10 mila sonnellini da pinguini Cop28: 100 milioni dall’Italia America-Cina di oggi

America-Cina Il Punto | La newsletter del Corriere della Sera
testata
Venerdì 1 dicembre 2023
I sonni dei pinguini, i milioni dell’Italia
editorialista di michele farina

Alla Cop28 l’Italia fa bella figura promettendo un contributo record di 100 milioni di euro per il Fondo perdite e danni sul clima. Che il riscaldamento globale sia una cosa dannatamente seria lo sanno pure i pinguini del Polo Sud (tra un sonnellino e l’altro: ne fanno diecimila al giorno, come scoprite in fondo alla newsletter).

Il viaggio di oggi parte dalla guerra Israele-Hamas, che è ricominciata questa mattina. Passa da un tunnel tra Russia e Cina, si infila nelle cucine del Cremlino e in quelle delle scuole americane in piena emergenza latte, sbuca a Taiwan e tra i 4.789 profili cinesi che su Facebook si fingevano americani, ricorda un fotografo di quelli grandi grandi, parla di un sindacalista che va «all’attacco» di 13 case automobilistiche. Prima di lasciarvi a un auspicato micro letargo da fine settimana.

Buona lettura.

La newsletter America-Cina è uno dei tre appuntamenti de «Il Punto» del Corriere della Sera. Potete registrarvi qui e scriverci all’indirizzo: americacina@corriere.it.

1. La fine della tregua
editorialista
di lorenzo cremonesi
inviato a Gerusalemme

Finita la tregua tra Israele e Hamas: questa mattina, attorno alle sei locali, l’organizzazione islamica ha iniziato a sparare razzi dalla striscia di Gaza mentre i jet e le artiglierie israeliane riprendevano i bombardamenti.

imageA Gaza questa mattina (Atef Safadi)

  • Il cessate il fuoco è durato sette giorni, durante i quali sono stati liberati 83 ostaggi israeliani, inclusi alcuni con la doppia cittadinanza, oltre a 23 lavoratori thailandesi e un filippino. Secondo il governo Netanyahu mancano ancora all’appello almeno 125 uomini. Il numero totale degli ostaggi catturati durante il sanguinoso pogrom del 7 ottobre era stato indicato attorno a 240-50. Nel contempo, sono stati liberati 240 prigionieri palestinesi, per lo più minorenni e donne. Israele detiene al momento oltre 7.000 palestinesi, di cui oltre 2.000 catturati negli ultimi due mesi.
  • Fallisce così la mediazione americana e del Qatar. Il governo Netanyahu, pur fortemente criticato per non aver saputo prevenire l’attacco di Hamas e in generale di aver sottovalutato il pericolo costituito dall’organizzazione islamica fondamentalista, sa comunque di avere un forte consenso popolare nel suo programma dichiarato di «distruggere Hamas militarmente e politicamente». Si apre adesso una fase difficilissima e tragica per i circa due milioni e 300 mila palestinesi abitanti nella Striscia. Israele all’inizio delle operazioni militari aveva ordinato si concentrassero nel sud verso il confine con l’Egitto. Secondo il ministero della Sanità controllato da Hamas, sino all’inizio della tregua i morti palestinesi erano già stati oltre 13.500. Ma adesso i comandi israeliani intendono allargare le operazioni di terra verso Khan Yunis nel centro e su Rafah nel sud. Qiesta mattina i giornalisti palestinesi a Gaza segnalavano la gravità dei nuovi bombardamenti che hanno colpito anche alcuni palazzi (qui tutti gli aggiornamenti in diretta).
2. Gli ostaggi, la folla e l’umiliazione
editorialista
di davide frattini
inviato a Tel Aviv

Elmetto e giubbotto antiproiettile, Benjamin Netanyahu visita domenica scorsa il nord della Striscia di Gaza. La tregua sta ancora tenendo, il rilascio a rilento degli ostaggi va avanti. Quello stesso giorno, dopo il tramonto, i capi di Hamas decidono di modificare il tragitto dei prigionieri verso la libertà, la consegna alla Croce Rossa Internazionale avviene in una piazza di Gaza City, vogliono dimostrare al primo ministro israeliano e al suo consiglio di guerra di avere ancora il controllo di quel territorio.

