L’attacco di Hamas del 7 ottobre e la guerra di Gaza dovrebbero indurre a riconsiderare le convinzioni e i timori che circondano il conflitto tra Israele e Palestina, anzich� riaffermare i preconcetti gravemente inadeguati e di parte ai quali si restava ancora aggrappati il giorno prima.
Chi ama Israele, e chi lo odia, non ha imparato nulla dal 7 ottobre e dalla guerra di Gaza
L’attacco di Hamas di 6 mesi fa e la guerra di Gaza dovrebbero costringere a un ripensamento profondo delle convinzioni sul conflitto israelo-palestinese. Per molti, in un campo e nell’altro, hanno invece rinforzato pregiudizi inadeguati, ed egoistici

Nei sei mesi trascorsi dal giorno in cui Hamas ha fatto irruzione dalla barriera di confine di Gaza per massacrare centinaia di israeliani, stiamo tutti cercando di trovare un senso a quel 7 ottobre. Era il giorno che avrebbe dovuto segnare una svolta.
Per molti israeliani, e amici di Israele, � stato il giorno che ha dimostrato, oltre ogni ombra di dubbio, che la coesistenza tra il fiume Giordano e il mar Mediterraneo � impossibile, e che l’odio contro gli ebrei � ormai inestirpabile.
Per i nemici e i contestatori di Israele, quell’attacco era la prova inoppugnabile che la lotta palestinese non accettava pi� di restare ai margini, e che prima o poi sarebbe esplosa contro Israele e la sua occupazione. Anche se disposti, per qualche ora, a condannare le azioni di Hamas in quel giorno, il �contesto� in cui si era svolto l’attacco appariva una giustificazione sufficiente.
Ci� che entrambi i lati hanno in comune � che per loro il 7 ottobre ha sancito la conferma delle convinzioni intrattenute fino al giorno prima.
Anche all’interno della societ� israeliana si � tentato di trovare un senso all’accaduto. Mentre centinaia di migliaia di riservisti si precipitavano verso le loro unit�, e uomini e donne, che nei nove mesi precedenti si erano ritrovati sui lati opposti di una spaccatura politica sempre pi� profonda, indossavano la stessa uniforme e andavano a combattere fianco a fianco, il motto di tutti era diventato �non si torna pi� al 6 ottobre�. Era come se il diffuso malcontento della societ� israeliana, che aveva visto molti mesi di proteste di piazza contro i tentativi del governo di indebolire drasticamente l’indipendenza giudiziaria, avesse in qualche modo consentito il verificarsi degli eventi del 7 ottobre.
Sei mesi dopo, mentre vaste manifestazioni scuotono nuovamente il Paese, si direbbe che gli schieramenti avversi il 6 ottobre hanno dato un senso diametralmente opposto al giorno successivo. Per coloro che hanno combattuto contro la �riforma giudiziaria�, � chiaro che il tragico fallimento di quel giorno, e tutte le drammatiche ripercussioni da allora, sono da attribuirsi alla venalit� e alla corruzione di Benjamin Netanyahu e alla sua perversa coalizione di governo. Per la base di appoggio al governo, ancora assai consistente bench� in calo, le proteste e le contestazioni hanno scardinato la coesione di Israele, prestando cos� man forte al leader di Hamas, Yahya Sinwar.
Sono, queste, reazioni profondamente umane. Ci sforziamo tutti di trovare un senso ai grandi accadimenti, e a maggior ragione a quelli pi� drammatici. Ci si immagina che segneranno una svolta decisiva, ma il pi� delle volte il significato che vi troviamo tende a confermare i nostri pregiudizi e timori preesistenti.
Nei mezzi di comunicazione, lo facciamo senza sosta, costretti a nutrire la belva ora dopo ora, non soltanto con le �breaking news�, ma sforzandoci di spiegare ai lettori e analizzare per gli spettatori il senso delle cose. Non solo nei giorni successivi al 7 ottobre, ma con ritmo sempre pi� incalzante da allora, ogni grande evento a Gaza – o cos� sembrava in quel momento – veniva annunciato come svolta decisiva e punto di non ritorno.
