Biden-Trump visto da Riad: il grande Sud globale preferisce il repubblicano?

Joe Biden provoca i nemici dell’America ma non riesce a spaventarli. Donald Trump li spaventava ma evitava di provocarli�. Vi consegno questo giudizio sui due candidati raccolto in un luogo particolare: l’Arabia saudita, dove sto concludendo in questo weekend un lungo viaggio. Il giudizio di alcuni autorevoli interlocutori arabi � interessante, per diverse ragioni. Per cominciare mi trovo nell’epicentro di una crisi acuta, che da Gaza si � allargata fino al Mar Rosso e per questo tocca da vicino anche l’economia italiana. Il ruolo dell’America � diventato centrale in questa crisi, sia per i negoziati su Gaza sia per rintuzzare gli attacchi alla navigazione mercantile nel Mar Rosso.

Il ruolo dell’America viene percepito in modo molto diverso a seconda delle parti del mondo. Anche il giudizio sui presidenti cambia in base alle latitudini. Ho seguito a distanza il caucus dell’Iowa, ho osservato il relativo trionfo di Trump stando in mezzo agli arabi. Una cosa mi ha colpito subito: in Europa l’eventuale ritorno di Trump alla Casa Bianca di solito � considerato come foriero di catastrofi; in Medio Oriente invece l’immagine di Trump non � cos� negativa, in certi casi e in alcuni ambienti � addirittura positiva. Per diverse ragioni che cerco di esplorare.  

Meno guerre sotto The Donald

Comincio dal bilancio della politica estera. L’argomento usato da Trump non si pu� scartare a priori: durante la sua presidenza non scoppiarono nuove guerre. Putin ha invaso due volte l’Ucraina sotto i due presidenti democratici: occup� la Crimea nel 2014 con Obama; la seconda aggressione avvenne nel 2022 con Biden. Il Medio Oriente era relativamente pi� tranquillo nel periodo 2017-2020 di com’� oggi. Fu l’Amministrazione Trump a favorire la firma degli Accordi di Abramo fra Israele, Emirati, Bahrain, Marocco e Sudan, preludio per quella che doveva essere la svolta storica ancora pi� grande cio� la normalizzazione Arabia-Israele. Sotto Biden invece c’� stata la strage di Hamas e tutto quel che ne � seguito.   

L’asse Trump-Netanyahu contestato

Si pu� disquisire all’infinito se questo bilancio sia esauriente. I democratici Usa possono obiettare che Trump con il suo appoggio totale a Benjamin Netanyahu (suggellato dallo spostamento dell’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme) incoraggi� ulteriori provocazioni e soprusi israeliani contro i palestinesi, per esempio nuovi insediamenti di coloni, seminando cos� i germi del futuro terrore. Per� i fatti sono i fatti, il resto sono ipotesi: il mondo conobbe meno conflitti sotto Trump che da quando c’� Biden alla Casa Bianca.

Una fra le tante possibili spiegazioni ve la ricordo, � la �teoria del leader pazzo�, o finto pazzo, o presunto tale, gi� discussa ai tempi di Richard Nixon. Un presidente erratico, imprevedibile, impulsivo, irascibile, descritto dai suoi stessi collaboratori come incontrollabile, pu� dare la sensazione al resto del mondo di avere il grilletto facile. Trump con il suo linguaggio eccessivo, stravagante, anti-diplomatico, e talvolta apertamente minaccioso, pu� essere stato un personaggio in parte indecifrabile e pu� avere indotto alcuni leader nemici alla cautela. Una sorta di deterrente umano. Ordinando l’assassinio �mirato� del generale iraniano Qasem Soleimani il 3 gennaio 2020, forse Trump diede un segnale di fermezza al regime degli ayatollah — cosa di cui Biden non � stato capace — ma al tempo stesso ag� con precisione chirurgica, senza innescare una escalation.  

La sinistra umanitaria e i suoi danni

Il mondo arabo, per essere pi� precisi quel mondo arabo-sunnita-conservatore che governa le monarchie del Golfo, � molto critico verso il partito democratico Usa e la sua illusione di una politica estera guidata dai valori. Vista da Riad, cos� come da Dubai o Doha, dal Bahrain o dal Kuwait, l’illusione della sinistra di esportare diritti umani ha effetti altrettanto disastrosi dell’ambizione di esportare democrazia (Afghanistan 2001, Iraq 2003). Su un punto � difficile dargli torto, e non � un aspetto marginale: la condizione femminile. I diritti della donna hanno fatto pi� progressi — in certi casi davvero enormi — sotto dei regimi autoritari illuminati come sono le monarchie del Golfo, anzich� sotto nazioni segnate da rivoluzioni di massa che hanno aperto la strada all’islamismo fanatico.  