  • Il passaggio alle donne e uomini del soccorso avviene in mezzo ad ali di folla, palestinesi che riprendono la scena con i telefonini, urlano «Allah Akbar». Per i famigliari che aspettano dall’altra parte della barriera è il segno dell’ultima umiliazione, un altro abuso. Come racconta un giornalista locale dalla Striscia: «I miliziani e la gente sono apparsi allo stesso momento nel luogo dove si è combattuto, una dimostrazione di forza»... (qui l’articolo completo).
3. L’attacco di Hamas? Israele sapeva da un anno
editorialista
di guido olimpio

Dal 7 ottobre abbiamo appreso: l’intelligence militare israeliana, da oltre un anno, aveva il piano del possibile attacco di Hamas, nei dettagli. E aveva avvisato vertici politici su rischi di un nuovo conflitto. Soldati – in particolare un’unità composta da donne – che monitoravano palestinesi avevano lanciato un allarme ai primi di luglio dopo aver osservato attività «anomale» dall’altra parte del muro.

imageBase colpita nello Yemen

  • Di fatto mancava solo la data dell’assalto. I vertici hanno però sottovalutato i segnali, giudicando improbabile un’azione in grande stile di Hamas. È tuttavia prudente attendere ancora per arrivare a verdetti, possibili altre rivelazioni.
  • Attenzione sempre allo Yemen. Ieri c’è stato un raid non rivendicato contro una base degli Houthi filoiraniani. Gli Usa hanno negato qualsiasi coinvolgimento, sospetti su Israele (però non vi sono certezze). Lo strike potrebbe essere una rappresaglia a provocazioni ed attacchi da parte della milizia. Oggi il movimento ha minacciato di lanciare attacchi massicci.
4. Le divisioni alla Casa Bianca (e tra gli elettori)
editorialista
di viviana mazza
corrispondente da New York

Dalla collina del Campidoglio, i parlamentari democratici osservano la delusione crescente di un blocco importante di giovani elettori per la gestione della guerra Israele-Hamas. E non sanno bene cosa fare. Il partito si sta scontrando sulla proposta di vincolare Israele al rispetto di alcune condizioni, in cambio dei 14,3 miliardi di dollari di emergenza chiesti al Congresso dalla Casa Bianca per lo Stato ebraico.

imageJoe Biden ieri a Nantucket

  • Il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan ha incontrato martedì una ventina di senatori democratici. Guidati da Chris Van Hollen del Maryland, non si oppongono agli aiuti a Israele, ma vogliono che includano assistenza umanitaria per Gaza e un piano del premier Netanyahu «per ridurre l’inaccettabile numero di vittime civili a Gaza». Altri nel partito controbattono che l’amministrazione Biden sta già facendo abbastanza. I manifestanti accampati davanti alle case di leader della sinistra come Bernie Sanders e John Fetterman non sono riusciti a convincerli a supportare il cessate il fuoco (finora lo hanno fatto tre senatori e 18 deputati dem), ma, a riprova delle divisioni, Sanders appoggia le «condizioni» per gli aiuti, Fetterman no.
  • Intanto i repubblicani dipingono i dubbi come un tentativo di «legare le mani ai soldati israeliani». Il problema riguarda anche la rielezione di Biden nel 2024. Un sondaggio Nbc mostra che la maggioranza degli elettori dai 65 anni in su approva la sua gestione della guerra, il 70% dei giovani la critica. In Stati in bilico come il Michigan Biden ha perso l’appoggio dell’elettorato arabo-americano. Il 7 ottobre la Casa Bianca ha dichiarato che non avrebbe stabilito «linee rosse». Dopo il Ringraziamento, Biden ha detto che l’idea di condizioni legate agli aiuti militari «è qualcosa cui è utile pensare». Ma ha aggiunto: «Se avessi iniziato così, non saremmo arrivati lontano». L’altro ieri un suo tweet era stato letto da alcuni come un endorsement del cessate il fuoco: «Continuare sulla strada del terrore, della violenza, delle uccisioni è dare ad Hamas ciò che vuole».
  • Ma la Casa Bianca ha ridimensionato ribadendo l’appoggio totale a Israele. Il presidente, pur avendo avvertito Netanyahu che Israele non può condurre un’operazione nel Sud con la stessa forza usata nel Nord della Striscia, resta convinto dell’idea che «abbracciare» Israele sia il miglior modo per influenzare l’alleato, strategia diversa da quella di Obama, sempre più critico. Biden crede che la diplomazia stia funzionando, con la tregua per il rilascio degli ostaggi e gli aiuti a Gaza. Ma le divisioni, manifestate nella stessa Casa Bianca da una ventina di dipendenti al capo dello staff Jeff Zients, mentre il post pro-palestinese pubblicato da un’alta funzionaria della Cia su Facebook ha sollevato polemiche, sono destinate ad aumentare con la ripresa dell’offensiva.
5. Il tunnel tra Cina e Russia (colpito dagli ucraini)
editorialista
di marta serafini
inviata a Dnipro

