Parigi, l'inizio delle Olimpiadi fra sogno e rabbia: gli occhi del mondo sulla città deserta

diAldo Cazzullo

La testardaggine di Macron di voler portare la cerimonia in città, anziché chiuderla in uno stadio, ha causato un blocco totale. Prevenire tutti i rischi non sarà possibile, ma Renzo Piano assicura: «I Giochi lasceranno un'eredità»

DAL NOSTRO INVIATO
PARIGI - La signora dell’appartamento è preoccupatissima: «Mi raccomando, non dica che ha preso la casa su Airbnb!». Ma è tutto regolare, tutto pagato e tracciato… «Non lo dica ai vicini però, altrimenti si arrabbiano e la tratteranno malissimo! Dica che è un mio amico, che è venuto a trovarmi». Signora non ci crederanno mai, capiranno che ho preso la casa su Airbnb. «Lei allora neghi, neghi anche l’evidenza!».

Parigini furibondi 

I parigini sono davvero arrabbiatissimi. Ma non solo con Airbnb, che rende molto più di un affitto normale, e quindi complica la vita a chi cerca casa. Sono arrabbiatissimi con i Giochi; di cui oltretutto la multinazionale degli affittacamere è sponsor ufficiale.

Mai vista Parigi così deserta. Neppure nei giorni del Bataclan, quando anzi la gente aveva voglia di uscire per abbracciarsi, piangere, portare un fiore in Place de la République o alla Morgue. Giusto al tempo del lockdown; ma era così in tutto il mondo. L’altro paragone possibile è la Genova del G-8.
La testardaggine di Macron di voler portare la cerimonia in città, anziché chiuderla in uno stadio come si è sempre fatto, ha provocato un blocco pressoché totale. Perché la Senna è il vero centro di Parigi, il suo asse storico, dall’Est popolare all’Ovest aristocratico, dalla Bastiglia, dove il re rinchiudeva i ribelli, alla Concordia, dove i ribelli gli tagliarono la testa. Qui, sul fiume, oggi saranno rivolti gli occhi del mondo. Centodieci capi di Stato e di governo, 104 mila spettatori paganti sui ponti e sugli argini, oltre 200 mila ammessi gratis sul Lungosenna, almeno un miliardo davanti alla tv. E un esercito di 65 mila tra donne e uomini della sicurezza.

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Gli anelli olimpici allestiti presso la Piramide del Louvre (Afp)

Il professor Bauer e il ministro 

Il ministro degli Interni, il potente Gérald Darmanin, ha introdotto la sorveglianza algoritmica: nessuno ha capito esattamente cosa sia, ma dovrebbe consentire ad esempio di capire a distanza se un pacco abbandonato è pericoloso o no. Alain Bauer, criminologo e pessimologo molto intervistato in queste ore, prevede che andrà malissimo: volere a tutti costi la cerimonia diffusa, spiega, è stata un’imperdonabile prova dell’arroganza francese; «Parigi non è difendibile». 

In realtà soltanto un pazzo potrebbe sfidare stasera un simile dispositivo di sicurezza. Non a caso, tutti gli istituti psichiatrici hanno revocato qualsiasi permesso speciale ai loro ricoverati, come già era accaduto lungo il percorso della fiamma olimpica. Poi certo i Giochi sono una manifestazione diffusa; e prevenire tutto, da Marsiglia a Lilla, in un Paese attraversato da forti tensioni etniche come la Francia, non sarà possibile. Svuotata dai suoi abitanti, Parigi si è consegnata all’immensa macchina dell’Olimpiade. Ovunque agenti in divisa e in borghese, neanche troppo mimetizzati. Polizia a cavallo ferma al semaforo rosso, come i carri armati di Otelo de Carvalho la notte della rivoluzione dei garofani. Il vero inno olimpico è il rombo degli elicotteri, interrotto solo dalle sirene.

Dal Marais a Saint-Denis 

Parigi esalta le differenze di status tra le delegazioni. Le troupe giapponesi girano con l’autista e alle sei di sera sono già a cena da Lasserre, dove l’antipasto di maccheroni al foie-gras costa 115 euro e una bottiglia di barbera 170; un gruppo di free-lance africani ha affittato biciclette utilissime a dribblare la transenne. Sudcoreani deferenti in giacca e cravatta; americani tutti in sandali e bermuda, l’aria da padroni di casa anche se a Los Angeles 2028 mancano quattro anni. 

