Ci sono tre scenari per una pace in Medio Oriente, tre ipotesi molto diverse fra di loro. In primo luogo c’� l’ipotesi dei due Stati, Israele e Palestina, cos� come viene portata avanti dalla diplomazia americana: ha enormi ostacoli da superare, e per diventare realistica forse richiederebbe un cambio di strategia proprio da parte degli Stati Uniti.
Quali sono i tre scenari (molto diversi tra loro) per la pace in Medio Oriente Voci su Sinwar: “Il capo di Hamas è in Egitto”
Un’alternativa completamente diversa parte dalla constatazione, amara ma realistica, che ai due Stati non crede nessuno dei protagonisti; di conseguenza l’America dovrebbe ripiegare sulla scelta di far rispettare la legalit� (e non � poco). Un terzo scenario non riguarda tanto i contenuti degli accordi di pace bens� la loro reg�a: parte dall’idea che gli Stati Uniti conteranno sempre meno (per scelta o per necessit�), dunque esamina la possibilit� che al loro posto subentrino degli attori regionali, magari guidati dall’Arabia saudita.
Estraggo questi tre scenari dalla pi� autorevole rivista americana di geopolitica, Foreign Affairs, il cui ultimo numero � pressoch� monografico e centrato appunto sulla tragedia mediorientale. La prima opzione � contenuta nel saggio di apertura, “The Strange Resurrection of the Two-State Solution” ad opera di Martin Indyk: un esperto di fede democratica che ha avuto incarichi di rilievo nelle Amministrazioni Clinton e Obama. A conferma di quante cose stiano cambiando a Washington, Indyk in passato ebbe fama di essere piuttosto filo-israeliano, invece questo suo intervento � decisamente anti-Netanyahu.
Per cominciare, Indyk ricorda che la soluzione dei due Stati per due popoli – Israele e Palestina – risale alla prima ipotesi di Partizione durante il “mandato” (protettorato) britannico nel 1937; fu adottata nel 1947 dalle Nazioni Unite (Risoluzione 181) e da allora � sempre stata accettata dalla diplomazia americana.
Sotto l’Amministrazione Clinton, il processo di Oslo cerc� di delineare un percorso concreto verso i due Stati, inclusa la restituzione del 97% del territorio di Cisgiordania ai palestinesi, pi� la parte orientale di Gerusalemme come capitale del loro Stato. �Ogni presidente americano da allora ha cercato di rilanciare la soluzione dei due Stati, ma nessuno ha saputo superare la sfiducia reciproca generata dalla violenza palestinese e dalle occupazioni di territori cisgiordani da parte di coloni israeliani�.
A far marcire la situazione fino all’orrore del 7 ottobre 2023 hanno contribuito tre evoluzioni. Benjamin Netanyahu ha aiutato Hamas a consolidare il suo controllo su Gaza in aperto contrasto con l’Autorit� palestinese in mano a Fatah in Cisgiordania, perch� un assetto politico bicefalo e conflittuale allontanava l’ipotesi dei due Stati. Le due ultime Amministrazioni Usa, Trump ma anche Biden, hanno smesso di credere seriamente nei due Stati e hanno lasciato ampia libert� di manovra a Netanyahu; Trump per motivi ideologici e Biden per disinteresse verso il Medio Oriente dal quale voleva disimpegnarsi. Infine il mondo arabo sunnita si � a sua volta allontanato dalla causa palestinese, sia perch� disgustato dai molteplici errori politici dei palestinesi, sia perch� un’alleanza con Israele (sulla scia degli accordi di Abramo) sembrava pi� importante e urgente ai fini di contenimento dell’Iran.
Ora per� lo status quo � diventato chiaramente insostenibile, sia dal punto di vista umanitario che sotto il profilo politico e strategico. Netanyahu ha in mente un’occupazione militare di Gaza a tempo indeterminato da parte delle forze armate israeliane. La sua � una prospettiva di �guerra infinita� come quella che venne combattuta contro Hezbollah nel Sud del Libano per 18 anni, senza esito. E oggi questo avverrebbe in una situazione di isolamento internazionale di Israele molto pi� grave che in passato. Hamas non ha altro da proporre al popolo palestinese che lo scenario simmetrico: guerre, distruzioni, atrocit� e sofferenze a oltranza. Secondo Indyk non c’� altra strada se non quella di rilanciare la soluzione dei due Stati. Ma come arrivarci, se nessuno dei due contendenti la vuole?
Sul percorso di avvicinamento, Indyk elenca una serie di dettagli per attribuire responsabilit� di governo su Gaza all’Autorit� palestinese, accompagnandone l’insediamento con una forza multilaterale: sotto la guida di un generale americano ma con “caschi blu” prestati da paesi neutri come India, Australia, Canada, Corea del Sud, e possibilmente qualche Stato arabo.
Queste tecnicalit� sono meno importanti delle condizioni politiche. Le riassumo cos�. Mai come oggi l’America ha avuto un potere di pressione e condizionamento su Israele. Anzitutto perch� i suoi aiuti militari sono indispensabili, se Israele vuole tenersi pronto a combattere su pi� fronti (nell’eventualit� che peggiorino anche le ostilit� con Hezbollah in Libano, o con gli Houthi nel Mar Rosso, o addirittura con l’Iran). In secondo luogo perch� Netanyahu � precipitato negli abissi dell’impopolarit� a casa propria mentre l’America gode di un forte consenso nell’opinione pubblica israeliana essendo rimasta la pi� fedele alleata e sostenitrice. � il momento per� che Washington si decida a usare questa sua capacit� di pressione, costringendo Netanyahu a fare delle concessioni che fin qui ha sempre rifiutato. A questo fine Indyk arriva a immaginare due gesti estremi, fin qui inimmaginabili da parte di un’Amministrazione Usa: la minaccia di sospendere gli aiuti militari; e la minaccia di non usare pi� il diritto di veto americano in seno al Consiglio di sicurezza Onu per proteggere Israele da sanzioni della comunit� internazionale.