Il tunnel di Severomuysky è quello che collega la Russia alla Cina ed è una delle più importanti linea ferroviarie che transita attraverso la Buriazia, l’Estremo oriente russo al confine con la Mongolia. L’esplosione che lo ha colpito sarebbe il risultato di un’operazione del servizio di sicurezza ucraino (Sbu).

  • A sostenerlo è l’Ukrainska Pravda, che cita una fonte anonima del servizio di sicurezza ucraino. A confermare la notizia è anche la Reuters sempre sulla base di una fonte anonima delle Sbu, secondo cui «quattro ordigni esplosivi sono stati fatti esplodere durante la notte tra mercoledì e giovedì su un treno merci che si stava muovendo attraverso il tunnel nella regione della Buriazia, che confina con la Mongolia»... (qui l’articolo completo).
6. La gastro-diplomazia al Cremlino
editorialista
di matteo castellucci

Un vecchio adagio sull’epoca colonialista parla di confini tracciati «con squadra e compasso». Ma anche con coltello e forchetta, nel caso dell’Unione sovietica. L’ultimo libro dello scrittore polacco Witold Szablowski racconta la gastro-diplomazia del Cremlino, dall’età degli Zar a Putin. Tra gli esempi: a Yalta, nel 1945, Stalin convince gli alleati a colpi di caviale e champagne e, in patria, i suoi ricevimenti erano progettati per mettere in soggezione gli ospiti.

  • L’età aurea delle cene di Stato si tocca sotto Leonid Breznev e nel 1986, a un convivio con Gorbaciov, l’ex presidente Nixon è così impressionato far fotografare ogni portata. I cuochi dei leader sovietici erano parte del Kgb: tra loro il nonno di Putin. Gli chef sono anche le persone più vicine ai vertici del potere, si scopre così la predilezione per il gelato dell’attuale capo di Stato. Szablowski investiga anche il significato del cibo per le persone comuni: dall’Holodomor perpetrato da Mosca nel 1932-33 all’assedio dell’Azovstal nella guerra di oggi, passando per Chernobyl. «What’s Cooking in the Kremlin» al momento è uscito in inglese, ma sarà pubblicato in Italia da Keller, come le altre opere di Szablowski.
7. Facebook blocca 4.789 profili cinesi che si fingevano americani
editorialista
di guido santevecchi

La categoria «elettori ed elettrici» non esiste in Cina. Il gruppo dirigente del Partito-Stato viene selezionato con procedure interne oscure alla popolazione. Eppure, i cinesi si interessano e si eccitano per le elezioni altrui, cercano anche di influenzarle, con vari sistemi. Uno dei più diffusi è infilarsi nel dibattito socio-politico internazionale fingendosi cittadino di un altro Paese. Meta ha appena individuato e bloccato 4.789 profili cinesi che si spacciavano per americani per discutere dei temi della campagna elettorale in corso, che culminerà con il voto del primo martedì di novembre del 2024 dal quale uscirà il prossimo presidente degli Stati Uniti.