In serata, con l’arrivo delle delegazioni ufficiali, ingorghi mostruosi si alternano ad angoli deserti. Vuoto il Marais, lo storico quartiere ebraico, che oggi è anche il quartiere gay, il selciato dipinto con i colori dell’arcobaleno. Deserta purtroppo anche la bellissima libreria Chir Hadach, in vetrina la vignetta del rabbino che vince a braccia alzate i cento metri di nuoto correndo nella corsia prosciugata da Mosè, la piscina olimpica come il Mar Rosso. Jo Goldenberg, il ristorante kosher dove un commando di Abu Nidal massacrò sei innocenti, è diventato una jeanseria.

Il Marais è uno dei quartieri considerati più a rischio; ma dopo qualche giorno il cuore dei Giochi si sposterà a Saint-Denis, periferia araba, con lo Stade de France e la nuova pista d’atletica, realizzata come per ogni Olimpiade da Montreal 1976 in poi dalla Mondo Rubber, azienda albese che si chiama come il soprannome del fondatore, Edmondo Stroppiana, il Ferrero della gomma.

Saint-Denis è un quartiere molto diverso da come viene raccontato: un’isola della Tortuga dove gli immigrati vivono di sussidi, di giorno dormono e di notte cucinano cibi dall’effluvio pestilenziale e suonano i bonghi per tenere svegli i bravi francesi. In realtà, Saint-Denis è un quartiere di piccola borghesia, con architetture arabeggianti tipo medina, sorte all’ombra della cattedrale gotica dove sono sepolti i re di Francia; anche se la meravigliosa tomba rinascimentale di Caterina de’ Medici e quella neoclassica di Maria Antonietta sono vuote, le ossa vennero disperse dai rivoluzionari in una fossa comune. 

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I pedoni camminano lungo la  Senna con vista sulla Torre Eiffel (Epa)

Storico sobborgo di sinistra, le vie di Saint-Denis portano i nomi dei martiri del franchismo, place Jean Jaures ricorda il pacifista assassinato tre giorni prima dello scoppio della Grande Guerra. Profumo di cuscus e merguez. Oggi qui ci si astiene o si vota per il Nuovo Fronte Popolare, e l’entusiasmo olimpico non è alle stelle: «Giornalista? Tornatene a Parigi!». Il temuto professor Bauer informa che la sorveglianza algoritmica è impotente contro un eventuale drone pirata; il ministro degli Interni assicura di poter fermare pure quello.

Una chiacchierata con Renzo Piano 

Nel Marais vive Renzo Piano, che al confine tra la città e Saint-Denis ha costruito il nuovo Palazzo di Giustizia, una torre di Babele cui hanno lavorato operai di oltre cento nazionalità. Anche Piano è tra i parigini che sono partiti, ma i Giochi li difende: «Sono stati preparati con lo spirito del 1992, l’anno dell’Olimpiade che rilanciò Barcellona e dell’Expo che restituì il mare a Genova. I Giochi non sono in sé un male o un bene. Possono essere un gigantesco spreco; ma possono lasciare un’eredità. Parigi 2024 appartiene alla seconda categoria. È sostenibile. Alcuni cantieri saranno smontati, altri resteranno. Il sistema dei trasporti ne uscirà rafforzato. La Senna che dopo un secolo torna balneabile, sia pure non del tutto, è una conquista. I parigini hanno applicato il motto genovese: «"Chi nu se straggia nint”».

Prego? «Qui non si getta via niente. Negli anni 80 andammo in tre a parlarne al Centro internazionale delle Esposizioni, all’Unesco: il sindaco Cerofolini, ex tranviere; io, un geometra; e Fernand Braudel, all’epoca il più grande storico vivente. Li convincemmo a scegliere Genova». E comunque il professor Bauer, instancabile, informa che nella storia mai come oggi saranno concentrati tanti diversi allarmi in un giorno solo e in una sola città: «Allarme sociale, terroristico, politico, ambientale, cibernetico…».