Le donne: pi� diritti in alcune monarchie illuminate

La donna saudita oggi sta molto meglio di quella iraniana, visitare il Ksa (Kingdom of Saudi Arabia) � un’esperienza sorprendente sotto questo profilo. Le donne qui sono libere di vestirsi come vogliono e molte girano senza velo, anche se non poche preferiscono continuare a indossarlo. Si laureano anche pi� dei maschi, lavorano, guidano, escono la sera al ristorante con le amiche, vanno al cinema e ai concerti pop, viaggiano all’estero da sole.

Tutto questo � accaduto in fretta, negli ultimi anni. La modernizzazione e laicizzazione in corso � stata imposta da un sovrano illuminato; mentre in Iran soffrono in carcere tante donne che hanno osato ribellarsi ai soprusi clericali. Dunque un diritto umano fondamentale, quello che riguarda la met� della specie umana, pu� essere promosso in modo pi� rapido ed efficace da un monarca anzich� da una rivoluzione di popolo che sfocia in un regime ideologizzato e alla fine reazionario.  

L’assassinio di Jamel Khashoggi

Alcuni lettori di questa newsletter hanno sentito il bisogno di �rinfrescarmi la memoria� ricordandomi che sotto la guida di MbS — e probabilmente con il suo assenso — avvenne un crimine orrendo: il barbaro assassinio con macellazione (letteralmente) del giornalista di opposizione Jamel Khashoggi. L’editorialista del Washington Post fu ucciso il 2 ottobre 2018 da sicari sauditi, in una sede diplomatica saudita a Istanbul. Per la verit� ne avevo gi� scritto pi� volte.

Non mi sono autocensurato neppure in occasione del mio recente incontro a Riad al think tank saudita Gulf Research Center, dove ho tenuto le fila di un dibattito organizzato da The European House-Ambrosetti. Il video integrale della discussione � accessibile qui su YouTube. Anche in quella circostanza ho ricordato l’eliminazione di Khashoggi, nonch� l’impatto che continua ad esercitare sull’immagine del Kingdom of Saudi Arabia (Ksa) in Occidente.

Ai miei lettori italiani devo un’aggiunta. Quella barbara esecuzione � imperdonabile e tuttavia il bilancio dell’Arabia saudita sul terreno dei diritti umani � migliore di quello della Cina: dove dissidenti e recalcitranti di varia natura vengono incarcerati, torturati, talvolta condannati a morte, su una scala ben pi� vasta. Il regime cinese lasci� morire in carcere perfino un Premio Nobel. Eppure da molti anni i nostri Paesi e le stesse opinioni pubbliche occidentali hanno cessato di brandire gli abusi contro i diritti umani nelle relazioni con la Cina.

La severit� usata verso Riad non mi sembra proporzionata. Ricordo che Biden, incalzato dalla sua sinistra umanitaria per il caso Khashoggi, all’inizio della sua presidenza annunci� che avrebbe trattato l’Arabia Saudita come uno �Stato-paria�, declassando le relazioni per castigarla. Ha dovuto rimangiarsi quella minaccia molto in fretta, quando l’invasione di Putin in Ucraina ha restituito un ruolo indispensabile ai fornitori di energie fossili del Golfo. Un’altra frase �indimenticabile�, quella sullo Stato-paria. Infatti i sauditi non l’hanno dimenticata.    

Riad condanna Hamas. Niente cortei, non si usa

Un mio cortese accompagnatore — egiziano di origine, conoscitore professionale di molti Paesi islamici — mi fa notare una differenza tra l’Arabia e altri Paesi di quest’area di fronte alla tragedia di Gaza. In Iran e in Yemen, in Egitto e in altri Paesi africani ci sono state subito tante manifestazioni di massa a sostegno di Hamas e contro Israele. Per non parlare degli immigrati islamici che hanno invaso le piazze di Berlino Londra New York a sostegno di Hamas (insieme a tanta giovent� occidentale). In Arabia questo sarebbe impensabile. Non � concepibile qui scendere in piazza… certo non a favore di Hamas movimento jihadista aborrito dalla monarchia; ma i cortei non sarebbero graditi neppure per manifestare sostegno alla politica del proprio governo in favore del cessate il fuoco a Gaza.

