Комментарии 0
...комментариев пока нет
Tutte le colpe e tutti gli errori dell’America, visti dall’Arabia Saudita
Gli Houthi �povere vittime di abusi�? In Occidente fino a qualche tempo fa molti li descrivevano cos�. L’Arabia Saudita, che tent� invano di piegarli quando conquistarono la capitale dello Yemen, fu subissata di critiche da parte dell’America e dell’Europa. Ora i sauditi aggiungono anche questo a un lungo elenco di errori dell’Occidente, che li ha resi sempre pi� scettici sulla nostra affidabilit�. Tanto da costringerli a rivolgersi �altrove�.
Una prospettiva araba sulla crisi attuale la ascolto a Riad, nella prima tappa del mio lungo viaggio nell’area de Golfo e del Mar Rosso. Sono invitato a parlare al pi� importante think tank saudita di geopolitica, il Gulf Research Center diretto da Abdulaziz Sager, uno dei pi� influenti consiglieri del principe Mohammed bin Salman (MbS) in politica estera. The European House-Ambrosetti mi ha introdotto, il mio ruolo come relatore � raccontare l’Arabia saudita vista dagli altri (America, Europa, Cina). Il parterre, quasi tutto saudita, include una folta rappresentanza di autorit� governative, esperti accademici, imprenditori, giornalisti: sono loro a farmi il controcanto, dandomi la loro versione dei fatti. Senza sconti. A volte con aperto risentimento. Viva la sincerit�.
Il principale imputato, nella versione saudita, � l’America. Secondo loro in Medio Oriente ha sbagliato tanto: quasi sempre, quasi tutto. Soprattutto nei rapporti con loro, alleato fedele e spesso tradito. Concentrano le loro critiche sull’America non perch� dell’Europa abbiano un’opinione migliore. Anzi. Semplicemente giudicano l’Europa quasi irrilevante, inconsistente, o troppo spesso succube e allineata sulle posizioni di Washington. Quel che segue � quindi un riassunto della visione araba sulla crisi attuale e i suoi antefatti, come l’ho ascoltata nel vivace dibattito con i miei interlocutori di Riad. Vi espongo le loro tesi, che troppo spesso sono ignorate o fraintese in Occidente; ci� non significa che io le condivida, anzi in certi casi gliele ho contestate in diretta. Per� la loro ricostruzione degli eventi merita qualche attenzione, anche perch� alcuni di questi eventi li abbiamo sottovalutati, o dimenticati del tutto.
Il nostro voltafaccia sugli Houthi � l’ultimo nell’ordine cronologico. Prima li abbiamo difesi – politicamente e per ragioni umanitarie – mettendo sotto pressione i sauditi e i loro alleati. Forse qualche pezzo di opinione pubblica occidentale ha scambiato gli Houthi per una minoranza etnica oppressa: no, il nome Houthi � quello del loro capo; � una milizia violenta che oggi controlla lo Yemen pi� del suo governo ufficiale; ha armamenti sofisticati grazie all’Iran; si erge a protettrice della causa palestinese perch� questo � un classico di tutti i regimi islamici dispotici incapaci di fornire progresso economico e sociale alle popolazioni. Joe Biden poco dopo essere stato eletto depenn� gli Houthi dalla lista delle organizzazioni terroristiche da sanzionare. Oggi una piccola armata occidentale a guida americana sta bombardando le loro basi, dopo che i razzi lanciati dallo Yemen hanno preso di mira navi di oltre cinquanta nazioni, minacciando la sicurezza della navigazione e il commercio mondiale. Biden si � rimangiato il suo gesto del 2021: ha appena deciso di rimettere gli Houthi nell’elenco dei gruppi terroristici. L’Europa anche qui fa figura di comparsa, segue come un’ombra l’America: prima fece pressioni sulla coalizione araba (sauditi, Emirati, Bahrain), arrivando a un embargo sulle forniture di armi, per proteggere gli Houthi. Oggi l’Europa � la prima vittima della crisi del Mar Rosso e le sue navi militari appoggiano i raid americani. Non d� una grande prova di lucidit� n� di coerenza.
Le critiche degli arabi risalgono molto pi� indietro. Senza rifare l’intera storia della questione israelo-palestinese dalle origini, i miei interlocutori si concentrano sulle tre ultime presidenze americane. Quella di Barack Obama � stata secondo loro un vero disastro; devo ammettere che anche negli Stati Uniti la politica estera del periodo 2009-2016 � stata oggetto di un esame severo, generalmente seguito da un �downgrading� o declassamento impietoso. Alcuni degli errori li ha riconosciuti a posteriori lo stesso Obama nei suoi libri (ma non abbastanza). Altri fanno parte di una visione critica diffusa anche tra gli esperti americani di queste cose. Sentirli elencati a Riad fa comunque una certa impressione, perch� mette in una luce diversa questo regno e le scelte fatte dal principe MbS.