  • I falsi account si autoalimentavano l’uno con l’altro rilanciando e mettendo «mi piace» ai loro post. Secondo l’indagine di Facebook, i temi degli interventi dei cinesi finti americani sono sempre quelli più divisivi: aborto, questioni razziali, guerra e aiuto all’Ucraina. Non quindi un sostegno diretto a questo o quel candidato nella corsa alla Casa Bianca, ma prese di posizione per alimentare la polemica interna ai social negli Stati Uniti e contribuire alla polarizzazione dell’opinione pubblica. Meta non ha attribuito il gioco clandestino a una campagna coordinata dal governo di Pechino, ma ha osservato che la Cina è il terzo Paese di origine di queste reti di influenza oscure dopo Russia e Iran. Finora, i 4.789 account con radici in Cina ma camuffati da semplici utenti americani di Facebook non hanno sparso contenuti palesemente falsi. Hanno piuttosto rilanciato commenti su questioni controverse postati da politici americani del campo democratico o repubblicano (ma senza citarli).
  • Secondo gli analisti è ipotizzabile che la strategia prevedesse che dopo una fase di preparatoria dedicata alla costruzione di una base di follower, a ridosso del voto di novembre 2024 i finti account dovessero schierarsi, inserendo nei loro post falsità capaci di confondere ancora di più gli elettori americani.
8. Pechino e i viaggi scontati a politici taiwanesi

(Guido Santevecchi) I servizi di sicurezza di Taiwan stanno indagando su centinaia di viaggi «low cost» verso la Cina compiuti nelle ultime settimane da politici e amministratori dell’isola. Secondo informazioni raccolte dall’agenzia Reuters a Taipei, dietro questi tour c’è una campagna cinese per influire sul voto del 13 gennaio, quando i taiwanesi sceglieranno il nuovo presidente e rinnoveranno il loro parlamento.

  • La legge di Taiwan vieta ai candidati e alle loro macchine elettorali di ricevere fondi da «forze esterne ostili» (vale a dire la Cina). Ma secondo l’inchiesta, il piano per influenzare il risultato elettorale ha preso di mira non i candidati al parlamento di Taipei ma circa 400 politici impegnati sul territorio a livello di quartieri e villaggi nell’isola. Questi piccoli amministratori taiwanesi avrebbero preso il volo per la Cina e poi usufruito di soggiorni a prezzi scontati «a fini culturali». Dietro il favore ci potrebbe essere l’Ufficio per gli affari taiwanesi di Pechino. Si sospetta che il bel trattamento cinese serva a spingere gli amministratori a sensibilizzare gli abitanti dei loro distretti nella scelta del «candidato giusto» alle prossime elezioni.
  • Pechino dice che per Taiwan si tratta di «una decisione tra guerra e pace», il Partito-Stato ha tagliato ogni contatto con il governo di Taipei dal 2016, quando fu eletta presidente la signora Tsai Ing-wen, del Partito democratico popolare, che secondo Xi Jinping e compagni è indipendentista e secessionista. Dopo due mandati Tsai esce di scena, ma il suo partito ha designato come candidato l’attuale vicepresidente William Lai, considerato dai cinesi ancora più pericoloso per le loro aspirazioni di «riunificazione».
  • Ci si aspettano manovre sotterranee cinesi per influenzare il voto nell’isola a favore di candidati di opposizione considerati meno sgraditi a Pechino. «Questi tour di gruppo a prezzi ridotti fanno parte della campagna cinese di interferenza», ha detto alla Reuters un funzionario della sicurezza taiwanese. Il picco di inviti ad amministratori di quartieri e villaggi è stato rilavato a ottobre con circa 400, ma dall’inizio dell’anno le «vacanze di studio cinesi» hanno impegnato 1.000 piccoli politici. Secondo gli investigatori, costruire un caso giudiziario nei loro confronti è complesso: i pacchetti viaggio a prezzi molto scontati non sono riconducibili al governo cinese, ma formalmente offerti da agenzie turistiche private.
9. Conferenza sul clima, il giorno dei leader (l’Italia promette un contributo record)
editorialista
di sara gandolfi
inviata a Dubai

Contributo record dell’Italia al Fondo perdite e danni varato ieri a COP28. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha annunciato questa mattina un contributo da 100 milioni di euro, la cifra più alta finora messa a disposizione da un singolo Paese. Addirittura più dei 100 milioni di dollari promessi da Emirati Arabi e Germania.

