Bonus tredicesime da 100 euro, perché il governo ha stoppato il «regalo di Natale»?

Maurizio Leo, Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti (Lapresse)

Maurizio Leo, Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti

Il regalo di Natale può attendere, ma non troppo. Giorgia Meloni non ha cambiato idea, resta determinata ad approvare il bonus per i lavoratori dipendenti con i redditi più bassi. Il decreto legislativo sulla revisione delle imposte Irpef e Ires, che contiene la nuova norma sulle tredicesime, non è approdato in Consiglio dei ministri nonostante fosse atteso. Lo stop è stato deciso martedì mattina, al termine della riunione del pre-consiglio: testo «non bollinabile» e bisognoso di ulteriori approfondimenti, per problemi sia tecnici che politici. Ma gli 80, o 100 euro che siano, potrebbero tornare sul tavolo del Cdm già il 30 aprile. Una data non casuale, perché consentirebbe alla presidente del Consiglio di annunciare la nuova misura alla vigilia del primo maggio, festa dei lavoratori.

Il provvedimento bandiera sulla riforma di Ires e Irpef

A Palazzo Chigi la misura è stata pensata come provvedimento-bandiera, da poter sventolare nella campagna elettorale delle Europee. E forse è anche per questo che l’iter del provvedimento si è inceppato. Alla Camera, nel tardo pomeriggio, la lettura maliziosa condivisa da diversi deputati meloniani è che sia stato Matteo Salvini a chiedere al Mef di rallentare il treno del «bonus». Interpretazione che però non trova conferme, né a Palazzo Chigi , né tantomeno in via Venti Settembre.

La frenata sul bonus tredicesime per mancanza di coperture

La frenata, secondo la versione governativa, è stata «concordata» dal ministro Giancarlo Giorgetti con la presidenza del Consiglio e con il viceministro di Fdi Maurizio Leo, che ha la delega al Fisco e al quale la premier aveva chiesto di progettare la norma a tempo di record. Nessuno scontro, assicurano ai pianti alti dell’Economia. «Nessuno ha bloccato il testo» e non c’è alcun problema con Palazzo Chigi.

Troppa fretta al Mef

Eppure qualcosa, forse proprio per la fretta, non ha funzionato, sul piano dei contenuti e su quello della comunicazione tra le due anime del Mef, Economia e Finanze. Leo avrebbe informato Giorgetti solo parzialmente di come stava costruendo la bozza. E lunedì sera, dopo aver parlato con il ministro, lo stesso numero due del ministero del Tesoro ha dovuto rendere noti i suoi dubbi e spiegare che serve ancora tempo, per «mettere a punto un decreto compatibile con le esigenze dei contribuenti e rispettoso degli equilibri di finanza pubblica».

Studiare le coperture per la riforma dell’Irpef e non solo

Gli equilibri, ecco. È tempo di vacche magrissime e Giorgetti, convinto che non sia il momento di azzardare, teme che non ci siano i soldi e manchino coperture certe. Da qui la cautela e la decisione di rinviare, per verificare la platea dei beneficiari e il costo complessivo dell’operazione. «La bozza era ancora acerba, serve un approfondimento», ha spiegato Giorgetti al termine del Cdm ai ministri che gli hanno chiesto del destino del bonus: «Bisogna studiare meglio le coperture...». Un provvedimento espansivo, che potrebbe lievitare ben oltre i cento milioni inizialmente ipotizzati, sarebbe a dir poco in contrasto con il rischio che, dopo le elezioni europee, il governo si veda costretto a ripianare i conti pubblici con una manovra correttiva, che potrebbe mettere in allarme in mercati.

La premier ci tiene

Giorgia Meloni però ci tiene molto. La presidente del Consiglio, che domenica a Pescara annuncerà la discesa in campo per le Europee, sperava nel via libera già martedì 23 aprile. E se pure nel governo gira voce che la misura potrebbe definitivamente saltare, la leader della destra non sembra affatto disposta a rinunciare.

Le schermaglie politiche

Eccolo allora, il problema politico a cui ieri alludevano sottovoce i meloniani. Alle Regionali, che in Basilicata hanno portato alla vittoria della coalizione di governo, la Lega si è fermata sotto l’8 per cento ed è comprensibile che Salvini possa temere l’effetto di un «bonus» paragonabile (anche solo nel titolo) a quello introdotto nel 2014 da Matteo Renzi. Anche grazie all’effetto degli 80 euro l’allora presidente del Consiglio e leader del Partito democratico sfondò alle Europee la soglia del 40 per cento. Un record, che Giorgia Meloni non ha certo dimenticato. A metà maggio la premier potrebbe volare a Madrid alla convention di Ecr — il gruppo dei conservatori europei di cui è presidente — alla quale sono attesi anche il presidente argentino Milei e lo spagnolo leader di Vox, Santiago Abascal.

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