La guerra della Nato in Libia nel 2011 segna l’inizio degli sbagli catastrofici di Obama. In quel caso il presidente si fece trascinare da Sarkozy e Cameron per� senza di lui Francia e Regno Unito non avrebbero avuto la forza di intervenire. Quell’errore matura nel contesto di un generale fraintendimento delle Primavere arabe scoppiate nello stesso anno. Obama forse si era illuso di aver contribuito a quei sommovimenti con il suo discorso di apertura all’Islam pronunciato all’Universit� del Cairo nel 2009. Parlando agli studenti egiziani aveva voluto segnare un distacco dai due mandati di George W. Bush in cui la “guerra al terrore” era stata accusata di alimentare uno �scontro di civilt� all’insegna dell’islamofobia. Nelle Primavere arabe Obama, intriso di tecno-ottimismo e impressionato positivamente dal ruolo dei social media, vide il preludio a una svolta verso la democrazia. La decisione di rovesciare Gheddafi era coerente con quella di mollare Mubarak in Egitto, voltando le spalle a un vecchio alleato. Il seguito lo conosciamo: il dopo-Gheddafi non � stato all’insegna della democrazia bens� dell’anarchia feroce e della guerra tribale, destabilizzando l’intero Mediterraneo (vedi la questione migranti, tra l’altro). In Egitto il dopo-Mubarak ha visto trionfare il fondamentalismo dei Fratelli musulmani. L’infatuazione degli occidentali verso le rivolte di piazza � oggetto di una critica feroce da parte della monarchia saudita: convinta che �la piazza� spesso si rivela pi� reazionaria, oscurantista e intollerante di certi autocrati illuminati. � una storia che si ripete a partire dal grande equivoco del 1979, quando tanta parte dell’Occidente inneggi� alla rivoluzione khomeinista in Iran, salvo scoprire che avrebbe costretto il paese a un arretramento tremendo perfino rispetto allo Sci�.
L’elenco degli errori di Obama che paghiamo ancora oggi prosegue. In Siria lui lanci� un ultimatum al regime di Assad annunciando che la linea rossa da non varcare era l’uso di armi chimiche contro la popolazione civile; Assad le us� e Obama non fece niente. Perdita di credibilit�, che si sarebbe ripetuta sotto Joe Biden con la d�bacle della ritirata dall’Afghanistan nell’estate 2021 (decisione giusta, realizzata in modo catastrofico).
Su tutti – dal punto di vista saudita – spicca l’abominevole accordo sul nucleare iraniano. �L’America di Obama lo negozi� alle nostre spalle, tagliandoci fuori�, dicono i miei interlocutori sauditi. Obama privilegi� la ricostruzione di un rapporto diplomatico con l’inaffidabile teocrazia degli ayatollah, sacrificando l’alleanza storica con la monarchia saudita. Forse s’illudeva di passare alla storia ricucendo la grande frattura del 1979 America-Iran. Un tradimento, cos� � stato vissuto dai sauditi, che fin da principio avevano riserve enormi su quell’accordo. Peraltro anche all’interno degli Stati Uniti, e non solo in campo repubblicano, quell’intesa con l’Iran (che coinvolgeva tra i firmatari l’Unione europea, la Russia e la Cina) veniva considerata debole. Troppo limitata nel tempo, inadeguata nelle garanzie, oltre a non coprire l’attivit� missilistica di Teheran e il suo supporto a milizie terroristiche. Nella crescente aggressivit� dell’Iran di questi giorni, con i lanci di missili in Pakistan, Irak, Siria, si pu� anche vedere un segno di debolezza, disperazione o isolamento; forse � pi� realistico invece accostare l’escalation iraniana al comportamento di Kim Jong-Un: la convinzione dell’impunit� tipica di chi si sente ormai una potenza nucleare o quasi, quindi in possesso del deterrente assoluto.