Non si usa sfilare in corteo, il governo non lo desidera, anzi � allergico all’uso della piazza da parte di altri regimi dell’area. Questo non significa che MbS non sia in qualche misura vincolato dalla sua opinione pubblica, che lui peraltro fa osservare regolarmente con l’uso di sondaggi. Sulla questione palestinese MbS sa bene qual � il sentimento della maggioranza dei suoi sudditi. Ne tiene conto. Tenerne conto non significa cedere il potere al popolo; tantomeno mettergli a disposizione la piazza per manifestarvi le sue emozioni. 

Il suo ministro degli Esteri ha ribadito che l’Arabia � disponibile a riprendere il cammino verso il riconoscimento dello Stato d’Israele, ed � disponibile a svolgere un ruolo nella ricostruzione di Gaza, a condizione che si facciano dei passi concreti verso una soluzione basata su due Stati. Il fatto che una maggioranza di israeliani e anche una maggioranza di palestinesi (per non parlare di Hamas) siano contrari ai due Stati � noto. � un problema per la diplomazia saudita che a volte sembra ridotta a un esercizio retorico senza presa sulla realt� israelo-palestinese. � anche un limite insito in un approccio che non vuole dare l’ultima parola ai popoli, pensa che i sovrani illuminati vedano pi� lontano.  

Trump il businessman piace a chi vuole un’economia di mercato

La �simpatia per il diavolo�, titolo di un brano classico dei Rolling Stones, � un’espressione che cattura il consenso verso il principe MbS e verso lo stesso Trump. The Donald piace non solo e non tanto perch� il suo atteggiamento e la sua psicologia si avvicinano pi� a quelle di un despota. Credo che il suo fascino sia legato alla figura del businessman, come fu il caso di Silvio Berlusconi. Bisogna tener presente che il mondo arabo ha vissuto in una lunghissima era di stagnazione e di occasioni mancate, dovute non certo alle colpe dell’Occidente e non soltanto ai vizi generati dalla rendita petrolifera (quest’ultima esiste anche in Canada e in Norvegia).

I fallimenti arabi hanno avuto due costanti: disastrosi esperimenti socialisti (dall’Algeria all’Irak all’Egitto) da una parte, �lite predatorie e burocrazie parassitarie dall’altra (qui l’elenco � sterminato). Una delle ragioni dell’odio verso Israele � l’invidia nei confronti del suo successo economico, tecnologico, scientifico, sociale: umiliante per il mondo arabo-islamico. La rivoluzione di MbS che sta lanciando a gran velocit� l’Arabia saudita verso un futuro migliore, � fatta anche di una convinta adesione all’economia di mercato.

Il principe ha promosso al rango di ministri nel suo governo diversi ex-imprenditori. Il mondo dell’industria privata un tempo prosperava con fatica, sotto il tallone di una famiglia reale estesa (poligamia…), corrotta e rapace. Con MbS � in corso anche un’apertura alla concorrenza. L’innesto di forze dal settore privato a quello pubblico sta dando dei benefici evidenti. Trump piace in parte perch� rappresenta l’iniziativa privata �contro� la burocrazia e lo statalismo: questa sar� pure una semplificazione grossolana, ma spiega perch� la sua immagine � ben pi� positiva nel Grande Sud globale che in Europa.   

Un’America isolazionista come tratterebbe gli alleati?

L’Iowa ha provocato un allarme in diverse parti d’Europa, qui invece quando parlo del mio precedente viaggio a Riad al seguito di Trump nel 2017 vedo negli occhi dei miei interlocutori sauditi che � una �medaglia� nel mio curriculum. Ho gi� ricordato che non tutta la presidenza Trump � piaciuta ai sauditi. Quando nel 2019 gli Houthi con l’appoggio iraniano sferrarono colpi duri alle infrastrutture petrolifere saudite, l’Amministrazione Trump non mosse un dito. Alcuni miei interlocutori del think tank saudita Gulf Research Center fanno risalire a quell’indifferenza di Trump l’accelerazione di un cammino autonomo della diplomazia con MbS. � una ricerca d’indipendenza sottolineata dall’asse energetico con Putin dentro l’Opec+ o dal ruolo riconosciuto alla Cina come mediatrice per la riapertura delle ambasciate tra Arabia e Iran l’anno scorso.

Questo porta a evocare un altro aspetto della possibile rielezione di Trump, che � la sua conseguenza sulle alleanze storiche dell’America. Riad come Roma, Berlino, Taipei, Tokyo, Seul, deve prendere in considerazione la possibilit� che un giorno l’America si ritiri o comunque ridimensioni molto il suo coinvolgimento negli affari mondiali. MbS ha cominciato a fare �hedging�, il termine che in gergo finanziario indica la copertura del rischio. La sua opera di diversificazione, lo sviluppo di rapporti eccellenti con Cina e Russia, fa parte di questo. La sua posizione defilata nel conflitto attuale con gli Houthi pure. Resta che le forze militari saudite sono per molti aspetti dipendenti dall’America: armi, addestramento, appoggio esterno, intelligence. N� ci sono stati segnali di riduzione di questa dipendenza sotto MbS.     

