato del suo direttore in pectore, rinnovando le stesse accuse già apparse sul maggiore giornale concorrente.

Lo «scandalo inglese» non si limita al caso Winnett. Viene da Londra e lavorò al Sunday Times insieme a Winnett anche l’attuale direttore generale del Post, cioè colui che amministra l’azienda per conto dell’editore: il chief executive Will Lewis. Anche su di lui il New York Times ha pubblicato rivelazioni imbarazzanti, sugli scandali degli scoop illeciti nel periodo inglese, nonché su episodi più recenti in cui Lewis avrebbe cercato di insabbiare inchieste sul proprio conto. Per cui Bezos, mentre deve ricominciare daccapo la ricerca di un nuovo direttore del quotidiano, ha anche un altro problema in casa, cioè la delegittimazione del chief executive.

La storia della faida tra i due grandi giornali americani si situa in un panorama economico difficile. Il New York Times è l’unica testata storica che sembra aver trovato la formula vincente, grazie a un boom dei suoi abbonati digitali. Gli altri due giornali «nazionali», cioè appunto il Post di Bezos e il Wall Street Journal del gruppo Murdoch, sopravvivono grazie alla generosità e ricchezza dei propri editori.

Ma perfino il New York Times, per quanto premiato da un successo notevole e quasi unico, non può dare per scontato che la sua formula sia vincente per sempre. Di qui il sospetto che il numero uno nazionale voglia «cannibalizzare» il giornale che gli è più simile per linea editoriale: Times e Post sono entrambi allineati con il partito democratico, in particolare con l’ala sinistra della formazione di Joe Biden. Il rinnovo generazionale delle redazioni negli ultimi anni ha portato in primo piano una leva di giovani reporter – spesso donne e di colore – molto vicini a movimenti come #MeToo e BlackLivesMatter, all’ambientalismo più radicale, alla comunità Lgbtq

Da quando ambedue le testate hanno abbracciato, dopo l’avvento di Donald Trump alla Casa Bianca, quello che si autodefinisce «giornalismo resistenziale», la loro fisionomia è molto diversa rispetto ai periodi più gloriosi come gli anni Settanta, quando furono la coscienza critica della nazione con un’autorevolezza super partes o bipartisan. Per la stessa ragione la proprietà del New York Times può pensare che il pubblico del Washington Post sia quello più facile da conquistare e annettere. Questo non significa attribuire secondi fini agli autori delle inchieste che hanno liquidato il direttore in pectore del Post prima ancora che s’insediasse. 

Nella redazione è sicuramente scattato il movente etico, la difesa della deontologia professionale. I metodi usati in passato nel giornalismo britannico a caccia di scandali sono stati condannati anche a Londra, la riprovazione è ancora più forte in America. I giornalisti che fanno le inchieste hanno svolto un lavoro impeccabile, com’è spesso il caso. Ciò non esclude che questa vicenda possa accelerare una «resa dei conti» sul mercato dell’informazione fra due grandi famiglie dei media americani, una delle quali (Times) resta sotto il controllo di un editore «puro» (la famiglia Sulzberger) mentre l’altra (Post) è finita nell’impero di Bezos-Amazon.

21 giugno 2024

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