La missione difficile di Kiev: resistere fino all’estate con pochi uomini e poche munizioni
Una sola frase di Nikolaj Patrushev ha proiettato un’ombra nera su Kiev, rendendo concreti i peggiori scenari per il futuro immediato del conflitto. Il Cremlino ha deciso di impugnare l’eccidio jihadista della sala concerti per spingere il popolo russo a tentare l’assalto finale il prima possibile. E questa “operazione vendetta” si scatenerà nel momento di maggiore debolezza dell’Ucraina: una crisi che rischierà di farsi più profonda nei prossimi mesi, senza sollievo almeno fino all’autunno. La missione del presidente Zelensky e dei suoi generali adesso è trovare un modo di resistere per tutta l’estate.
Il conto alla rovescia
Le prospettive sono nefaste. Anticipare i piani di Mosca è difficile, anche se sono sempre più diffusi i timori di una grande offensiva che scagli 100 mila uomini contro Karkhiv e Sumy, le due metropoli più vicine alla frontiera. Invece le debolezze di Kiev sono sotto gli occhi di tutti. Una settimana fa Dara Massicot ha curato per il think tank Carnegie Endowment una sorta di “conto alla rovescia”, che individua quali sono le carenze destinate ad aggravarsi. In terra e in cielo. Il secondo fronte è forse il più preoccupante: la contraerea ucraina continua a perdere pezzi e lasciare spazi scoperti. Si è visto nelle incursioni degli scorsi giorni, in cui il 60 per cento dei missili russi è arrivato indisturbato sugli obiettivi. Si vede nell’aggressività dei cacciabombardieri Sukhoi che sganciano ordigni plananti da mezza tonnellata sulla prima linea.
Il problema è molto semplice: stanno finendo i missili terra-aria e il blocco degli aiuti statunitensi impedisce i rifornimenti. Ogni intercettore per i Patriot ha un prezzo compreso tra 2,5 e 4,5 milioni di dollari, a seconda della versione. Costi a parte, i Paesi europei chiamati a sostituire la defezione americana ne hanno pochissimi, perché nello scorso ventennio il pericolo di attacchi aerei era stato dimenticato. Le nazioni che adottano il Patriot, tra cui la Germania, ne hanno ordinati mille con una spesa di 5,5 miliardi. Quelli che usano i sistemi “Made in Ue” della holding Mbda - tra cui Francia, Italia e Gran Bretagna - sono preoccupati per l’alto consumo di armi durante i duelli nel Mar Rosso contro i droni degli Houti, che assottigliano le scorte risicate. E tutti sanno che per riceverne di nuove dalle industrie bisognerà aspettare non meno di due anni.
La chimera degli F-16
Ad allargare i varchi ci sono poi le esigenze di manutenzione: si tratta di apparati hitech, ogni intervento ferma lanciatori e radar per settimane, in attesa di ricevere i ricambi o mandarli in officina in Polonia o Germania. Così i russi adesso possono colpire Kiev e Odessa in pieno giorno, distruggere centrali elettriche fondamentali, bersagliare le fabbriche e i comandi. E si teme che presto oseranno mandare i grandi bombardieri Tupolev direttamente sopra città e industrie: non a caso hanno ripreso a costruire ordigni Fab da tre tonnellate, che radono al suolo interi condomini.
Gli ucraini sperano nell’arrivo della cavalleria: i jet F-16 donati dall’Occidente, che daranno energia agli stormi di vetusti Mig e Sukhoi. L’addestramento di piloti e tecnici procede a tappe serrate: i primi caccia potrebbero entrare in azione a giugno. Ma saranno una manciata – solo sei su un totale di 45 promessi dai partner europei della Nato – e il loro contributo all’inizio resterà poco più che simbolico. Per il personale abituato soltanto a velivoli sovietici, gli F-16 sono una rivoluzione che li obbliga a imparare nuovi modi di combattere e pratiche di gestione mai viste: ci vorrà almeno fino a settembre per prendere dimestichezza. Inoltre il Pentagono ha già tracciato una linea rossa: le missioni si fermeranno al confine, un vincolo che comunque lascerebbe aperta l’ipotesi di raid sulla Crimea. Ovviamente, Mosca sta bombardando gli aeroporti nelle regioni occidentali dove potrebbe essere schierata la prima squadriglia.
Le trincee vuote
Nelle trincee i guai raddoppiano: mancano sia i mezzi, sia gli uomini. La questione più drammatica restano i proiettili per l’artiglieria: i russi ne sparano cinque volte più degli ucraini. Senza consegne dagli States, l’Ue fa i salti mortali per reperirne in tutto il mondo, visto che le fabbriche del Continente sono ferme ai ritmi del 2022: il consorzio organizzato dal governo di Praga ha ottenuto finanziamenti da 15 Paesi e spera di acquistare 700 mila colpi di tutti i calibri. Ne servirebbe un altro milione, forse il doppio, e anche le munizioni recuperate difficilmente saranno distribuite prima di luglio. Nel frattempo gli obici restano a secco, permettendo l’avanzata delle truppe di Mosca.
