Yamal in Spagna all'Europeo a 16 anni fa i compiti e gioca: da Donnarumma a Barella, cosa facevano i giocatori dell'Italia alla sua età
Da Donnarumma a Barella a Calafiori e gli altri che a 17 anni erano già campioni in erba: i loro percorsi però sono stati spesso tortuosi, c'è chi è andato via e poi tornato in Italia
Ma voi, all’età del fenomeno spagnolo Lamine Yamal — che compie 17 anni il 13 luglio — vi ricordate come eravate ? Lui studia in ritiro per gli esami online, punta l’avversario e dribbla. O almeno ci prova. Sempre. E tenere il suo ritmo può essere un problema. Qualche azzurro alla sua età era già un campioncino, Donnarumma su tutti, già protagonista nel Milan, dove ha esordito a 16 anni e 8 mesi. Ma anche El Shaarawy aveva già messo piede in A col Genoa, Bastoni stava per farlo con l’Atalanta e Darmian con la maglia del Milan di Ancelotti. Scamacca era emigrato al Psv, lasciando le giovanili della Roma: il Guardian lo aveva inserito tra i migliori sessanta teenager del futuro.
Altri erano già stati «battezzati» come predestinati, vedi Barella («A 17 anni nelle giovanili del Cagliari sembrava un veterano» ha raccontato Gianfranco Zola), Buongiorno al Torino, Mancini e Chiesa alla Fiorentina, Bellanova al Milan, Fagioli alla Juve, Pellegrini e Frattesi alla Roma, Dimarco all’Inter, Cristante al Milan o Meret all’Udinese, già definito «un fenomeno» da Handanovic quando aveva 14 anni. Ognuno poi ha fatto il suo percorso, più o meno verticale, per essere qui: tanti hanno esordito in A per poi fare esperienza altrove, una scelta formativa ma a volte anche penalizzante. Del resto se gli italiani in A oscillano tra il 35-40% la grande domanda è se si tratti di una selezione naturale o se disperdiamo del talento, non facendolo esprimere già ad alto livello.
Yamal, è cresciuto nella mitica Masia del Barcellona, il vivaio che in Spagna porta molto spesso alla seconda squadra: se è vero che lui è l’eccezione che conferma la regola, è altrettanto vero che 20 nazionali spagnoli su 26 hanno fatto questo tragitto (l’unico azzurro è Fagioli), che può essere molto utile per preservare il talento dagli urti — a volte violenti — del passaggio al professionismo. Così se Cambiaso era stato scartato dalla Primavera del Genoa ed era ripartito dai Dilettanti nell’Albisola e anche Vicario furoreggiava in D col Fontanafredda dopo aver lasciato l’Udinese, Gatti faceva esperienza in Promozione, la sesta serie della piramide calcistica, con la maglia del Pavarolo nel torinese.
Jorginho era già sbarcato in Italia dal Brasile per giocare nelle giovanili del Verona: prima di essere spedito a farsi le ossa in C2 alla Sambonifacese. «Giorgio» viveva con altri compagni in un convitto-monastero, prendendo una paghetta di 20 euro a settimana, dato che la famiglia era in Brasile. Normale, come ha raccontato, che la sua fosse una vita di confine: tra continuare a inseguire il suo sogno o mollare il calcio.
Chi non ha mai pensato di arrendersi, ma ha temuto seriamente di farlo, è Riccardo Calafiori che a sedici anni si era distrutto il ginocchio in un incidente di gioco e all’età di Yamal era alle prese con una lunga riabilitazione, carica di dubbi sul suo futuro.
Ma se il padre lo ha sempre chiamato «Ruspa» e alla sua prima partita ufficiale con la maglia azzurra ha giocato contro l’Albania con la serenità dei grandi, vuol dire che la tempra c’era già. Mateo Retegui invece era davanti ad altre scelte: a calcio non aveva ancora mai giocato seriamente, tutto preso dalla passione di famiglia per l’hockey su prato: a quell’età entrava nelle giovanili del River, perché ci sapeva fare e un amico di famiglia gli aveva fatto tornare la voglia di misurarsi con il pallone. Meglio tardi — come ha detto ieri Michael Folorunsho, a 17 anni nelle giovanili della Lazio, ma debuttante in serie addirittura a 25 — che mai.