  • Intanto la Conferenza è entrata nel vivo. «La scienza è chiara: il limite di 1.5° è sostenibile solo se smettiamo finalmente di bruciare tutti i combustibili fossili», il Segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha aperto così questa mattina i lavori alla COP28 di Dubai. Oggi è il primo giorno dei leader. Sul palco si susseguiranno fino a domani pomeriggio oltre cento capi di Stato e di governo. Assenti sia l’americano Biden sia il cinese Xi Jinping, tra gli oratori più attesi ci sono l’indiano Modi, che punta ad essere la voce del Global South e si è offerto di ospitare la COP nel 2028, il saudita Mohammed bin Salman e il brasiliano Lula.
  • La presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni parla in Sala plenaria alle 16,30 ora locale. Nel pomeriggio intervengono il presidente israeliano Isaac Herzog e il capo dell’Autorità palestinese Abu Mazen, a poche sessioni di distanza. A margine dei lavori, ci saranno diversi incontri sulla crisi a Gaza. Alla cerimonia d’apertura, il debutto di re Carlo III d’Inghilterra. «L’armonia con la natura deve essere mantenuta. La terra non ci appartiene», ha detto. Ma molte ong contestano al sovrano di essere uno dei più grandi latifondisti del pianeta.
  • Tutti confermano che la presidenza emiratina è molto attiva in incontri e negoziati (fin troppo per alcuni). Dopo aver varato ieri il Fondo per perdite e danni – continuano ad arrivare, seppure con il contagocce, nuovi contributi – oggi lo sceicco Mohamed bin Zayed al-Nahyane ha annunciato la creazione di «un fondo da 30 miliardi di dollari dedicato alle soluzioni climatiche». L’obiettivo è quello di raggiungere 250 miliardi di dollari entro il 2030.
  • Più pungente la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, che ha rilanciato l’idea di una carbon tax. Proposta condivisa, e ampliata, da Guterres: «Esorto i governi ad aiutare l’industria a fare la scelta giusta regolamentando, legiferando, fissando un prezzo equo per il carbonio, ponendo fine ai sussidi ai combustibili fossili e adottando un’imposta sugli extra-profitti».
  • Curiosità: una volta abituati alle lunghe vesti bianche di emiratini e sauditi – e alle lunghe vesti nere, da capo a piedi, delle donne – bisogna adattarsi anche alle ripetitive musiche arabe che preannunciano gli eventi sul sito ufficiale dell’UNFCC. La palma dell’eleganza, anche stavolta, all’indiano Modi.
10. La volpe a guardia del pollaio Cop28
editorialista
di luigi ippolito
corrispondente da Londra

È un po’ come mettere la volpe a guardia del pollaio: il presidente della Cop28 è Sultan Al Jaber, che è anche il capo dell’azienda petrolifera di Stato di Abu Dhabi, dunque uno dei maggiori inquinatori mondiali. Lui è stato accusato di usare la Conferenza per fare affari, cosa che nega.

imageSultan Al Jaber

  • Dottor Sultan ( così ama farsi chiamare , ndr), Greta Thunberg ha definito la sua nomina «assolutamente ridicola»: se lei avesse l’opportunità di incontrarla, cosa le direbbe? «Ho incontrato molti giovani attivisti durante lo scorso anno: la gioventù porta con sé un senso di passione di cui tutti abbiamo bisogno e i giovani sono una parte critica dell’ecosistema della Cop28.... (qui l’intervista completa).
11. Shawn Fain ci riprova (con 13 case automobilistiche)
editorialista
di massimo gaggi
da New York

Shawn Fain, l’elettricista divenuto leader dell’UAW, il sindacato Usa dell’auto, dopo aver strappato in pochi mesi un contratto storico alle tre Big di Detroit (General Motors, Ford e Stellantis-Chrysler) con aumenti retributivi del 25 per cento in quattro anni, carriere più rapide e rivalutazioni automatiche dei salari legate all’inflazione, va all’attacco delle altre 13 case automobilistiche con stabilimenti negli Stati Uniti: le tre elettriche Tesla, Rivian e Lucid e le Case straniere. Tutte fabbriche non sindacalizzate. In passato l’UAW ha tentato di entrare in alcune unità produttive del Sud, ma è stato pesantemente sconfitto nei referendum tra i lavoratori negli impianti Nissan in Tennessee e Mississippi e in quello, sempre in Tennessee, della Volkswagen.

