Mes, l’avvertimento di Giorgetti sui contraccolpi in Europa: “Ce la faranno pagare”

ROMA – Sceglie le retrovie, Giancarlo Giorgetti. Nel giorno in cui la “sua” Lega trascina la maggioranza sulla trincea del no al Mes, il ministro che invece era più disposto alla ratifica, l’uomo della trattativa con gli alleati europei che gli sollecitavano con ansia il via libera dell’Italia, scompare dalla scena. Non c’è, nell’Aula di Montecitorio, quando la Camera si esprime. E nel pomeriggio, malgrado sia atteso, non si fa vedere in Senato, dove è in discussione la manovra. Nessuna posizione, da via XX settembre, trapela sulla richiesta di dimissioni inoltrata dall’opposizione, Elly Schlein in testa.

Giorgetti tace mentre i falchi del suo partito - Borghi, Bagnai - esultano. Mentre Matteo Salvini festeggia il fatto che “l’Italia non dovrà pagare le banche tedesche”. Come la pensi davvero, fino a sera, non si sa. Almeno ufficialmente. I colleghi della Lega garantiscono che non c’è alcun problema, alcun dissapore: “Chi pensa che sia sfiduciato è male informato”, dice il capogruppo al Senato Massimiliano Romeo.

Giorgetti assediato dagli altri ministri dell’Ecofin a ogni riunione, in realtà come suo costume non si era mai sbilanciato. A giugno aveva lasciato che i tecnici del suo dicastero, in una lettera alla Camera, sottolineassero la bontà di una decisione a favore delle modifiche già sottoscritte da tutti i partner dell’Unione. Poi era stato primo sponsor della logica del “pacchetto”, il sì al Mes legato al semaforo verde dell’Ue sul Patto di stabilità. Ma, come suo costume, aveva lesinato dichiarazioni virgolettate di sostegno al nuovo meccanismo di stabilità, ricordando solo come l’Aula fosse sovrana e prima o poi si sarebbe pronunciata. Per non lasciare tracce, dicono i maligni.

Negli ultimi giorni, però, si era prodotto in un discreto pressing a favore del Mes. O comunque a sostegno di un voto del Parlamento. L’aveva ribadito anche giovedì pomeriggio, nel corso di una videoconferenza con la premier Giorgia Meloni e i due vice Salvini e Antonio Tajani. “Non ha senso rinviare ancora, se andiamo oltre il 31 dicembre questa ulteriore perdita di tempo verrà letta come una posizione contraria”, era stato il messaggio. Alla fine, proprio nel corso di quel summit a distanza, Salvini ha però imposto la linea dura, portando anche Meloni a seguirlo. Giorgetti, a quel punto, ha fatto un passo indietro, proprio mentre prendeva forma l’accordo sul Patto di stabilità che a lui piace a metà.

Ma guai a credere che l’esito dell’infinita vicenda del Mes renda il navigato ministro leghista felice. Sono in tanti ad averlo sentito, nella mattinata di ieri. E il suo pensiero emerge, informalmente, pur nell’assenza ufficiale di conferma di ricostruzioni dei fatti precedenti al voto d’Aula. “L’Europa ce la farà pagare”, è più o meno quel che sostiene. Traduzione: ci saranno delle conseguenze per l’Italia. Non è un problema di merito: l’unica cosa su cui il ministro dell’Economia concorda con il resto della Lega è che in fondo il meccanismo di stabilità previsto nel trattato respinto comunque non sarebbe utile al sistema bancario italiano. Ma in attesa di vedere le reazioni dei mercati (lo spread ieri è cresciuto poco dopo il voto della Camera ma poi ha chiuso quasi ai livelli del giorno precedente), c’è una notevole questione di affidabilità e di reputazione nei confronti dei partner. “E toccherà a me metterci la faccia”, si lamenta - senza ironia - con chi l’ha sentito. Di certo, fa sapere, da un voto così non si torna indietro.

Gli effetti si potranno valutare nei prossimi appuntamenti internazionali, l’Eurogruppo il 15 gennaio e il Consiglio europeo del primo febbraio. Ma, avverte ancora Giorgetti, adesso non è il caso di farsi illusioni sulle prossime partite, a cominciare dalla sede dell’Authority antiriciclaggio per cui esiste la candidatura di Roma. Il ministro che si è defilato nel momento della bufera, insomma, ha lasciato sul campo i suoi avvertimenti.