Il mondo visto dal porto di Jeddah

Scrivo da Jeddah in Arabia Saudita, primo porto del Mar Rosso. Qui la crisi che preoccupa il mondo intero � quasi invisibile. In compenso � onnipresente la Cina. Vista da qui appare irrealistica l’idea che la globalizzazione � finita, o che sia in atto un �decoupling� (divorzio economico) tra l’Occidente e la Cina, o comunque un forte allentamento della nostra dipendenza dalla Repubblica Popolare. Tutti questi temi, sulle banchine del porto di Jeddah, mi sembrano di colpo molto astratti.  Si conferma la regola meteorologica: �l’occhio del ciclone�, cio� la sua parte centrale � il posto pi� tranquillo dove stare, mentre il vortice della tempesta e dei marosi infuria tutt’intorno. Ma � una tranquillit� molto precaria visto che il ciclone si sposta e con esso anche il suo �occhio�.

Per adesso Jeddah offre uno spettacolo molto normale. Occhio del ciclone, per l’appunto, visto che da qui sono partite alcune delle navi prese di mira dai razzi degli Houthi nel Mar Rosso. Il porto lavora a pieno ritmo, almeno per quanto ne pu� capire un profano come me. Avvisto a occhio nudo una sola nave militare al largo, della Guardia costiera. Le misure di sicurezza per entrare nella cinta portuale sono serie, ma non impediscono le visite da parte di un giornalista come me. Lo devo anche all’intercessione di Stefano Messina, armatore genovese la cui societ� ha un’antica storia qui, un secolo di attivit� da queste parti. Ho incontri riservati con le autorit� portuali. Tutto avviene sotto la regola off-the-record: la loro insistenza perch� non usi n� i nomi n� le virgolette � un segnale di tensione.  

Calo del traffico �trans-shipment�: cosa vuol dire

Correggono subito la mia impressione inesperta: il porto in realt� subisce un forte calo nel volume dei container che fanno il cosiddetto �trans-shipment�. � quel traffico merci che interessa in particolare l’Italia e altri paesi mediterranei: i container arrivano su nave dalla Cina o altri paesi asiatici; vengono trasbordati dalla nave che ha compiuto quella prima tratta, su un’altra che prosegue per il ramo settentrionale del Mar Rosso, attraversa il Canale di Suez, e arriva nel Mediterraneo per approdare a Genova o Trieste, Atene o Marsiglia o Barcellona.

Oppure il percorso in senso inverso, per le esportazioni italiane ed europee dirette verso l’Indo-Pacifico e l’Estremo Oriente. Il calo in questo traffico � dovuto al fatto che gli attacchi di Houthi alle navi costringono molte compagnie marittime a scegliere l’itinerario pi� lungo che circumnaviga l’Africa, tagliando fuori il Mar Rosso e spesso anche il Mediterraneo. In parte, ma solo in parte, questo calo di container dovuto al dirottamento del �trans-shipment� intercontinentale � compensato dall’aumento del traffico che ha origine o destinazione nella stessa Arabia Saudita: un’economia in pieno boom.   

Attacchi selettivi degli Houthi e Arabia defilata

La tranquillit� di Jeddah ha diverse spiegazioni, inclusa la posizione molto defilata che questo paese assume rispetto agli interventi militari americani contro le basi Houthi. L’Arabia li ha combattuti per nove anni. Poi, sotto la pressione di americani ed europei, ha effettuato una de-escalation di quel conflitto armato. Ora sta alla finestra mentre altri sono costretti a operazioni di polizia per garantire la sicurezza della navigazione: questa sua �pseudo-neutralit� � anche una forma di sottile e implicita protesta nei confronti dell’Occidente accusato di avere sottovalutato gli Houthi e soprattutto l’Iran. Sta di fatto che poich� l’Arabia non partecipa ai raid americani le sue navi finora non sono state colpite da razzi �made in Iran� lanciati dagli Houthi. Questi ultimi garantiscono l’immunit� ai paesi arabi se (a loro avviso) sostengono la causa palestinese; l’immunit� dai razzi Houthi si estende a Cina e Russia.  