  • Gli analisti sono concordi nel ritenere che difficilmente Fain ripeterà l’impresa che gli è riuscita a Detroit dove già aveva le rappresentanze sindacali nelle fabbriche. Le leggi americane sui diritti dei lavoratori sono molto favorevoli alle imprese: entrare, per le union, è sempre difficilissimo. Fain ci sta provando sollecitando dall’esterno i lavoratori a firmare schede elettroniche di adesione. Anche gli scettici che danno a Fain poche chance di successo, riconoscono, comunque, che, se si vuole tentare, questo è il momento giusto: il mercato tira, le imprese faticano a costruire vetture in quantità adeguata alla domanda e, di conseguenza, i prezzi salgono. E con essi i profitti.
  • Il 2023 è stato un anno di rivincita per i sindacati: nell’auto, a Hollywood e altrove. Ma i lavoratori potrebbero anche dover pagare care certe conquiste: I produttori di serial cinematografici e televisivi già stanno reagendo all’aumento dei costi tagliando le produzioni e non rinnovando i contratti degli sceneggiatori in scadenza. Nell’auto la Ford avverte che il contratto che ha firmato perché messa alle corde da uno sciopero di sei settimane, le costerà molto caro: profitti ridotti di 1,7 miliardi, maggiori costi per 8,8 miliardi nei 4 anni del contratto e, soprattutto, 900 dollari in più per ogni singolo veicolo costruito. La General Motors ha presentato calcoli simili avvertendo che i maggiori costi renderanno le loro vetture meno competitive sul mercato.
  • Shawn Fein non ci ha pensato due volte: mercoledì ha lanciato l’offensiva negli stabilimenti non sindacalizzati e, come ha fatto a Detroit, ha deciso di attaccare contemporaneamente tutte le altre 13 case che operano negli Usa: Tesla, i gruppi giapponesi Toyota, Nissan, Honda, Mazda e Subaru, ma anche i tedeschi di Volkswagen, BMW e Mercedes Benz. E altri ancora, da Hyundai alla Volvo, casa svedese ormai di proprietà cinese. In tutto 150 mila lavoratori: stesso numero delle maestranze di Ford, GM e Stellantis. La sola Toyota ne occupa 49 mila sparsi in nove fabbriche in Kentucky, Mississippi, Tennessee, West Virginia e Indiana.
12. Cartoni del latte, emergenza americana

(Matteo Castellucci) Diciamolo subito: in America non scarseggia il latte, ma i cartoni per il latte. Anzi, una particolare misura, quella adottata da scuole, ospedali, case di riposo e anche prigioni. Agli studenti – prescrive una legge degli anni Cinquanta – spetta latte a colazione e a pranzo. Per via della penuria di cartone, le scuole (che spesso hanno un filo diretto con le fattorie) hanno adottato brocche e tazze richiudibili; altre hanno ripiegato sul succo di frutta. Le sacche non convincono: i più piccoli si sbrodolano.

  • È stata definita «crisi nazionale» e il leader della maggioranza al Senato, il democratico Chuck Schumer, ha chiesto un’indagine. Di chi è la colpa? Nel comparto dicono che è aumentata la domanda, i produttori del packaging accusano i caseifici che non hanno fatto scorte d’estate. Le forniture dovrebbero tornare a regime questo mese, ma come ricorda l’Economist negli ultimi anni il mercato si è contratto: e sono avanzate bevande alternative, a base di mandorla, soia e così via.
13. Calendario Pirelli 2024, orgoglio black
editorialista
di michela proietti
nviata a Londra