I sauditi sono duri con Obama per� non risparmiano Donald Trump. Per tanti aspetti il loro rapporto con Trump fu assai migliore. Ne conservo un ricordo personale: viaggiavo al seguito dell’Air Force One nella storica visita di Stato che Trump fece qui a Riad nel 2017. Grande sintonia, contratti miliardari per forniture di armi, feste sontuose nel Ritz-Carlton, coronate dalla celebre �danza delle sciabole�. Tuttavia pure Trump li deluse. Nel 2019 gli Houthi con l’appoggio dell’Iran riuscirono a sferrare dei colpi micidiali contro alcune delle pi� importanti infrastrutture petrolifere sauditee. Fu un attacco spettacolare, coronato dal successo, e con danni seri agli impianti energetici. L’America di Trump non fece nulla.
Qui si potrebbe obiettare che i sauditi, con quel che spendono in armamenti, dovrebbero essere in grado di difendere da soli le proprie infrastrutture pi� strategiche. Evidentemente l’ammontare della spesa militare non sempre si traduce in efficacia ed efficienza. Resta che visto da Riad l’immobilismo dello storico alleato americano in quel frangente fu una tremenda delusione. Alcuni dei miei interlocutori sauditi fanno risalire a quell’evento l’inizio di una nuova fase nella politica estera di Riad, molto pi� aperta ai rapporti con la Russia e con la Cina.
Il voltafaccia di Biden e dell’Europa sugli Houthi � l’ultimo episodio di una serie di errori e incoerenze. Prima i sauditi si sono trovati sotto pressione internazionale perch� combattevano gli Houthi; oggi qualcuno gli rinfaccia di starsene fuori dalla coalizione militare a guida americana nel Mar Rosso. L’assenza di un contributo militare saudita � significativa: dopotutto, i raid angloamericani stanno difendendo la sicurezza di navigazione nel Mar Rosso dove il porto principale � saudita, Jeddah, e ci sono anche importanti terminali dell’Aramco (la compagna energetica saudita) per le superpetroliere. Per� gli Houthi finora hanno attaccato navi di 50 nazioni, e nessuna di questa era saudita (o cinese). Dopo tante delusioni ricevute dall’Occidente, MbS ha inaugurato una sua realpolitik anche verso gli Houthi, negoziando con loro delle forme di de-escalation nel conflitto bilaterale. Di fatto l’Arabia saudita si � messa in una posizione pi� defilata. Pu� darsi che la non-ostilit� degli Houthi nei suoi confronti sia precaria o provvisoria. Finch� dura, per MbS � un’altra prova che la politica estera va gestita in autonomia anzich� allineata con l’Occidente.
Su quel che fanno oggi gli Stati Uniti, uno dei suoi consiglieri mi ricicla la storica battuta del premier britannico Winston Churchill: “Possiamo essere sicuri che l’America far� sempre la scelta giusta, dopo aver provato tutte quelle sbagliate”.
Una prospettiva araba sulla crisi attuale la ascolto a Riad, nella prima tappa del mio lungo viaggio nell’area de Golfo e del Mar Rosso. Sono invitato a parlare al pi� importante think tank saudita di geopolitica, il Gulf Research Center diretto da Abdulaziz Sager, uno dei pi� influenti consiglieri del principe Mohammed bin Salman (MbS) in politica estera. The European House-Ambrosetti mi ha introdotto, il mio ruolo come relatore � raccontare l’Arabia saudita vista dagli altri (America, Europa, Cina). Il parterre, quasi tutto saudita, include una folta rappresentanza di autorit� governative, esperti accademici, imprenditori, giornalisti: sono loro a farmi il controcanto, dandomi la loro versione dei fatti. Senza sconti. A volte con aperto risentimento. Viva la sincerit�.
Il principale imputato, nella versione saudita, � l’America. Secondo loro in Medio Oriente ha sbagliato tanto: quasi sempre, quasi tutto. Soprattutto nei rapporti con loro, alleato fedele e spesso tradito. Concentrano le loro critiche sull’America non perch� dell’Europa abbiano un’opinione migliore. Anzi. Semplicemente giudicano l’Europa quasi irrilevante, inconsistente, o troppo spesso succube e allineata sulle posizioni di Washington. Quel che segue � quindi un riassunto della visione araba sulla crisi attuale e i suoi antefatti, come l’ho ascoltata nel vivace dibattito con i miei interlocutori di Riad. Vi espongo le loro tesi, che troppo spesso sono ignorate o fraintese in Occidente; ci� non significa che io le condivida, anzi in certi casi gliele ho contestate in diretta. Per� la loro ricostruzione degli eventi merita qualche attenzione, anche perch� alcuni di questi eventi li abbiamo sottovalutati, o dimenticati del tutto.
