La spinta russa per l’offensiva e le difficoltà di Kiev. Tra robot cingolati e droni, il conflitto entra in una fase cruciale

I russi avanzano lottando per ogni metro, perché incontrano una resistenza ostinata. I combattimenti sono stati feroci anche nella domenica di Pasqua cattolica, mentre gli ortodossi la celebrano tra una settimana. Ma le due interviste contemporanee rilasciate dal presidente Zelensky e dal generale Syrsky, nuovo comandante delle forze armate, sulla “situazione dell’approccio difensivo” sono apparse come un segnale di allarme: senza aiuti dall’Occidente il fronte non potrà tenere a lungo.

La crisi multipla

Il riscaldamento globale si fa sentire anche qui: le temperature sono già primaverili e la stagione del fango potrebbe essere breve. Il comando di Mosca studia le posizioni ucraine, cercando di individuare i punti deboli. Più passano i giorni, più i problemi si sommano, rischiando di diventare insostenibili. Alla carenza di munizioni per l’artiglieria si è aggiunta quella di armi per le contraerea. Il Cremlino ne approfitta per scagliare assalti missilistici sempre più potenti contro le fabbriche e soprattutto contro gli impianti energetici: per la prima volta, spazzano via le centrali elettriche e in una settimana hanno distrutto tre delle più importanti del Paese. L’80 per cento della capacità di produzione della Dtek, il più importante operatore termoelettrico privato, è stata cancellata o danneggiata. Ci vorranno molti mesi, se non anni, per rimettere in funzione le turbine e i blackout stanno paralizzando diverse regioni. I varchi nei cieli vengono sfruttati anche dall’aviazione: i caccia Sukhoi sono onnipresenti sulla prima linea, che colpiscono da distanza di sicurezza con ordigni plananti, e dopo oltre un anno sono tornati a bersagliare il centro abitato di Kharkiv.

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I deficit di Kiev

Se questi deficit dipendono dal blocco degli aiuti statunitensi e dai limiti di quelli europei, ci sono altre due criticità provocate esclusivamente dalle scelte ucraine. La prima è la mancanza di soldati: la legge per mobilitare altre reclute è ferma in Parlamento da ottobre e i reparti sono a corto di uomini. Il generale Sysrky ha spiegato che ora si riempiono i ranghi con personale trasferito dalle retrovie, spesso da uffici e depositi: rincalzi con un addestramento limitato e senza esperienza, che per questo vengono inseriti nelle squadre di veterani. È una barricata umana, che permette alle brigate esauste di tirare il fiato ma potrebbe non reggere per molto.

L’altra criticità è la debolezza delle fortificazioni. Quelle allestite nel Donbass negli anni passati si sono rivelate formidabili, ma adesso ci sono tante altre zone esposte all’attacco russo. Lì i lavori sono partiti tardi e senza mezzi meccanici: sono affidati a pale e picconi. Sembra che sia dovuto a una decisione politica: il timore che la costruzione di trincee e di bunker potesse venire interpretata come la disponibilità a negoziare un cessate il fuoco, accettando le nuove difese come confine e quindi rinunciando alla riconquista dei territori occupati.

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Adesso i cantieri sono stati accelerati, ma solo in alcune aree. Zelensky la scorsa settimana ha visitato le opere in preparazione tra Sumy e Kharkiv: ci sono container blindati che si trasformano in rifugi sotterranei e tante ruspe per scavare linee di protezione.

La nuova offensiva

Non è un caso. Quella è la zona dove si teme l’offensiva principale di Mosca. Lì i russi possono marciare da più direzioni, contando sulle strade, le ferrovie e i depositi della madrepatria - dove agli ucraini è vietato l’uso dei missili a lungo raggio consegnate dalla Nato - come hanno già fatto nella primavera 2022, salvo poi ritirarsi in maniera disastrosa abbandonando numerose località strategiche. A parte i bombardamenti, con gli aerei o con le batterie di razzi multipli, il fronte qui appare tranquillo.

Uno dei focolai di combattimenti più accaniti si trova invece più a sud, dove c’è la cerniera tra questa regione e il Donbass: l’area di Siversk, che potrebbe venire chiusa da una tenaglia. La cittadina di Bilhorivka è il bastione che sbarra la strada ai russi: se dovessero sfondare, potrebbero irrompere nel conglomerato di Sloviansk-Kramatorsk, il più grande ancora in mani ucraine nel Donetsk e principale obiettivo di Putin, che vuole conquistare tutto il territorio rivendicato dalla Repubblica secessionista.

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Per sei volte tra gennaio e febbraio i tank russi si sono lanciati su Bilhorivka, contando su forze superiori: hanno condotto operazioni ben pianificate, usando ricognitori teleguidati e bombardamenti aerei, per poi avanzare con mezzi corazzati dotati di strumenti elettronici per bloccare i droni degli avversari. Gli ucraini hanno combattuto con orgoglio, spesso con sanguinosi contrattacchi della fanteria, ma hanno dovuto cedere alcune postazioni sulle colline dominanti. Risultati pagati a caro prezzo dalle brigate di Mosca, che hanno dovuto fermarsi per riorganizzare le loro truppe e hanno rallentato le puntate.

La pressione ovunque

Senza rinforzi, senza munizioni, senza contraerea, è molto difficile che la resistenza di Bilhorivka possa proseguire. In queste ore il Cremlino sta mandando avanti i suoi soldati praticamente lungo tutto il fronte: nel Lugansk verso Terny; nel Donetsk a occidente di Bakhmut e di Avdiivka; sul Dnipro contro la testa di ponte di Krynky. In una settimana hanno preso dieci chilometri quadrati, praticamente un fazzoletto di terra, lasciando sul campo tanti uomini e tanti veicoli. Eppure non si fermano. Vogliono logorare gli ucraini, nella consapevolezza che per loro è molto difficile rimpiazzare le perdite umane e materiali. Vogliono comprendere dove è più facile cercare di spezzare le linee. E continuano a sperimentare tattiche e armi: a Berdichy, a ovest d Avdiivka, due giorni fa hanno mandato contro le trincee un’ondata di robot cingolati, dotati di mitragliere e lanciagranate. Gli ucraini hanno spedito droni volanti contro gli automi corazzati, in un duello di macchine guerriere senza precedenti.

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La mossa di Putin

Ieri il Cremlino ha annunciato la mobilitazione primaverile: 150 mila giovani verranno chiamati alle armi. E’ una misura di routine: la leva non è stata abolita ma solo ridotta, con 300 mila arruolamenti l’anno. Alla Duma hanno precisato che questi ragazzi non andranno in Ucraina e che il contingente reclutato un anno fa verrà congedato: il numero complessivo dei militari non cambierà. Molti si chiedono se la Russia ha ancora le risorse per tentare un’offensiva su larga scala: la riserva di 100 mila uomini più volte evocata dall’intelligence ucraina e britannica non è mai stata localizzata. Alcuni analisti ritengono che Mosca dovrà richiamare altri riservisti, rinviando di mesi l’attacco: servono come minimo due mesi dal decreto del presidente prima che le truppe possano entrare in campo. Altri invece credono che verranno trasferite in prima linea tutte le forze disponibili, sguarnendo ulteriormente i distretti dell’Asia e del Baltico.

La campagna di bombardamenti sulle centrali elettriche - risparmiate nei primi due anni del conflitto - e quella di propaganda sulle responsabilità ucraine nella strage jihadista della sala concerti fanno temere che Putin voglia agire in fretta. E che il conto alla rovescia per la nuova offensiva sia già iniziato.