La cerimonia sulla Senna 

Gli organizzatori dell’inaugurazione hanno scelto a modello Pechino 2008. In negativo: «Faremo tutto il contrario». Il capo è un regista, Thomas Jolly, che ha costruito una squadra con uno storico, Patrick Boucheron, autore della «Storia mondiale della Francia»; una romanziera premio Goncourt, Leila Slimani; e una sceneggiatrice, Fanny Herrero, figlia di un allenatore di rugby ed ex campionessa di pallavolo. La cerimonia di Pechino era una prova di forza e un’ode alla grandezza cinese; al contrario, loro vorrebbero evocare sulla Senna tutto quanto di dolce, di poetico, di buono e anche di erotico («i corpi degli atleti sono il massimo dell’eros» assicura Slimani) la Francia ha dato al mondo. 

Autori, attori, libri, foto, versi, canzoni, quadri, film — da «Gli amanti del Pont Neuf» a «Il meraviglioso mondo di Amélie» — statue, compresa quella equestre di Enrico IV, e chiese, a cominciare ovviamente da Notre-Dame, quasi restaurata dopo l’incendio. L’intento è mescolare tutto, l’arte e il protocollo, danzatori e Macron, acrobati e Jill Biden, al mesto passo d’addio come first lady. Ma il momento più emozionante sarà quando Céline Dion tornerà a cantare in pubblico, segnata ma non vinta dalla malattia.

Gli atleti italiani saranno sullo stesso battello, anzi bateau-mouche di Israele. E certo va preso sul serio l’allarme israeliano su un attacco ispirato dall’Iran; i cui atleti però saranno sulla barca precedente. La moderna Olimpia le guerre non le ferma. Altri iraniani gareggeranno per la squadra dei Rifugiati: come Jamal Valizadeh, campione di lotta greco-romana, plurilaureato, che è qui in Francia anche per un master in matematica.

I campioni e i cani 

Portabandiera azzurri, Gianmarco Tamberi (arrivato in aereo con Mattarella), che a Rio venne con una gamba ingessata e a Tokyo vinse l’oro, e Arianna Errigo, che domenica si gioca le medaglie del fioretto con Alice Volpi e Martina Favaretto, eredi delle leggendarie tre tigri: Elisa Di Francisca, la prima atleta a portare ai Giochi la bandiera europea; Valentina Vezzali, la più grande di tutti i tempi; Giovanna Trillini, che pur di non perdersi l’Olimpiade salì in pedana con il menisco rotto. L’Italia è rappresentata anche da sei cani artificieri, apprezzatissimi campioni reduci dall’Afghanistan: su di loro neppure il professor Bauer ha avuto nulla da ridire.

Sulla barca spagnola ci saranno anche Rafael Nadal e Carlos Alcaraz, star del villaggio olimpico, dove entrambi dormono e fanno la fila in mensa, interrotti dalle richieste di selfie (ma Jasmine Paolini non ha ancora avuto il coraggio di chiedere la foto a Rafa). Al villaggio, in un letto speciale per i suoi due metri e 6 centimetri, vive pure il portabandiera americano Lebron James, che paga al fisco del suo Paese diciassette milioni di dollari l’anno; l’altra portabandiera Usa, Coco Gauff, versa dodici milioni.

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A sinistra Rafael Nadal (38 anni), a destra Carlos Alcaraz (21). Afp

Si comincia subito forte: domani l’Italia del volley sfida il Brasile, rivincita della finale olimpica di Rio 2016. Il calcio è partito con la rissa omerica di Argentina-Marocco: il pubblico tutto franco-marocchino prima ha fischiato l’inno dei rivali, poi ha invaso il campo dopo il pareggio argentino al sedicesimo minuto di recupero, infine ha praticamente imposto l’annullamento del gol al Var dopo due ore: così imparano i sudamericani a cantare la loro canzonaccia contro Mbappé e i francesi venuti dall’Africa.
La saga di Olimpia, insomma, è già cominciata.

Il professor Bauer è quasi certo che qualcosa di terribile stia per accadere; domani a quest’ora sapremo se è stato una Cassandra, o un falso profeta.

26 luglio 2024 ( modifica il 26 luglio 2024 | 07:15)

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