Il nostro voltafaccia sugli Houthi � l’ultimo nell’ordine cronologico. Prima li abbiamo difesi – politicamente e per ragioni umanitarie – mettendo sotto pressione i sauditi e i loro alleati. Forse qualche pezzo di opinione pubblica occidentale ha scambiato gli Houthi per una minoranza etnica oppressa: no, il nome Houthi � quello del loro capo; � una milizia violenta che oggi controlla lo Yemen pi� del suo governo ufficiale; ha armamenti sofisticati grazie all’Iran; si erge a protettrice della causa palestinese perch� questo � un classico di tutti i regimi islamici dispotici incapaci di fornire progresso economico e sociale alle popolazioni. Joe Biden poco dopo essere stato eletto depenn� gli Houthi dalla lista delle organizzazioni terroristiche da sanzionare. Oggi una piccola armata occidentale a guida americana sta bombardando le loro basi, dopo che i razzi lanciati dallo Yemen hanno preso di mira navi di oltre cinquanta nazioni, minacciando la sicurezza della navigazione e il commercio mondiale. Biden si � rimangiato il suo gesto del 2021: ha appena deciso di rimettere gli Houthi nell’elenco dei gruppi terroristici. L’Europa anche qui fa figura di comparsa, segue come un’ombra l’America: prima fece pressioni sulla coalizione araba (sauditi, Emirati, Bahrain), arrivando a un embargo sulle forniture di armi, per proteggere gli Houthi. Oggi l’Europa � la prima vittima della crisi del Mar Rosso e le sue navi militari appoggiano i raid americani. Non d� una grande prova di lucidit� n� di coerenza.
Le critiche degli arabi risalgono molto pi� indietro. Senza rifare l’intera storia della questione israelo-palestinese dalle origini, i miei interlocutori si concentrano sulle tre ultime presidenze americane. Quella di Barack Obama � stata secondo loro un vero disastro; devo ammettere che anche negli Stati Uniti la politica estera del periodo 2009-2016 � stata oggetto di un esame severo, generalmente seguito da un �downgrading� o declassamento impietoso. Alcuni degli errori li ha riconosciuti a posteriori lo stesso Obama nei suoi libri (ma non abbastanza). Altri fanno parte di una visione critica diffusa anche tra gli esperti americani di queste cose. Sentirli elencati a Riad fa comunque una certa impressione, perch� mette in una luce diversa questo regno e le scelte fatte dal principe MbS.
La guerra della Nato in Libia nel 2011 segna l’inizio degli sbagli catastrofici di Obama. In quel caso il presidente si fece trascinare da Sarkozy e Cameron per� senza di lui Francia e Regno Unito non avrebbero avuto la forza di intervenire. Quell’errore matura nel contesto di un generale fraintendimento delle Primavere arabe scoppiate nello stesso anno. Obama forse si era illuso di aver contribuito a quei sommovimenti con il suo discorso di apertura all’Islam pronunciato all’Universit� del Cairo nel 2009. Parlando agli studenti egiziani aveva voluto segnare un distacco dai due mandati di George W. Bush in cui la “guerra al terrore” era stata accusata di alimentare uno �scontro di civilt� all’insegna dell’islamofobia. Nelle Primavere arabe Obama, intriso di tecno-ottimismo e impressionato positivamente dal ruolo dei social media, vide il preludio a una svolta verso la democrazia. La decisione di rovesciare Gheddafi era coerente con quella di mollare Mubarak in Egitto, voltando le spalle a un vecchio alleato. Il seguito lo conosciamo: il dopo-Gheddafi non � stato all’insegna della democrazia bens� dell’anarchia feroce e della guerra tribale, destabilizzando l’intero Mediterraneo (vedi la questione migranti, tra l’altro). In Egitto il dopo-Mubarak ha visto trionfare il fondamentalismo dei Fratelli musulmani. L’infatuazione degli occidentali verso le rivolte di piazza � oggetto di una critica feroce da parte della monarchia saudita: convinta che �la piazza� spesso si rivela pi� reazionaria, oscurantista e intollerante di certi autocrati illuminati. � una storia che si ripete a partire dal grande equivoco del 1979, quando tanta parte dell’Occidente inneggi� alla rivoluzione khomeinista in Iran, salvo scoprire che avrebbe costretto il paese a un arretramento tremendo perfino rispetto allo Sci�.
L’elenco degli errori di Obama che paghiamo ancora oggi prosegue. In Siria lui lanci� un ultimatum al regime di Assad annunciando che la linea rossa da non varcare era l’uso di armi chimiche contro la popolazione civile; Assad le us� e Obama non fece niente. Perdita di credibilit�, che si sarebbe ripetuta sotto Joe Biden con la d�bacle della ritirata dall’Afghanistan nell’estate 2021 (decisione giusta, realizzata in modo catastrofico).