I soldati di Kiev combattono per ogni metro e si ritirano lentamente, spesso contrattaccando con ostinazione. Questa lotta esaurisce le risorse umane di un esercito di volontari che da due anni non riceve rimpiazzi: c’è il pericolo che sotto la spinta di assalti ripetuti le linee cedano, aprendo la strada all’affondo dei tank russi.
Ieri il parlamento sembra avere trovato l’accordo su una legge per la mobilitazione – un provvedimento invocato invano a ottobre dall’allora capo delle forze armate Zaluzhny, poi sostituito da Zelensky – che prevederebbe solo scaglioni ridotti: se anche diventasse esecutivo, per l’addestramento dei coscritti serviranno tre mesi e se ne vedrebbero gli effetti solo dopo ferragosto. Comincia pure a farsi sentire la carenza di mezzi corazzati: i carri pesanti consegnati un anno fa dall’Occidente sentono il peso degli scontri. Per ogni semovente e blindato promesso in queste ore da Parigi o da Berlino – il governo Meloni non consegna armi offensive – c’è però bisogno di istruire il personale: ancora una volta si andrà come minimo ad agosto.
Le mosse di Mosca
Insomma, in questo momento i russi sono in vantaggio. L’economia di guerra imposta dal Cremlino sforna armi nuove e rimette in funzione le riserve sovietiche; altre ne arrivano da Iran e Corea del Nord. Finora il comando guidato dal generale Gerasimov ha continuato a portare avanti il logoramento degli avversari, senza curarsi delle perdite di uomini e mezzi. Ogni settimana viene occupato un altro pezzetto di territorio, soprattutto nel Donetsk proseguendo la marcia oltre Avdiivka e Bakhmut, ma non sfondano. Negli ultimi giorni ci sono stati i segnali di un’accelerazione, con le ondate di missili scagliate contro le città. Ora il quadro potrebbe ulteriormente cambiare. L’intelligence ucraina è convinta che il Cremlino abbia pronta una task force di 100 mila uomini, con cui cercare di assestare un colpo decisivo. La direttrice più probabile riguarda Kharkiv e Sumy, molto vicine al confine e dove la catena dei rifornimenti diventerebbe più semplice, senza ripetere gli errori della primavera 2022 quando l’assedio a entrambe le città si trasformò in una disfatta.
Odessa è di sicuro una preda ambita, ma c’è di mezzo l’ostacolo naturale del Dnipro mentre il trasporto di munizioni e carburante dipenderebbe dalla Crimea, troppo esposta alle incursioni ucraine. La disfatta della Flotta del Mar Nero non permette più di realizzare gli sbarchi in grande scala, pianificati ma non attuati durante le prime ore dell’invasione.
La sorpresa bielorussa
Ovviamente, i generali di Mosca punteranno alla sorpresa. L’unica concretizzabile è la riapertura del fronte bielorusso, che metterebbe l’armata sul trampolino di lancio per Kiev. In ogni caso, il piano allungherebbe le linee difensive ucraine già estese per quasi mille chilometri rendendo estremamente difficile presidiarle e moltiplicando l’opportunità di fare breccia. Molti analisti sono scettici sulla capacità russa di organizzare un’offensiva risolutoria, che riesca a far collassare almeno in una regione l’esercito ucraina. Servirebbero più uomini, capaci di aprire il varco e poi penetrare in profondità. Putin dovrebbe quindi ordinare un’altra mobilitazione di coscritti: una decisione impopolare, evitata prima delle elezioni per non perdere consenso. L’esito del voto e la carneficina della sala concerti potrebbero avere cancellato queste remore. Contrariamente agli ucraini, i russi possono prelevare subito reparti delle divisioni schierate nel Baltico o in Asia, sostituendoli in un secondo momento con le reclute da addestrare.
Quello che il nuovo Zar conosce con chiarezza è proprio il conto alla rovescia: dopo l’estate la fase di superiorità militare potrebbe svanire e deve chiudere la sfida con l’Ucraina entro settembre. Con qualunque strumento, senza escludere la minaccia delle armi atomiche, sempre più esibita per spaventare l’Occidente e costringerlo a venire a patti. Ora le confessioni estorte dall’Fsb ai terroristi islamici sul ruolo di Kiev nella strage gli offrono l’occasione per giustificare qualsiasi rappresaglia. Di fatto, sta trasformando il sanguinoso smacco subìto dall’Isis-K nel motore di una guerra totale, applicando una massima del potere occulto: “Mai sprecare una crisi, meglio trasformarla in un’opportunità”.