Ryanair, viaggio nel centro operativo della prima low cost del mondo: così si gestiscono 3 mila voli al giorno
di Leonard Berberi, inviato a Swords (Irlanda)
Fosse per lui, i passeggeri dovrebbero imbarcarsi tutti senza bagaglio in stiva. E fosse sempre per lui, resterebbe alla guida della prima low cost del mondo — per viaggiatori imbarcati — ancora per molto tempo (è al comando da 30 anni). Ma a due condizioni. La prima: se la moglie glielo consentisse. La seconda: se gli venisse offerto una remunerazione adeguata. Parola di Michael O’Leary, amministratore delegato del gruppo Ryanair, che durante una chiacchierata con il Corriere in un hotel milanese risponde anche alle domande «personali».
Partiamo dal tema che interessa le persone che iniziano a pensare alle loro vacanze estive: le tariffe dei voli saliranno ulteriormente dopo il record del 2023?
«Onestamente? Non lo so. Se l’offerta di posti sarà ridotta — e noi pensiamo che lo sarà per i problemi ad alcuni modelli di aerei — questo farà salire i prezzi dei biglietti. Per quel che ci riguarda, noi abbiamo acquistato in anticipo e a buon prezzo gran parte del carburante necessario: prevediamo di risparmiare 450 milioni di euro, cosa che ci potrebbe far ridurre le tariffe di 3 euro a sedile. Ma è ancora presto per capire comne andranno le cose».
Come sono suddivisi i vostri ricavi «ancillari», cioè le entrate per i servizi extra?
«È una cosa che non rendiamo pubblica. Posso dire che i servizi più acquistati sono l’imbarco prioritario, la scelta del posto e i bagagli in stiva. Ma onestamente non li vorrei i ricavi da questa ultima voce».
Scusi?
«Nel mio mondo ideale vorrei passeggeri senza valigie in stiva».
Perché?
«Se le persone si presentassero con gli effetti personali da portarsi in cabina risparmieremmo tempo e costi per l’imbarco».
Però chiedete soldi extra proprio per imbarcare i borsoni nelle «pance» degli aerei.
«È così. Ma lo facciamo perché vogliamo cambiare le abitudini delle persone. Vogliamo che viaggino più leggeri».
Ma registrate ricavi importanti per questo servizio.
«Certo! Ma lo ripeto: il nostro obiettivo è disfarci dei bagagli in stiva».
Come mai non li volete?
«Perché la maggior parte dei costi di handling è legata alla gestione dei trolley registrati. Dobbiamo pagare il bancone e il personale per il check-in, gli addetti che caricano e scaricano, quelli che lavorano negli uffici “lost & found”. Come vede ruota tutto attorno ai bagagli».
di Leonard Berberi, inviato a Swords (Irlanda)
E davvero pensate di cambiare le abitudini delle persone?
«Sta già accadendo. All’inizio l’80% dei nostri passeggeri mandava un bagaglio in stiva. Dopo l’introduzione del costo extra — quindici anni fa — sono scesi al 20%. Il 60% ha modificato le abitudini. Anche perché il viaggio dei clienti dura in media due giorni e mezzo. Non hanno davvero bisogno di portarsi troppe cose. E noi abbiamo meno costi. Lo spazio vuoto è fantastico, consuma meno».
Ma le stive vuote non sono anti-economiche?
«Niente affatto. L’aereo viaggia più leggero e brucia meno carburante. Risparmieremmo il 6% di cherosene se i Boeing volassero senza i bagagli in stiva».
(secondo le stime del Corriere il «risparmio» di carburante nell’intero 2023 sarebbe stato di 280 milioni di euro)
Parliamo di lei. Il suo accordo al vertice dell’azienda scade nel 2028.
«Che è tra quattro anni, vorrei sottolinearlo: è un tempo lunghissimo e tutto può succedere».
Chi la conosce bene dice che non se ne andrà nel 2028.
«Lo deciderà la signora O’Leary, mia moglie».
Al netto di questo, vorrebbe estendere il suo contratto?
«Probabilmente sì. Ma solo se posso raggiungere un accordo con il consiglio di amministrazione di Ryanair».
In che senso?
«Non ho certo intenzione di lavorare gratis. Cosa che è successa negli ultimi cinque anni perché ho questa voce della remunerazione legata ai risultati. Ma a causa del Covid non abbiamo raggiunto gli obiettivi e quindi non ho preso niente».
Non direi. Le sue azioni in Ryanair valgono oltre 870 milioni di euro.
«E quindi? Amo questa compagnia. Ma su quello che farò in futuro ci sono due variabili da considerare. Quello che vorrà fare la signora O’Leary, lo ripeto. E poi c’è una nuova generazione di manager che sta crescendo dentro l’azienda. Nel 2028 arò 67 anni e a un certo punto bisognerà lasciare le redini ai 40enni».
Quando?
«Non so se accadrà nel 2028 o nel 2032. Non faccio piani così di lungo periodo perché molte cose possono succedere: una malattia, un incidente. In Irlanda abbiamo un detto che fa così: “Quando l’uomo pianifica, Dio sorride”».
di Leonard Berberi
Ma se qualche altra compagnia aerea dovesse contattarla e offrirle molto denaro per fare il loro ceo, lascerebbe Ryanair?
«Mmmm...».
Proviamo così: andrebbe in un altro vettore europeo?
«Definitivamente no. Non vorrei lavorare con loro perché nessuno può competere con Ryanair».
Però potrebbe portare il modello dei gestione.
«Non potrei mai esportare il modello Ryanair. Noi come low cost puntiamo a crescere del 10% all’anno, gli altri non sarebbero in grado, si farebbero male già con un +2%».
Andrebbe in Medio Oriente?
«No».
E in America?
«No».
In Asia e Pacifico?
«No. Non vorrei vivere al di fuori del continente europeo».
Come mai?
«Ho una famiglia, i miei quattro figli studiano in Irlanda. Mi piace quello che faccio, ho una bella vita, vivo in una casa in campagna nel centro del Paese. Non ho mica intenzione di far iniziare ai miei ragazzi una nuova esistenza. Ryanair è la compagnia migliore nel mondo e stiamo crescendo rapidamente ovunque».
lberberi@corriere.it
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