L’una o l’altra mossa configurano quel �divorzio� tra Stati Uniti e Israele che risultava impensabile fino a poco tempo fa: non la rottura di un’alleanza, che rimarrebbe, per� la fine di un appoggio �incondizionato�. Per la prima volta dal 1967 l’America si deciderebbe a varcare una soglia, indicando che i suoi interessi strategici possono divergere da quelli israeliani (come definiti dal governo Netanyahu) e trarne le conseguenze pi� drastiche. Questa fine di un appoggio senza condizioni, sarebbe divenuta possibile anche perch� sono cambiati gli equilibri in seno alla societ� americana, con l’emergere di una componente filo-palestinese ben pi� vasta che in passato.
Il secondo scenario che estraggo da Foreign Affairs � opera di due autorevoli esperti, Marc Lynch e Shibley Telhami, e svela la sua premessa nel titolo: “Il miraggio dei due Stati”. Il punto di partenza � pi� cinico o pi� realistico rispetto a Indyk: � inutile che l’America, o qualsiasi altro soggetto esterno, si affanni a inseguire la soluzione dei due Stati, finch� i due protagonisti sul terreno la rifiutano.
Una conseguenza della carneficina perpetrata da Hamas il 7 ottobre 2023 � che l’ipotesi di uno Stato palestinese viene rifiutata dalla maggioranza degli israeliani. Una conseguenza della strage di vittime civili in corso a Gaza � che i palestinesi oggi sono pi� favorevoli di prima ad Hamas il cui fine conclamato � la distruzione d’Israele. In questa situazione, l’America deve ripiegare su un obiettivo pi� limitato: usare gli strumenti a sua disposizione per far rispettare la legalit�, ridurre i danni e le sofferenze per i civili, limitare gli abusi contro i diritti umani. � un obiettivo circoscritto, e tuttavia assai ambizioso nelle circostanze attuali. Bench� parta da premesse opposte rispetto a Indyk – l’assurdit� d’inseguire il �miraggio� dei due Stati – questo scenario arriva a conclusioni pratiche abbastanza simili. Alla fine, infatti, gli strumenti che Washington ha a sua disposizione sono sempre quelli: per imporre una moderazione alle operazioni militari israeliane deve far leva sulla minaccia di sospendere i propri aiuti e il proprio appoggio diplomatico all’Onu. � molto meno chiaro quali strumenti dovrebbe usare l’America per limitare il terrorismo di Hamas. Comunque anche questo scenario �minimalista�, o ultra-realista, contempla quel divorzio Usa-Israele di cui sopra.
Il terzo scenario parte da una premessa completamente diversa, � illustrato da Dalia Dassa Kaye e Sanam Vakil. � ben riassunto nel titolo del loro saggio: “Solo il Medio Oriente pu� aggiustare il Medio Oriente”. Il punto di partenza lo riassumo a modo mio, in questi termini: dobbiamo rassegnarci a vivere in un mondo post-americano. Vuoi perch� l’America imbocca un percorso verso l’isolazionismo (con o senza Donald Trump alla Casa Bianca, questa � una tendenza che ha radici profonde nell’opinione pubblica Usa, a destra e a sinistra), vuoi perch� l’America non avr� pi� i mezzi per esercitare l’influenza che ebbe in passato, o altri avranno acquisito una capacit� d’interdizione e di destabilizzazione crescente contro una Pax Americana: tutte queste ipotesi spingono a cercare altrove una soluzione per i problemi del Medio Oriente.
Cina, Russia, Europa non offrono prospettive migliori dell’America. Gli autori osservano che questa soluzione potr� maturare solo grazie ad attori locali: cominciando dai due paesi pi� vicini al conflitto, cio� Egitto e Giordania, per poi includere altri Stati arabi come Qatar, Emirati, Arabia saudita; infine allargando il cerchio alla Turchia e forse perfino all’Iran. Qualcosa si sta muovendo in questa direzione? Kaye e Vakil osservano la proliferazione di accordi di cooperazione regionale, con geometrie variabili che associano una parte degli Stati sopra menzionati, o anche tutti quanti sotto il cappello islamico. Osservano che l’Arabia del principe Mohammed bin Salman non ha mai rinunciato all’obiettivo strategico di riconoscere lo Stato d’Israele, neppure dopo gli orrori di questa guerra a Gaza. Mentre la stessa Arabia non ha interrotto la propria normalizzazione nei rapporti diplomatici con l’Iran, neppure dopo la guerra per procura che gli Houthi appoggiati da Teheran hanno aperto contro la navigazione commerciale nel Mar Rosso.
Immaginare che sia il Medio Oriente a �curarsi da solo�, pu� sembrare una fuga in avanti verso un ottimismo sconsiderato. Presuppone tante cose che non possiamo dare per scontate. Per esempio, che l’Iran non abbia un interesse primario a distruggere anzich� costruire degli equilibri pacifici, dal momento che la stabilizzazione aiuterebbe i progetti modernizzatori e laici dei sunniti moderati. Inoltre tutto ci� richiede che l’Arabia saudita si faccia carico di un ruolo geopolitico molto pi� ambizioso e attivo che in passato. Siamo quindi nel regno delle ipotesi.
Il punto di partenza per�, cio� l’impossibilit� che sia l’America a risolvere il disastro mediorientale, merita attenzione.
21 febbraio 2024, 14:16 - modifica il 21 febbraio 2024 | 14:16
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