Su tutti – dal punto di vista saudita – spicca l’abominevole accordo sul nucleare iraniano. �L’America di Obama lo negozi� alle nostre spalle, tagliandoci fuori�, dicono i miei interlocutori sauditi. Obama privilegi� la ricostruzione di un rapporto diplomatico con l’inaffidabile teocrazia degli ayatollah, sacrificando l’alleanza storica con la monarchia saudita. Forse s’illudeva di passare alla storia ricucendo la grande frattura del 1979 America-Iran. Un tradimento, cos� � stato vissuto dai sauditi, che fin da principio avevano riserve enormi su quell’accordo. Peraltro anche all’interno degli Stati Uniti, e non solo in campo repubblicano, quell’intesa con l’Iran (che coinvolgeva tra i firmatari l’Unione europea, la Russia e la Cina) veniva considerata debole. Troppo limitata nel tempo, inadeguata nelle garanzie, oltre a non coprire l’attivit� missilistica di Teheran e il suo supporto a milizie terroristiche. Nella crescente aggressivit� dell’Iran di questi giorni, con i lanci di missili in Pakistan, Irak, Siria, si pu� anche vedere un segno di debolezza, disperazione o isolamento; forse � pi� realistico invece accostare l’escalation iraniana al comportamento di Kim Jong-Un: la convinzione dell’impunit� tipica di chi si sente ormai una potenza nucleare o quasi, quindi in possesso del deterrente assoluto.
I sauditi sono duri con Obama per� non risparmiano Donald Trump. Per tanti aspetti il loro rapporto con Trump fu assai migliore. Ne conservo un ricordo personale: viaggiavo al seguito dell’Air Force One nella storica visita di Stato che Trump fece qui a Riad nel 2017. Grande sintonia, contratti miliardari per forniture di armi, feste sontuose nel Ritz-Carlton, coronate dalla celebre �danza delle sciabole�. Tuttavia pure Trump li deluse. Nel 2019 gli Houthi con l’appoggio dell’Iran riuscirono a sferrare dei colpi micidiali contro alcune delle pi� importanti infrastrutture petrolifere sauditee. Fu un attacco spettacolare, coronato dal successo, e con danni seri agli impianti energetici. L’America di Trump non fece nulla.
Qui si potrebbe obiettare che i sauditi, con quel che spendono in armamenti, dovrebbero essere in grado di difendere da soli le proprie infrastrutture pi� strategiche. Evidentemente l’ammontare della spesa militare non sempre si traduce in efficacia ed efficienza. Resta che visto da Riad l’immobilismo dello storico alleato americano in quel frangente fu una tremenda delusione. Alcuni dei miei interlocutori sauditi fanno risalire a quell’evento l’inizio di una nuova fase nella politica estera di Riad, molto pi� aperta ai rapporti con la Russia e con la Cina.
Il voltafaccia di Biden e dell’Europa sugli Houthi � l’ultimo episodio di una serie di errori e incoerenze. Prima i sauditi si sono trovati sotto pressione internazionale perch� combattevano gli Houthi; oggi qualcuno gli rinfaccia di starsene fuori dalla coalizione militare a guida americana nel Mar Rosso. L’assenza di un contributo militare saudita � significativa: dopotutto, i raid angloamericani stanno difendendo la sicurezza di navigazione nel Mar Rosso dove il porto principale � saudita, Jeddah, e ci sono anche importanti terminali dell’Aramco (la compagna energetica saudita) per le superpetroliere. Per� gli Houthi finora hanno attaccato navi di 50 nazioni, e nessuna di questa era saudita (o cinese). Dopo tante delusioni ricevute dall’Occidente, MbS ha inaugurato una sua realpolitik anche verso gli Houthi, negoziando con loro delle forme di de-escalation nel conflitto bilaterale. Di fatto l’Arabia saudita si � messa in una posizione pi� defilata. Pu� darsi che la non-ostilit� degli Houthi nei suoi confronti sia precaria o provvisoria. Finch� dura, per MbS � un’altra prova che la politica estera va gestita in autonomia anzich� allineata con l’Occidente.
Su quel che fanno oggi gli Stati Uniti, uno dei suoi consiglieri mi ricicla la storica battuta del premier britannico Winston Churchill: “Possiamo essere sicuri che l’America far� sempre la scelta giusta, dopo aver provato tutte quelle sbagliate”.