È ancora una volta Naomi Campbell il simbolo di un volto e di un corpo che non conoscono i segni del tempo, la «time stopper» per eccellenza. La chiama proprio così Prince Gyasi, il primo fotografo africano chiamato a firmare un Calendario Pirelli, che non a caso ha voluto intitolare «Timeless». Ma il vero antiage di questo lavoro non si ritrova nel corpo scolpito della top model ma in un’idea di talento immortale (...).

imageLa poetessa Amanda Gorman

  • Il Calendario Pirelli festeggia i suoi 50 anni con un’edizione densa di messaggi affidati talent come l’attrice Angela Bassett (interprete di Tina Turner nel film «Tina»), la saggista Margot Lee Shetterly, la poetessa e attivista Amanda Gorman (scelta da Biden per il suo insediamento), il cantautore e regista Jeymes Samuel, l’attore Idris Elba, l’artista Amoako Boafo, l’ex calciatore Marcel Desailly, il sovrano Otumfuo Osei Tutu II re di Ashanti, il piccolo Young Prince e lo stesso fotografo Prince Gyasi, che si è ritratto con ponpon che gli cingono la testa come una corona «perché i miei genitori mi hanno dato un nome da re»... (qui l’articolo completo).
14. Quando Erwitt immortalò il litigio Nixon-Kruscev
editorialista
di stefano bucci

«Elliott Erwitt è un uomo di poche, pochissime parole, ma che fa foto straordinarie»: così il suo amico-collega Gianni Berengo Gardin lo aveva definito in un intervento per «la Lettura» del Corriere della Sera, in occasione della recente presentazione di un volume di scatti inediti (o ritrovati) pubblicati da Contrasto. Fotografo tra i più grandi del dopoguerra, Elio Romano Ervitz — questo il suo vero nome di figlio di ebrei russi — è morto il 30 novembre a New York. Aveva 95 anni.

imageIl presidente Usa Richard Nixon punta il dito contro il leader sovietico Nikita Kruscev, a Mosca, il 24 luglio 1959 (Elliott Erwitt)

  • Fu l’artista del bianco e nero le cui fotografie — per riprendere ancora le parole di Berengo Gardin — raccontano molto di lui, della sua sensibilità e del suo stile; sono foto prima di tutto buone, nel senso che in ogni scatto c’è il racconto partecipe di un frammento di realtà, in cui si ritrovano istinto, esperienza e curiosità verso l’uomo». Elliott Erwitt ha attraversato la storia del mondo, lanciando il suo sguardo sui potenti della terra accanto a scene anonime e privatissime. Con un’incredibile capacità di raccontare allo stesso modo i grandi eventi che hanno fatto la storia e i piccoli accidenti della quotidianità... (qui l’articolo completo).
15. Le penniche dei pinguini antartici

(Matteo Castellucci) Il massimo momento di vulnerabilità di un animale è il sonno, che però è essenziale alla biologia. Animali come delfini e anatre fanno riposare un emisfero cerebrale alla volta, ma anche una specie di pinguini (il pigoscelide antartico) ha sviluppato un suo correttivo. Secondo uno studio pubblicato su Science, durante la nidificazione questi pinguini riescono a fare anche diecimila micro-sonnellini al giorno. Il termine, «micro-naps», fa pensare al «power nap»: il rebranding della pennichella con cui proviamo a lenire i nostri sensi di colpa.

  • La ricerca ha utilizzato elettrodi e sensori di movimento, applicati agli uccelli sull’ Isola di re Giorgio, al Polo Sud. Il trucco è pochi secondi alla volta – in media 4, in due terzi dei casi comunque sotto i 10 secondi – centinaia di volte all’ora. Sommando tutti i micro-sonni si arriva fino a 12 ore al giorno. Secondo gli scienziati, questo schema consente ai pinguini di sorvegliare meglio le uova, e difendersi dai predatori, soprattutto ai margini della colonia (mentre chi è, al sicuro, al centro si concede riposini più lunghi). Siete tentati? «Gli esseri umani non riuscirebbero a sostenere questo stato», ha detto al Guardian l’autore dello studio, Paul-Antoine Libourel.

Grazie. A lunedì. Cuntrastamu.

Michele Farina


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