Kharkiv, simbolo della controffensiva e rampa di lancio dei razzi ucraini: il suo significato per l'offensiva di Mosca
La seconda città dell'Ucraina è un simbolo per la storia russa: lì nacque la Ceka e fu teatro di una grande battaglia contro i nazisti
DAL NOSTRO INVIATO
KIEV – «La prima città che Putin proverà a occupare, sarà proprio Kharkiv», disse Volodymyr Zelensky quando mancavano ancora una decina di giorni all’invasione del 2022. Due mesi e 82 giorni dopo, siamo ancora lì: ci sta riprovando.
La fanteria ieri è entrata a Vovchansk, che sta a una quindicina di km dalla città e un tempo, un secolo fa, era dove i russi scavallavano il confine per comprare carne e scarpe agli spacci discount. «Allora i russi erano la nostra vacca grassa – finge di scherzare Tatiana Krolivets, professione dentista, che non se n’è mai voluta andare -, ma oggi sono la nostra mucca pazza». Lo Zar, adesso che ha superato di nuovo la frontiera, non compra e non fa sconti: esige.
Tutt’e nove i distretti dell’oblast di Kharkiv, per cominciare: la terza regione più popolata dell’Ucraina, che dieci anni fa provò ad «autoproclamarsi» la terza repubblica indipendente filorussa, come il Donetsk e il Lugansk, ma senza riuscirci; la rampa di lancio dei razzi ucraini, che oltre confine colpiscono le case di Belgorod; uno dei più grandi giacimenti di gas della regione, kombinat e miniere, campi estesi e chiese dalle altissime cupole.
Poi, chi lo sa: il Cremlino si riprenderebbe volentieri anche Kharkov, detta alla russa, la capitale dell’antica Repubblica Socialista Sovietica d’Ucraina. Dove millenni fa i proconsoli di Mosca venivano ad abitare le stalinke loro riservate e i funzionari più bassi vivevano nelle krusciovke di stile brutalista e molto altro ancora ricorda l’Urss che fu: una piazza «più grande della Piazza Rossa», un grattacielo che Stalin volle fosse il secondo più alto d’Europa, un milione e passa d’abitanti che non hanno mai smesso di parlare russo, nemmeno adesso che i Grad colpiscono un palazzone del quartiere Kharkov e seppelliscono sotto le macerie pure i bambini.
A Kharkiv lo sanno da sempre, d’essere la frontiera della frontiera d’Europa. «Temo il peggio e spero il meglio», dicono qui: la seconda città dell’Ucraina, quando nella primavera del 2022 riuscì a ricacciare indietro il nemico, diventò anche il simbolo della controffensiva. Perfino più di Kiev. Nel loro attacco furibondo, i russi avevano distrutto interi sobborghi come Saltyvka, oggi un deserto abitato dai cani randagi, e avevano colpito le due università, la sede dell’amministrazione regionale, la centrale di polizia, una settantina di monumenti e bellezze: il museo d’arte, il teatro dell’Opera, la biblioteca scientifica, pure il memoriale della Shoah e quello delle vittime dello stalinismo. Avevano lasciato cimiteri di fosse comuni, come a Izyum. E le macerie d’una scuola diventata famosa nel mondo, la 134, davanti alla quale gli studenti avevano girato un video con un ballo di fine anno che ancora oggi ha milioni di visualizzazioni web.
Kharkiv però stava provando ad abituarsi alla banalità della guerra, prima di questa nuova offensiva. Per quanto normali siano i negozi sbarrati da mesi con le assi di legno, le strade svuotate di vita, la cattedrale che dà una zuppa a chi non ha più niente, le impietose sirene che nell’ultimo anno suonano con una frequenza media di 53 minuti, gli avvocati che lavorano e gli scolari che studiano fianco a fianco nella metropolitana, i 300mila scappati per sempre, gli 8mila sfollati dell’oblast che il governatore Oleh Synegubov sta cercando di sistemare negli edifici abbandonati. C’è un orgoglio nel resistere, «i russi sono venuti con le armi per uccidere i nostri figli – dice un cartello sull’immensa piazza Svobody -, ma hanno incontrato i loro padri»: quelli che le mille piaghe di Kharkiv se le ricordano, se le raccontano.
Qui nacque la Ceka, la polizia segreta madre del Kgb, e proprio dalle parti della piazza, nascosto da sacchi di sabbia, c’è ancora il garage dove Stalin faceva torturare gli ufficiali polacchi. E mille targhe narrano la grande battaglia contro i nazisti. E l’Holodomor, lo spaventoso genocidio per carestia degli anni ’30, milioni di morti e tanti proprio nel Kharkivs’ka Oblast. Il dolore è la nostra leggerezza, scriveva uno scrittore-rocker nato da queste parti, Serhiy Jadan. Mentre nel cielo di Kharkiv volavano i droni russi, ieri mattina, da un palazzo s’è alzato un palloncino di Peppa Pig.