Questi �momenti� hanno preso avvio sin dai primi giorni di guerra, come quando si � verificata un’esplosione nell’ospedale Al-Ahli a Gaza City. Inizialmente si era pensato che si trattasse di un missile lanciato dalle forze armate israeliane, poi si � scoperto che i danni erano stati provocati dal malfunzionamento di un razzo palestinese.
Quando l’esercito israeliano ha accerchiato l’ospedale Al-Shifa di Gaza City a novembre, la notizia ha fatto il giro del mondo. Ma quando, il mese scorso, i soldati sono tornati ad Al-Shifa e hanno ucciso centinaia di persone (200 terroristi secondo le forze armate israeliane, 400 secondo le autorit� palestinesi, senza contare un gran numero di civili), e raso al suolo le infrastrutture circostanti, nessuno ha sembrato farvi attenzione.
Ancora a febbraio si � verificata l’ennesima �svolta�, quando pi� di cento palestinesi sono stati travolti e uccisi dalla calca per raggiungere un convoglio di rifornimenti entrato a Gaza City . E questa settimana la frase � nuovamente rimbalzata, quando sette operatori dell’organizzazione umanitaria World Central Kitchen sono rimasti vittima di un attacco di droni lanciati dalle forze israeliane.
Ecco una piccola selezione di eventi che avrebbero dovuto essere decisivi, e cambiare ogni cosa. La sentenza della Corte internazionale di giustizia, a gennaio, che pur non potendo dimostrare che Israele stesse compiendo un genocidio a Gaza, lo considerava comunque �plausibile�, � un altro di quei momenti che mi vengono in mente. Circostanze dopo le quali, per un giorno o due, sia le reti internazionali che le reti social hanno reagito d’impulso per dire che il mondo non poteva pi� restare in silenzio, senza meglio specificare, e certamente quello stesso mondo indefinibile sarebbe finalmente intervenuto per imporre un cessate il fuoco.
Ma questo non accade, e una settimana dopo ripensi agli avvenimenti intercorsi e ti rendi conto che sono semplicemente una serie di tappe intermedie, che intervengono a tracciare i contorni di una lunga guerra, quasi a voler dimostrare fino a che punto � impossibile prevedere come e quando finir�.
Per alcuni, la spiegazione pi� ovvia del fatto che l’ordinamento globale non sia cambiato sulla scia di questi eventi drammatici sta nella malvagit� dei leader mondiali, che si sono resi complici dei crimini di guerra di Israele. Sembra di ascoltare quegli israeliani che si scagliano contro un mondo antisemitico rimasto impassibile davanti agli ebrei massacrati e stuprati quel 7 ottobre.
La posizione pi� ragionevole � che non ci sono decisioni facili n� ovvie in questa guerra. Si corre il rischio di macchiarsi di cinismo quando si sostiene che gli avvenimenti in cui centinaia di israeliani e decine di migliaia di palestinesi sono rimasti uccisi non hanno altro significato che quello di far parte di un conflitto che si trascina ormai da un secolo. Ma si d� certamente prova di insensibilit� quando si pretende che le nostre convinzioni preesistenti sono oggi doppiamente confermate, proprio per l’elevato numero delle vittime.
Se abbiamo imparato qualcosa dal 7 ottobre, dovrebbe essere che i nostri pregiudizi sulle cause iniziali e contemporanee del conflitto israelo-palestinese, e sulle sue possibili soluzioni, si sono dimostrati tragicamente inadeguati e di parte.
I cinici e gli insensibili sono coloro che, prima dell’inizio della guerra, imputavano ogni cosa ai peccati del Sionismo, oppure all’insopprimibile odio verso gli ebrei, e sei mesi dopo rifiutano ancora di riesaminare la loro posizione sul conflitto.
*Scrittore israeliano
(Traduzione di Rita Baldassarre)
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7 aprile 2024 (modifica il 7 aprile 2024 | 14:52)
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