Un porto all’avanguardia. Tutto �made in China�

� alla Cina che voglio arrivare. Il porto di Jeddah colpisce per la sua modernit�. Sta facendo passi da gigante verso un’automazione quasi completa. I �portuali� di una volta sono scomparsi, invisibili. Le navi �King Kong�, pachidermi carichi di file e colonne di container, accostano alla banchina grazie a sistemi di pilotaggio e controllo digitalizzati. Il carico o scarico dei container � affidato a gigantesche gru dirette quasi del tutto a distanza, da una �control room� che sembra una sala di videogiochi. O il comando delle missioni paziali della Nasa.

La robotizzazione � cos� avanzata che perfino il manovratore-controllore in cima alla maxi-gru scompare in quanto viene sostituito da un tecnico, o una donna-tecnica (dettaglio non scontato qui) che lavora in un bell’ufficio con tutti i comfort, manovrando dei joy-stick e delle tastiere di computer davanti a schermi giganteschi. La Cina c’entra eccome: quasi tutti i macchinari che vedo in questo porto sono cinesi. Le maxi-gru comandate a distanza, e tante altre macchine qui all’opera per spostare container. Perfino molti dei computer nella sala di controllo sono cinesi, o taiwanesi. � americano solo il software digitale che centralizza il controllo di tutte le operazioni portuali. Lo hardware � tutto cinese e si tratta di macchine molto sofisticate: una sola gru costa dieci milioni.

Ce ne sono dozzine sulle banchine del porto. I cinesi le hanno trasportate fin qui gi� montate, intere e pronte per l’uso, su navi apposite. I cinesi hanno lasciato qui dei tecnici per garantire formazione del personale locale, assistenza e manutenzione. Di europeo sono rimaste alcune compagnie di navigazione come appunto Messina, l’altra italiana che � Msc, la danese Maersk, la tedesca Hapag-Lloyd.  Fare a meno della Cina? Che ci piaccia o no, visto da qui sembra semplicemente impossibile. Ci sono cose che noi non produciamo pi� da cos� tanto tempo che reindustrializzarci a 360 gradi � un’impresa improbabile. La Cina produce spesso a costi inferiori, talvolta a qualit� superiore, o perfino entrambe.   

Lo stesso vale per le energie rinnovabili

Non � la prima volta che questa constatazione mi assale nel corso di questo viaggio. Ho visitato delle centrali di energia solare della societ� AcwaPower, che ha un chief executive italiano, Mario Arcelli. L� � tutto cinese, dai pannelli solari ai robot che li puliscono. Ho visitato un impianto di desalinizzazione dell’acqua, sempre gestito da Acwa Power. In quella sofisticata fabbrica di acqua pulita, le membrane speciali che fungono da filtro sono giapponesi, tutte le altre macchine sono cinesi. Noi quella roba non la produciamo, o abbiamo smesso di produrla, magari perch� le nostre aziende del settore sono fallite sotto la pressione della concorrenza cinese aiutata da sussidi pubblici.

In certi settori legati alla sostenibilit� noi abbiamo lasciato che i nostri Paesi diventassero un deserto industriale; ripopolarlo di aziende � una fatica titanica. Tra l’altro ci mancano operai e ingegneri, quand’anche rinascano le fabbriche... Fare a meno della Cina, o almeno ridurre la nostra dipendenza esclusiva? I sauditi mi guardano come un marziano se gli pongo il problema. Pensano che non ho capito in quale mondo e in quale epoca vivo. Visto da qui tutto ci� che sta facendo Biden per reindustrializzare l’America � un esperimento interessante ma abbastanza marginale, rispetto all’onnipresenza del �made in China� in tutto ci� che mi circonda.     

Perch� il prezzo del petrolio non va alle stelle

La questione cinese � dominante pure in negativo, per capire l’andamento del prezzo del petrolio e del gas. Il greggio rimane la principale esportazione saudita, almeno per adesso. Il principale acquirente � la Cina, massimo consumatore mondiale di energie fossili. La ragione numero uno per cui la tensione militare nel Mar Rosso non ha provocato un’impennata nei prezzi energetici? � la debolezza dell’economia cinese, che deprime la domanda proveniente dal primo mercato mondiale. In secondo luogo c’� una ripresa di estrazione ed esportazione dagli Stati Uniti, sia di petrolio che (ancor pi�) di shale gas. Ma la centralit� della Cina non si discute, se la sua economia non corre come prima, neanche i razzi degli Houthi riescono a condizionare il mercato globale. 

20 gennaio 2024, 16:07 - modifica il 20 gennaio 2024 | 16:07

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